CAFONALINO - «UN SUPEREROE CON I SUPERPROBLEMI». SPIDERMAN È UNO DI NOI CON IL «VIZIO» DEL TRAVESTITISMO NOTTURNO E QUALCHE POTERE IN PIÙ - INSOMMA L'UOMO-RAGNO E' TALE E QUALE ALLA FOLLA DEGLI SVIPPATI PRESENTI ALLA PRIMA ROMANA.
Dario Zonta per l'Unità
Reportage di Umberto Pizzi
A pochi mesi dalla fortunata uscita americana, è oggi in 800 sale italiane l'atteso secondo capitolo di Spider-Man. A dirigerlo è sempre Sam Raimi, intelligente regista di culto fino a ieri e da oggi anche commerciale. Insieme al neozelandese Peter Jackson (che ha firmato la trilogia del Signore degli anelli), Tim Burton (con Big Fish) e i fratelli Coen (ma ultimamente sbiaditi), rappresenta quella generazione di registi che sono riusciti a lavorare con le major hollywoodiane senza abdicare alle loro fantasie e ossessioni.
Spider-Man 2, oltre a Raimi, conferma Tobey Maguire nella parte di Spidey e la rossa Kristen Dunst nel ruolo di Mary Jane, ma introduce lo shakesperiano Alfred Molina che interpreta il cattivo di turno, Doc Okc. Lo slogan che ha fatto la fortuna di uno dei fumetti più popolari della Marvel (creato da Steve Dikto su testi di Stan Lee nel 1962) recita: «un supereroe con i superproblemi».
Nel primo Spider-Man, Raimi ha applicato questo slogan dipingendo un ragazzo qualunque designato dal caso ad essere un supereroe. Un ragno geneticamente modificato (ma nella versione originale, anni sessanta, era radioattivo) lo morde accidentalmente trasmettendogli doti aracnoidi e condannandolo alla solitudine delle nuove responsabilità, coniate nell'altro slogan: «Più grande è il potere, più grandi sono le responsabilità».
È in questa «morsa», tra superproblemi e superesponsabilità, che l'Uomo Ragno deve crescere, vivere e resistere. Un eroe per caso, e controvoglia, le cui doti non lo aiutano a «superare» i problemi normali, compresi quelli d'amore per Mary Jane. Nella scena finale del primo capitolo, di perfetta intonazione melò, Parker volta le spalle all'amata Jane perché teme che la sua nuova vita possa nuocerle.
Con gli stessi fili Raimi intesse in Spider-Man 2 una nuova ragnatela psicologica di cui preda e vittima è lo stesso Spidey. Sono passati due anni da quando ha lasciato Jane, ma Peter è sempre più triste. La pensa, la vede nei cartelloni pubblicitari (Mary Jane ha intrapreso la carriera di attrice a Broadway), ne è ossessionato.
La sua attività di custode aracnoide di New York ne risente. Spidey cade in depressione e i suoi poteri, legati a doppio filo con la sua psiche, diminuiscono. Ne ha dolorosa percezione quando una notte perde l'aggancio a un grattacielo, perché dai polsi non escono più i fili della ragnatela, e cade rovinosamente a terra. Lo si vede piegato in due tornare a casa a piedi.
La stessa cosa gli accade la notte successiva, ma stavolta si trova in cima a un grattacielo e decide di scendere più comodamente con l'ascensore. L'immagine che lo vede in maschera accanto a uno stupito uomo d'affari è geniale. Insomma Spider è depresso, ha problemi di soldi ed è sempre più frustrato, vuole una vita normale e amare la sua donna ideale.
Mentre ciondola avvilito per la città, il Male incombe: è Doc Ock, uno scienziato che si trasforma in uomo-macchina dopo un esperimento nucleare non riuscito. Spidey si trova, ancora una volta, a fare una scelta: l'amore o le responsabilità, il bene pubblico o l'interesse privato. Marie Jane o i grattacieli. Le domande che (diminuite di spettacolarità) attanagliano la vita dei comuni mortali.
Spidey è uno di noi con il «vizio» del travestitismo notturno e qualche potere in più. Ama, soffre, vive. Non è molto diverso dagli eroi o antieroi di tanta letteratura classica e moderna. Non a caso è stato definito il «Raskolnikov dei fumetti», il personaggio di Dostoevskij che in Delitto e castigo misura le sue frustrazioni con l'ambizione dei grandi che hanno fatto la storia.
E così se il primo capitolo di Spider-Man è ottocentesco perché romanzo di formazione e melodramma, il secondo, Spider-Man 2, è novecentesco perché romanzo esistenzialista e storia d'amore. E la terza parte come sarà? Raimi impone una progressione letteraria nel cuore del fumetto e del cinema main stream, vince al botteghino e s'appropria definitivamente del supereroe più «riformista» e umano della storia del fumetto.
Spider-Man è immagine dell'America e della sua città emblema, New York. Di essa ha bisogno come dei grattacieli per volare. È povero, spesso disoccupato, si è dovuto costruire un'immagine (vende le sue stesse foto al «Daily»), è investito di un potere e di una responsabilità, ne è consapevole, ma non fa il gradasso (come Capitan America), ed è pure innamorato. È la faccia umana dell'America che vanta i suoi supereroi. Se votasse, sarebbe democratico.
Dagospia 16 Settembre 2004
Reportage di Umberto Pizzi
A pochi mesi dalla fortunata uscita americana, è oggi in 800 sale italiane l'atteso secondo capitolo di Spider-Man. A dirigerlo è sempre Sam Raimi, intelligente regista di culto fino a ieri e da oggi anche commerciale. Insieme al neozelandese Peter Jackson (che ha firmato la trilogia del Signore degli anelli), Tim Burton (con Big Fish) e i fratelli Coen (ma ultimamente sbiaditi), rappresenta quella generazione di registi che sono riusciti a lavorare con le major hollywoodiane senza abdicare alle loro fantasie e ossessioni.
Spider-Man 2, oltre a Raimi, conferma Tobey Maguire nella parte di Spidey e la rossa Kristen Dunst nel ruolo di Mary Jane, ma introduce lo shakesperiano Alfred Molina che interpreta il cattivo di turno, Doc Okc. Lo slogan che ha fatto la fortuna di uno dei fumetti più popolari della Marvel (creato da Steve Dikto su testi di Stan Lee nel 1962) recita: «un supereroe con i superproblemi».
Nel primo Spider-Man, Raimi ha applicato questo slogan dipingendo un ragazzo qualunque designato dal caso ad essere un supereroe. Un ragno geneticamente modificato (ma nella versione originale, anni sessanta, era radioattivo) lo morde accidentalmente trasmettendogli doti aracnoidi e condannandolo alla solitudine delle nuove responsabilità, coniate nell'altro slogan: «Più grande è il potere, più grandi sono le responsabilità».
È in questa «morsa», tra superproblemi e superesponsabilità, che l'Uomo Ragno deve crescere, vivere e resistere. Un eroe per caso, e controvoglia, le cui doti non lo aiutano a «superare» i problemi normali, compresi quelli d'amore per Mary Jane. Nella scena finale del primo capitolo, di perfetta intonazione melò, Parker volta le spalle all'amata Jane perché teme che la sua nuova vita possa nuocerle.
Con gli stessi fili Raimi intesse in Spider-Man 2 una nuova ragnatela psicologica di cui preda e vittima è lo stesso Spidey. Sono passati due anni da quando ha lasciato Jane, ma Peter è sempre più triste. La pensa, la vede nei cartelloni pubblicitari (Mary Jane ha intrapreso la carriera di attrice a Broadway), ne è ossessionato.
La sua attività di custode aracnoide di New York ne risente. Spidey cade in depressione e i suoi poteri, legati a doppio filo con la sua psiche, diminuiscono. Ne ha dolorosa percezione quando una notte perde l'aggancio a un grattacielo, perché dai polsi non escono più i fili della ragnatela, e cade rovinosamente a terra. Lo si vede piegato in due tornare a casa a piedi.
La stessa cosa gli accade la notte successiva, ma stavolta si trova in cima a un grattacielo e decide di scendere più comodamente con l'ascensore. L'immagine che lo vede in maschera accanto a uno stupito uomo d'affari è geniale. Insomma Spider è depresso, ha problemi di soldi ed è sempre più frustrato, vuole una vita normale e amare la sua donna ideale.
Mentre ciondola avvilito per la città, il Male incombe: è Doc Ock, uno scienziato che si trasforma in uomo-macchina dopo un esperimento nucleare non riuscito. Spidey si trova, ancora una volta, a fare una scelta: l'amore o le responsabilità, il bene pubblico o l'interesse privato. Marie Jane o i grattacieli. Le domande che (diminuite di spettacolarità) attanagliano la vita dei comuni mortali.
Spidey è uno di noi con il «vizio» del travestitismo notturno e qualche potere in più. Ama, soffre, vive. Non è molto diverso dagli eroi o antieroi di tanta letteratura classica e moderna. Non a caso è stato definito il «Raskolnikov dei fumetti», il personaggio di Dostoevskij che in Delitto e castigo misura le sue frustrazioni con l'ambizione dei grandi che hanno fatto la storia.
E così se il primo capitolo di Spider-Man è ottocentesco perché romanzo di formazione e melodramma, il secondo, Spider-Man 2, è novecentesco perché romanzo esistenzialista e storia d'amore. E la terza parte come sarà? Raimi impone una progressione letteraria nel cuore del fumetto e del cinema main stream, vince al botteghino e s'appropria definitivamente del supereroe più «riformista» e umano della storia del fumetto.
Spider-Man è immagine dell'America e della sua città emblema, New York. Di essa ha bisogno come dei grattacieli per volare. È povero, spesso disoccupato, si è dovuto costruire un'immagine (vende le sue stesse foto al «Daily»), è investito di un potere e di una responsabilità, ne è consapevole, ma non fa il gradasso (come Capitan America), ed è pure innamorato. È la faccia umana dell'America che vanta i suoi supereroi. Se votasse, sarebbe democratico.
Dagospia 16 Settembre 2004