IL TAPPO E' SALTATO - «LA MIA RIMOZIONE? MARCIA DI AVVICINAMENTO ALLE ELEZIONI» - «NON RAGIONO COME SANTORO E NON VORREI FARE LA SUA FINE» - «BIAGI È STATO OSCURATO E COSTANZO HA SOSTITUITO SANTORO CON COSTANTINO».

Pino Corrias per Vanity Fair, in edicola domani

«Come mi sento? Mi sento come quan­do sei appena partito per le vacanze. Sono diversi la luce e il colore delle co­se. Sono diversi i tempi della giornata. Ogni tanto mi dico: che ci faccio qui? Ma poi penso: tra un po' torno».

 

Al momento (invece) Enrico Mentana non torna. È bloccato nell'area transiti di Linate, tra aerei che non partono e aerei che non arrivano. Un po' come nella sua nuova vita, licenziato dalla direzione del Tg5, ma riassunto alla di­rezione editoriale. Giubilato da Silvio padre e trattenuto da Pier Silvio figlio. In stallo. Dentro a una nuova vita che viene dopo tg.

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Che cosa le manca di più?

«Quasi tutto, grazie».

 

Resta in Mediaset o va?

«Resto. Mi hanno offerto un'altra dire­zione, e dopo 13 anni liberi, hanno di­ritto alla mia fiducia».

 

E se dovesse andare male?

«Cambio. Non vedo il problema».

 

Lucia Annunziata ha detto: si sente vittima del regime, verrà celebrato con la direzione del Tg1.

«Tre sciocchezze in una sola frase. Non mi sento e non ho mai fatto la vittima. Non penso che in Italia ci sia un regi­me ...».

 

In quanto al Tg1?

«Ci sono due posti dove non andrò mai: la Rai, dove ho lavorato 9 anni, la "Gazzetta dello Sport", perché era il gior­nale di mio padre. Punto».

 

Santoro ha scritto Mentana non credeva al regime e ci è rimasto sotto.

«Non ragiono come Santoro e non vor­rei fare la sua fine».

 

Dice che lei aveva promesso di incate­narsi se lui fosse stato allontanato dal video.

«Non l'ho mai detto. Quella volta, nel­la sua trasmissione, si parlava di Enzo Biagi. C'era Costanzo con lui che disse: mi incateno se Biagi verrà oscurato».

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Quindi?

«Biagi è stato oscurato e Costanzo ha sostituito Santoro con Costantino».

 

No regime?

«Non scherziamo. Fino a un minuto fa dirigevo un telegiornale che non face­va parte di nessun regime».

 

Fino a un minuto fa, per l'appunto. Le cose cambiano. Come lo chiama que­sto cambiamento?

«Lo chiamo: marcia di avvi­cinamento alle elezioni».

 

Carlo Rossella, il suo sosti­tuto, fa parte di questa mar­cia?

«Ovvio».

 

Farà un tg come ha fatto "Panorama": viva Silvio e avanti Marines?

«Lo farà come crede. Non tocca a me dare pagelle, non sono passato da gio­catore ad arbitro».

 

Però lei sarà il direttore editoriale di tutta Mediaset.

«Sì, e non farò quello che fino a ieri non volevo fosse fatto a me».

 

Evangelico. Cioè?

«Non sarà mio compito interferire con le linee editoriali di Tg5, Tg1 e Studio aperto».

 

Dunque niente sparatorie Mentana­-Fede?

«Escludo».

 

Scommettiamo?

«Escludo».

 

Peccato. Sua moglie, Michela Rocco, ha detto di Carlo Rossella: sarà un grande professionista, ma è un amico di merda.

«È un giudizio da innamorata. Ed è anche ingiusto».

 

Rossella non è un grande professioni­sta?

«Ha diretto egregiamente il Tg1. Ha un sacco di esperienza. È pure simpa­tico».

 

Nessun rancore?

«Zero».

 

E verso Silvio padre?

«Che sia stato lui a cacciar­mi è il segreto di Pulcinella. Ma è altrettanto vero che per 13 anni ho fatto e di­sfatto un intero telegiorna­le. Credo che il Tg1, nei miei anni di direzione, ab­bia cambiato dieci diretto­ri».

 

Lei il Tg5 lo ha fondato e coccolato. Non lo considerava roba sua?

«È stato la mia casa, la mia vita, la mia ossessione, la mia religione. Qualche volta ci ho lavorato anche a Ferragosto. Quando ero in viaggio di nozze, in Vietnam, chiamavo tre volte al giorno. L'ho creato dal nulla: ho scelto il nome, la sigla, il marchio, la redazione...».

 

Ma?

«Ma un conto è l'emozione del distac­co, un conto la realtà. Il Tg5 è sempre stato dell'editore e del pubblico. lo ho cercato di rispettare una cosa e l'al­tra».

 

Edificante. Quante telefonate riceve­va dal Palazzo?

«I primi anni molte, poi hanno smes­so».

 

Dica: lo giuro.

«Le mie segretarie conservano l'elen­co, anno per anno, agenda per agenda: scripta, manent. Del resto, la mia linea editoriale è sempre stata molto linea­re: poco Palazzo, molta cronaca, tutta la verità possibile».

 

Curzio Maltese ha scritto: il suo licen­ziamento è un segnale di disperazione politica di Berlusconi. Condivide?

«È un gesto difensivo. Se è disperazio­ne lo vedremo alle prossime elezioni».

 

La accusavano di essere la foglia di fi­co del Cavaliere.

«E secondo lei per coprire le pubenda serve una foglia grande come un len­zuolo? Se era per farmi fare la foglia, bastava il Tg4. La verità è che siamo sempre stati una colonna degli ascolti, alle 8, alle 13 e alle 20».

 

Le sue cose migliori in questi 13 an­ni?

«Ci ho pensato e sono una valanga».

 

Modestia a parte?

«Voglio dire che macinando dieci ore al giorno di notizie l'archivio è immen­so».

 

Per esempio?

«Gli unici faccia a faccia della nostra storia elettorale: Berlusconi-Occhetto e Berlusconi-Prodi. Gli scoop durante il sequestro Soffiantini. L'ultima inter­vista a Borsellino. Le notti dei bombar­damenti su Bagdad...».

 

I momenti più duri?

«Sicuramente le 7 ore di diretta dell'11 settembre. Vedevo avvicinar­si l'Apocalisse e dovevo commentarla. Arrivavano notizie pazzesche: 5 aerei fuori controllo. Bush che non può at­terrare nell'intero territorio degli Stati Uniti. Le Torri che crollano. Nessuno sapeva se era un inizio o la fine di tut­to. Poi il Kosovo...».

 

La notte di bombardamenti.

«La notte in cui l'Italia ha perso per sempre l'innocenza entrando in una vera guerra».

 

Poi?

«L'intero 1992, il primo anno. Si di­mette Cossiga. Uccidono Falcone e Borsellino. Scalfaro sale al Quirinale. Scoppia Tangentopoli. Viene giù l'Ita­lia intera».

 

Erano botte di adrenalina.

«Era la parte emozionante del lavoro più bello del mondo».

 

Con i verbi al passato?

«A me piacciono i ricordi».

 

E il rimpianto?

«Non ho rimpianti. E poi mica sono andato in pensione. Non vedo panchi­ne e giardini pubblici all'orizzonte».

 

La settimana scorsa l'assemblea di Confindustria l'ha applaudita per un bel po'.

«Sono stati applausi inaspettati. Credo fossero di solidarietà».

 

Dunque sono in tanti a conside­rarla un esule.

«Se è così si sbagliano».

 

C'è qualcosa che non rifarebbe?

«Purtroppo non credo ai replay. Ma so benissimo che maneggian­do cronaca e informazione quoti­diana, capita che fai del male sen­za volerlo. Fai del male rivelando un nome, attribuendo la colpevo­lezza a un innocente, mostrando una foto inutile».

 

Dicono che lei sia stato un diret­tore padrone.

«Ho diretto un telegiornale corsa­ro, che viaggiava contro una co­razzata. Dovevamo correre di più, lavorare di più, inventare di più».

 

Quindi?

«Qualche volta non avevo tempo per la buona educazione».

 

I suoi giornalisti più bravi?

«Tutti, è ovvio. Con Lamberto Sposini, che è stato il mio solo al­ter ego».

 

Le rimproverano di essere molto svelto e molto sveglio.

«Invidia, amen».

 

Di essere uno che cade in piedi.

«Speriamo».

 

Di essere troppo amico di Montezemolo e di Diego Della Valle.

«E allora? Si chiama vita priva­ta. La sfido a trovare nei miei tg un solo servizio su automobili o scarpe. O sui profumi. O sulle sfi­late».

 

Il suo telefonino continua a squil­lare?

«Sì, parecchio. E non sono solo partecipazioni a un funerale».

 

Qualcuno le ha detto: ora avrai più tempo per la famiglia?

«Sì, specialmente la mia fami­glia».

 

E?

«Approfitterò del tempo per i miei figli e magari per cenare più spes­so con mia moglie».

 

Giusto, le cene.

«Mia moglie, come tutte le signore Maigret del giornalismo, mangia­va sempre da sola».

 

Lei le farà compagnia in pantofo­le?

«Mai portato pantofole».

 

È dura scendere dalla giostra?

«Gielo dirò quando sarà finita la corsa».





Dagospia 24 Novembre 2004