IL TEATRONE DELLA POLITICA - SALE IN CATTEDRA GIORGIO ALBERTAZZI E DA' I VOTI A D'ALEMA (VOLTAIRE), PANNELLA (GIRAUDOUX), BERLUSCONI (RUZANTE), LA RUSSA (MEFISTOFELE), BERTINOTTI (PIRANDELLO), FINI (CASANOVA), RUTELLI (MILLER), PRODI (GOVI), FASSINO (CECH

Giorgio Albertazzi per Vanity Fair


I politici italiani non vanno a teatro. I politici italiani non amano il teatro. I politici italiani non amano l'arte. Per loro il teatro è noioso, non lo capiscono. Al limite possono andare a vedere la rivista: cosce e culi, quelli interessano sempre.

Distribuisco la mia malevolenza sia a destra che a sinistra, in egual misura. Tra i politici di oggi l'unico che vedo a teatro e che sa di teatro è Fausto Bertinotti. E poi c'è Gianni Letta, che è addirittura esperto di teatro. Eppure la politica è strettamente legata all'arte di recitare.

Politici e attori hanno, infatti, in comune un'esigenza: persuadere. Più che la sostanza, la forza degli argomenti, oggi conta la forma, lo stile. Non è detto però che un bravo attore sappia fare il politico; al contrario, quelli che hanno provato l'hanno fatto malissimo perché si sono trovati spiazzati, senza il testo.

I politici, invece, recitano tutti. Quelli italiani quasi tutti male. Sono capaci di produrre drammi per il Paese e a volte anche di sfiorare la tragedia, ma in realtà sono tutti attori da commedia, purtroppo. Con caratteristiche diverse, però.

1 - Massimo D'Alema - Mi fa pensare al Settecento. Il suo spirito è scarsamente barricadero, lontano da ogni interpretazione romantica. Lo vedo in una pièce di Voltaire. Perfetto con i suoi ragionamenti spesso capziosi e «aristocratici». Ma lo vedo benissimo anche ne "Il Giardino dei Finzi Contini", vestito da tennis in bianco, con la racchetta.

Del politico-attore D'Alema, il look riveste un ruolo fondamentale. Non credo si tolga la giacca in aereo come fanno tutti i borghesi; quando è sulla sua barca, il posto dove probabilmente esprime al meglio il suo slancio di vitalità e immaginazione, ha sempre una bella mise, elegante, chiara. Quando recita appare molto controllato, uno di quegli attori entre deux guerres, che composti, corretti, puntuali, ti davano costantemente l'impressione di attenersi alla memoria del testo scritto.

Non esprime grande seduzione, ma se lo guardi più da vicino ti accorgi che esercita un suo potere di persuasione. DAlema secondo la definizione classica dei ruoli è un «antagonista».

2 - Marco Pannella - Con Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, può essere considerato teatralmente un protagonista. È l'esatto opposto di DAlema: se quest'ultimo è immaginabile come interprete di una pièce francese (Giraudoux), la lingua perfetta per Pannella è il tedesco.

È il personaggio romantico per eccellenza, è la personificazione dello Sturm Und Drang: rischia di persona, si compromette, crede nelle sue idee. Se D'Alema non si leva mai la giacca, Pannella è uno che può continuamente togliersela, sedersi, fumare, sbraitare. Personalmente, mi piace molto e gli sono affezionato. Le sue battaglie civili con Emma Bonino e gli amici del '75 hanno contribuito a cambiare in meglio il nostro Paese. Un bel tema per un testo di Weiss o di Müller.

3 - Silvio Berlusconi - Come attore, discende direttamente dalla commedia dell'arte; ha le sue radici nel teatro lombardo e nel Ruzante, temperato da una cultura di stampo francese (Claudel con nostalgie di Corneille). Ha il culto della bellezza, dell'ordine, della famiglia; lo vedrei recitare una commedia impegnata, sui sentimenti, con risvolti a lieto fine.

Il nostro presidente del Consiglio è un grande attore; a volte è più in forma, altre meno. Berlusconi è qualcosa di più di un attore perché non recita un copione ma il «suo» copione: dunque è un atto-autore, uno che si scrive le cose e poi le interpreta, come faccio io certe volte o come fa, per esempio, Dario Fo.

Ha un passato nel mondo dello spettacolo, come cantante sulle navi da crociera, che lo aiuta. In proposito mi viene in mente l'imperatore Adriano ne "Le memorie di Adriano", quando dice: «Misi a profitto la familiarità che avevo con la gente di teatro». Peccato che Berlusconi non abbia visto le mie "Memorie di Adriano", sarebbe un evento per la sua cultura politica.

4 - Ignazio La Russa - Discende anche lui dalla commedia dell'arte. È un caratterista. (aspetto fisico e la voce, chioccia e gracchiante, sono quelli di Mefistofele. Condizioni oggettive che lo rendono, sempre e comunque, il personaggio «antagonista»; ma non potrebbe fare lago perché tutti capirebbero subito che è il cattivo. Come attore è quello che nell'antica gerarchia teatrale si definiva «generico-primario», dove generico sta per versatile. Ignazio ha l'animo tenero, vestito di alterigia: è più Pinocchio che Mangiafuoco.

5 - Fausto Bertinotti - Lo vedo bene recitare Pirandello, un testo come "Il piacere dell'onestà". Lo rende adatto quella sua aria da intellettuale che viene dal sindacalismo. Ama il ragionamento, interviene sempre con termini molto corretti, ma i suoi discorsi sono sempre «da capo».

È causidico, la sua cultura viene dalla gauche di Thorez e in uno slancio di entusiasmo potrebbe essere protagonista di una pièce sartriana come "Le mani sporche", ma lo vedo anche nel "Gioco delle parti". Un bell'attore Bertinotti. Lui e la moglie Lella formano una splendida «ditta».

6 - Gianfranco Fini - È Casanova; ha l'altezza e anche l'aspetto fisico: il naso pronunciato, quella naturale eleganza nel portamento. La sua formazione attorale sembra gli derivi dall'Accademia di arte drammatica Silvio D'Amico di Roma.

È abbastanza convincente, soprattutto quando non pontifica; dovrebbe parlare con maggior cordialità, cosa che non fa molto spesso, purtroppo. È in una situazione abbastanza difficile perché è il segretario di un partito al governo, ma con un'ascendenza pesante da reggere, quella del Movimento sociale, e con una vocazione all'opposizione rispetto al potere dominante.

Ha tentato uno spostamento della linea politica verso il centro, sapendo che si governa dal centro e non dalle ali estreme. Penso che nasconda qualcosa; forse il vero Fini non l'abbiamo ancora visto. Ci rivelerà qualche spunto innovativo come ministro degli Esteri? Resta un interprete di rilievo, un «primo attore».

7 - Umberto Bossi - È il mio preferito. Potrebbe essere un attore della commedia fliacica, un teatro di maschere che rappresenta la prima forma di teatro in Italia e che nasce dall'incontro tra i Greci, che sbarcarono nel Sud della nostra penisola portando Sofocle, Euripide e le frange del teatro etrusco.



Si recita senza autori: l'attore inventa, improvvisa, ispirandosi a sentimenti bellici come l'amor patrio e a concetti base come il fatto che al Sud rubano, al Nord no. Bossi è un protagonista, anche lui, come Berlusconi, autore di se stesso.

Potrebbe recitare in dialetto. I suoi modi rozzi funzionano; d'altra parte già nel '600 il cardinale Borromeo chiamava gli attori «gli osceni recitanti»; pensava che di loro non ci si potesse fidare, perché, all'improvviso, fanno nascere qualcosa sulla scena che offende il senso comune, i buoni sentimenti. Bossi è così.

Personalmente spero torni sulla scena politica al più presto. Il valore più grande del teatro, per me, è infatti l'improvvisazione, quando si tradisce la pagina a vantaggio della scrittura di scena, là dove, appunto, sorge inaspettatamente qualcosa che prima non c'era, che è in divenire, come il teatro appunto.

8 - Francesco Rutelli - È un «attor giovane», che sarà sempre tale anche quando avrà settant'anni. L'«attor giovane», nella distribuzione tradizionale della compagnia teatrale, è belloccio, quasi sempre si innamora, sfarfalla. Rutelli è infatti uno che piace e vuole piacere, si veste con una certa cura, ha un sorriso accattivante.

Lo vedrei bene recitare nella commedia psicologica, brillante; un testo di Goldoni o in "Erano tutti miei figli" di Arthur Miller. Ma anche in un testo di Giacosa o di Franco Brusati. Talvolta assume un'aria paternalistica, amatoriale. Meno felice. È uno che qualcosa sa di teatro; ha imparato da Pannella, con cui ha iniziato a far politica.

9 - Romano Prodi - È Balanzone, un attore da commedia buffa, una maschera che si colloca tra il teatro fliacico e il teatro dei caratteri. Prodi è un caratterista, non certo un «primo attore», però importante, come potrebbe essere l'attore Paolo Stoppa.

Il leader ulivista è il caratterista dell'ovvietà: il suo tono di voce è sempre basso, ti fa venire voglia di dire «alza la voce», resta immutato anche se deve dire qualcosa di sconvolgente. Però ha anche delle punte di spiritosaggine, che mi ricordano Govi, di cui ha un po' la faccia di gomma. Prodi secondo me, sotto quest'aria controllatissima e bonaria, nasconde uno spirito irruente.

10 - Rocco Buttiglione - È della stessa pasta di Prodi. E un caratterista che vedrei bene recitare un testo «pensante», Ibsen per esempio. O in un grande dibattito di fede, come quelli messi in scena da autori cattolici come l'italiano Diego Fabbri o il francese Paul Claudel. È allusivo, la sua ironia sta tutta nel movimento delle sopracciglia. Spesso si acciglia. È il suo momento più espressivo.

11 - Carlo Azeglio Ciampi - È un grande attore della filodrammatica, il teatro amatoriale che si fa per passione, che si prova dopo il lavoro per poi fare lo spettacolo la domenica. Non intendo denigrarlo, io stesso da buon toscano provengo dalla filodrammatica, che è poi il teatro generoso che si faceva in quegli anni a Firenze e a Livorno, città natale del nostro Presidente della Repubblica.

Naturalmente Ciampi lo vedo nel ruolo del pater familias o del caratterista o anche dello zio che improvvisamente ha vinto alla lotteria e lo comunica festosamente alla famiglia; potrebbe fare il padre ne "L'Acqua cheta" di Augusto Novelli. Ciampi ha un modo di recitare che crea consenso; riesce a essere persuasivo grazie a quel tono familiare che però proviene da una famiglia severa, improntata all'ordine e ai valori.
Elegante, indossa abiti di buona fattura, sorride intelligentemente sotto le sue spesse sopracciglia. Inseparabile da donna Franca, che spesso vedo con piacere a teatro.

12 - Piero Fassino - È il contraltare di Fini; non un Casanova ma un Don Giovanni, apparentemente molto freddo. Potrebbe interpretare anche Lucignolo, in una commedia buffa. Se invece pensiamo al pallore del suo viso, più che i panni dell'eroe romantico gli farei vestire quelli del personaggio sofferente. Un testo di Cechov, "La morte dell'impiegato", per esempio.

Pur non avendolo definito un protagonista, non si può non pensare a un Don Chisciotte, Fassino scatenato nel suo massimo impegno politico. Una bellissima immagine nella lotta contro i mulini a vento. Dovrebbe avere vicino Sancho Panza, che non so chi potrebbe essere... forse Rosy Bindi!

13 - Walter Veltroni - Mi resta difficile considerarlo nella categoria dei politici tradizionali, mi sembra anomalo, uno che non ha fatto l'accademia. Però come struttura, modi, tempi è un primo attore, naturalmente elegante. Un «primo attore» moderno. I suoi autori sono moderni, Calvino, per esempio. Lo vedrei ne "Le lezioni americane".

Fine scrittore, potrebbe essere autore di se stesso, protagonista di un monologo, scritto da sé, di una performance personale. Credo che potrebbe anche condividere idee di grandi teatrali come Heiner Müller. Non lontano da una certa cultura francese (Malraux), sposa anche la cultura americana.

Penso ad Arthur Miller di "Dopo la caduta", che ha a che fare con il maccartismo, in cui torna la sua formazione politica. O a "Lo straniero" di Camus. Alla fin fine, però, come interprete, visto che ha uno spirito conradiano, forse sceglierebbe il cinema.

14 - Letizia Moratti - I suoi modi di apparire, gestire, muoversi la fanno appartenere a quella schiera non numerosissima delle signore della scena. Una prima attrice, certo, ma in particolare una signora della scena: quelle che vanno da Maria Melato a Rossella Falk, fino a Maggie Smith. La commedia borghese è il suo genere. Alto borghese. Eleganza, raffinatezza, cultura, razionalizzazione dei fatti e delle cose, sentimenti in qualche modo trattenuti o fatti trasparire sempre con un certo mistero.

"L'aquila a due teste" di Cocteau. Ma in un momento di eccesso di entusiasmo potrebbe essere un'interprete di Wilde. La vedrei altrimenti sotto una lampada magenta leggere "La ragazza dei giacinti" di Eliot o essere interprete di "Cocktail Party".

15 - Emma Bonino - Mi affascina. È un'amica. L'ho conosciuta bene tempo fa, quando iniziava a far politica. Anch'io ero un compagno di strada dei radicali e lei abitava con Elisabetta Pozzi in Trastevere. È anomala, fuori dai canoni, senza dubbio una protagonista.

Genere: la grande Elsa Merlini oppure Dina Galli. Donne dalla fisicità molto particolare, con una grande forza carismatica. La Galli fu una delle più grandi attrici ironiche, per non dire comiche, graffianti della sua epoca ed Elsa Merlini era la signorina di tutti, insomma, una che riempiva i teatri. Raramente le donne riempiono i teatri in Italia, normalmente li riempiono gli uomini.

Interprete da commedia, finisce per sposare il cabaret impegnato. Fa pensare a Milly o a Adriana Asti che recita in francese testi di Testori. Sfiora la sperimentazione, però in realtà è portatrice di una concezione molto avanzata del teatro e della scena. Dibattito civile. Teatro civile.


Dagospia 15 Dicembre 2004