IL TEATRONE DELLA POLITICA/8 - COSSIGA "FOOL" SHAKESPEARIANO: IL SACRO GIULLARE CHE INDICA LA MANCANZA DI UN CENTRO, SCAGLIA LO SCETTRO DEL COMANDO GRIDANDO COSE SCOMBINATE.

Da "Il Teatrone della Politica", di Filippo Ceccarelli - Longanesi & C. (2003)

Una maschera per Cossiga

Come il presidente della Repubblica Sandro Pertini, all'inizio degli anni Ottanta, diede corpo alle prime forme di politica-spettacolo, così fu un altro capo dello Stato in carica, dieci anni dopo, ad accompagnare quel processo alla fase successiva, contrassegnata dallo spettacolo che si mangia la politica.

(Francesco cossiga e Sabrina Colle-U.Pizzi)


È difficile stabilire il momento esatto in cui Francesco Cossiga, che fino a quel momento era apparso come un personaggio piuttosto scolorito, scopri in sé e mise in scena la più straordinaria e bizzarra vocazione teatrale. Ma certo già il termine "picconate" correva al cuore e alla fantasia del pubblico. Perché il piccone fa rumore e solleva polvere, e quel che c'era prima sparisce di colpo sotto la violenza del ferro.

Ebbene, impugnato da un uomo finora schivo, quell'attrezzo gli attirò un'enorme popolarità. Nel 1992 Giovanni Berlinguer, che oltretutto di Cossiga è cugino di secondo grado, raccontò di essersi trovato di fronte a un rebus della "Settimana enigmistica" in cui la frase da decifrare era, appunto: "capo di Stato picconatore".

Ma dalle metafore Cossiga passò presto alle azioni, o meglio alle rappresentazioni, e meglio ancora alle trasformazioni. Così, un giorno, si presentò ai giornalisti con le mostrine dei Carabinieri cucite sulla giacca. Era un modo fulminante per mostrarsi più che vicino all'Arma. Ma poco dopo, in giro per Napoli, lo si vide per la prima volta senza giacca: indossava una T-shirt da adolescente su cui era impresso un verso di Rimbaud: HO ABBRACCIATO L'ALBA D'ESTATE.

In realtà era anche l'alba del suo spettacolo. Il presidente della Repubblica stava cominciando a uscire dagli schemi. E quando si esce dagli schemi lo spettacolo si fa appassionante.

Cossiga ha scoperto i misteri del teatro piuttosto tardi. Aveva passato da un bel pezzo i sessant'anni quando, nel pieno dei tormenti che infliggeva al ceto politico italiano, e anche a se stesso, si trovò a rimuginare intorno alla figura arcana del fool nel teatro elisabettiano. Il sacro giullare che indica la mancanza di un centro, scaglia lo scettro del comando e poi si mette a cercarlo a carponi, gridando cose scombinate, con quel suo buffo cappello ornato di campanellini.

Chi ama la politica, in genere, ama Shakespeare. E Cossiga decise probabilmente di metterlo addirittura in scena, di allestirsi il suo personale dramma shakespeariano.

È da dieci anni almeno che va in replica. Risultato: "Quando scendo dall'automobile", confessa, "è come se uscisse un animale esotico, la gente sgrana gli occhi". Cossiga lo chiama "effetto-canguro". Gli animali rientrano spesso nei suoi discorsi. Si è anche assegnato una bestiola totemica nella quale identificarsi: il Gatto Mammone.

I suoi seguaci, o meglio quelli che gli sono rimasti dopo esperienze per lo più fallimentari, vengono da lui abitualmente definiti "i Quattro Gatti". Per Natale Cossiga fa confezionare delle speciali cravatte con un grazioso logo felino; e, quando trova simpatico qualcuno, lo insignisce dell'ordine cavalleresco dei Quattro Gatti facendogli recapitare un prezioso stemma di legno e porcellana, da lui stesso disegnato.

Durante l'ultima campagna elettorale, di fronte ai fotografi che lo seguivano in un giro al mercato, ha apposto il suo autografo su una sogliola. Di recente si è messo a scherzare su un certo cane di Berlusconi che si sarebbe perso. A "Chiambretti c'è" ne ha anche mostrato la foto, è una specie di molossoide con la dentatura umana:

Da anni Cossiga fa e dice cose che nessun altro politico si sogna. Ad esempio racconta i propri sogni e ne trae pubbliche indicazioni per il presente e il futuro. Un giorno si è presentato a sorpresa a un'assemblea di amministratori, al teatro Argentina, velluti rossi, atmosfera solenne, politici compiaciuti del proprio ruolo. Per cortesia, gli hanno chiesto se voleva parlare. Lui è andato al microfono, si è schiarito la voce cavernosa, ha fatto un sorriso, ha fermato con un braccio l'applauso di circostanza e ha esordito così: "Stanotte ho fatto un sogno. Tutti noi, che stamattina siamo qui riuniti, finivamo in galera".

È una specialità di Cossiga presentarsi là dove non è atteso. E il suo massimo desiderio consiste nel veder rispecchiata nello sguardo altrui la meraviglia che suscita la sua compagnia teatrale Paradossi & Ribaltamenti. Si è dimesso da senatore a vita, cosa già assai complicata da organizzare in termini di prerogative istituzionali, e poi ha ritirato le dimissioni. Ma che spettacolo indimenticabile: pathos, lettere, lacrime, accuse furenti, ricordi di una vita, l'intera assemblea del Senato costretta a discutere di un qualcosa che non sarebbe avvenuto. Eppure nessuno si arrabbia più dell'ex presidente della Repubblica quando Berlusconi parla del "teatrino della politica".

Strano rapporto, il loro. Cossiga chiama Berlusconi "il Grande Puffo", oppure "Silviotto ciucciotto e ninna nanna". Un paio di volte ha evocato Priapo. Dice che gli piacerebbe vedere il Cavaliere "in mutande, mentre si alza durante la notte per una necessità e naturalmente non sa di essere visto". S'imbestialisce quando lo cerca e i centralinisti di Arcore gli rispondono: "Il dottore è a passeggio nel parco".

Una volta Berlusconi ha ammesso di essersi negato: Cossiga lo tempestava di telefonate mentre lui stava sulla barca, tanto che a un certo punto Veronica ha afferrato il telefonino minacciando di buttarlo in mare. C'è stato un momento in cui l'ex capo dello Stato ha dato dell'"Anticristo" al futuro presidente del Consiglio. Però poi figlio, nipote e segretario di Cossiga sono stati eletti nelle liste di Forza Italia; e lui stesso ha passato la sera del suo compleanno ospite nella villa sarda del Cavaliere, con mamma Rosa e il musico Apicella.

In breve, è imprevedibile. Cade davanti alla tomba di un discusso cardinale croato e si massacra una gamba. Dopo una delicata operazione, come prima cosa chiede con grande serietà se il gatto della clinica - il gatto! - ha gradito il pezzetto di colon appena toltogli dal chirurgo. Ha presieduto una riunione politica in pantofole. Ha accolto i giornalisti in camera da letto, con indosso eleganti pantaloncini "a coscetta". Si è fatto servire un whisky durante una conferenza stampa, spiegando poi: "Anche Aldo Moro, sapete..." Ha accettato di farsi psicanalizzare dalle Iene.



Frequenta Gheddafi e i separatisti baschi, il principe del gossip Roberto D'Agostino e certi coltissimi preti rosminiani. Sui telefoni di casa sua si può leggere: QUESTO APPARECCHIO POTREBBE ESSERE INTERCETTATO; mentre su un tavolino all'ingresso c'è un'altra targhetta: SI PREGA DI NON LASCIARE PISTOLE INCUSTODITE.

(Francesco Cossiga e Roberto D'Agostino-U.Pizzi)


La sua scrivania di Palazzo Giustiniani ha ospitato a lungo un pupazzo dell'Uomo Ragno che, opportunamente stimolato, diceva: "Ciao amico, sono l'Uomo Ragno! È ora di entrare in azione! La mia ragnatela è invisibile! " Sempre in occasione di un compleanno, dopo aver spento le candeline della torta, si è lasciato immortalare con un enorme peluche di Snoopy in braccio.

Ma attenzione, poiché tutto questo può rovesciarsi improvvisamente nel suo contrario. E allora Cossiga diventa terribile, e infatti tutti se lo tengono buono per il semplice e bastevole motivo che ne hanno paura. Hanno paura della sua ira primaria, barbaricina. Temono la disinvoltura crudele con cui maneggia la materia bassa, corporale, le malattie altrui, le debolezze umane. Atterrisce la facilità con cui evoca il segreto e il delitto. Spaventa insomma il suo teatro.

C'è in lui qualcosa che va oltre la parola. Senza farla troppo lunga, l'impressione è che egli si sia assegnato un ruolo di intermediario tra questo mondo e un altro misterioso; tra le forze che regolano la vita degli uomini e i simboli che da sempre ne accendono la fantasia.

Qualcosa che gli consente di trasfigurarsi in uno spazio svincolato dalle norme classiche della politica; secondo una logica che gli consente di fare tutto e il contrario di tutto.

Il censimento delle contraddizioni e dei silenzi di Cossiga sulla recente storia d'Italia si porterebbe via una ventina di pagine: politica interna, terrorismo, diplomazia e relazioni internazionali. E tuttavia vale qui la pena di far presente che, ben lungi dal facile opportunismo, il personaggio sembra piuttosto sfidare programmaticamente ogni linearità di movimento; perché Cossiga sembra procedere semmai a labirinto, a serpentina, a rosa dei venti, a vortice ritmico, non di rado in crescendo.

Allo stesso modo sarebbe troppo facile liquidare ogni sua stramberia con la logica del "caso clinico", come disse a suo tempo Ciriaco De Mita. È ormai da una dozzina d'anni che si tenta invano di spiegare l'anomalia di Cossiga con una giustificazione psichiatrica, o psicofarmaceutica. E poi lui stesso ha anticipato tutti dicendo: "Io, forse per paura di diventare matto, mi lascio trasportare dalla mia innocente follia a sperare in un'Italia diversa". Si fa trasportare. Come il fool, come il divino giullare, come lo sciamano.

Una sera, da Vespa, gli hanno organizzato un ballo sardo. Poi dall'inesauribile retropalco di "Porta a porta" gli hanno messo in mano un'antica maschera. Cossiga l'ha indossata d'istinto. L'immagine che è comparsa sul video era terrificante. Da mandare i bambini a dormire - ammesso che i bambini fossero in piedi a quell'ora della notte, a vedersi Bruno Vespa, Cossiga e il balletto sardo.

Ora, tra i compiti delle maschere c'è comunque, e senz'altro, quello di fare spavento. Il massimo dello spavento. Ha una forza terribile, la maschera, fra i primitivi è anche un segno di potere, la prova della detenzione di un segreto. Unico interprete autorizzato a mettersi la maschera sul volto era lo sciamano.

In Sardegna, terra d'origine dei Cossiga, c'è una sintomatica abbondanza di parole che indicano questa funzione. In logodurese lo stregone è detto "majarzu", da "majia", che vuol dire magia. Ma nel dizionario universale Rubattu si trova anche "brusciu", "istroligo", "cogu", "ecciseri", "mazineri" e "mainargiu".

Questo per dire il substrato culturale dal quale prende le mosse una carriera che si risolve in un trascorrere di vertigini dentro e fuori il potere; e che da un certo momento in poi sembra guidata da visioni.

Che cosa è infatti uno sciamano? È un individuo dotato di facoltà speciali, un po' guaritore, un po' veggente, qualcuno che segnala i pericoli, individua i colpevoli, fa ritrovare gli oggetti smarriti, non disdegna gli stati di possessione durante i quali si mostra consapevole di cose molto lontane, ai più indecifrabili.

Ecco, Cossiga è un po' tutte queste cose. Coltiva l'arte della beffa, sono anni che regala tricicli, pannolini, slip, monete di cioccolato, statuine di zucchero. Certo non guarisce le malattie, come Berlusconi, ma se si estende la vocazione taumaturgica sul piano della vita pubblica appare evidente che fin dai tempi del piccone Cossiga si propone come medicine man del sistema politico italiano.

E allora torna pure quel suo bizzarro rappresentarsi come il Gatto Mammone, che è un po' la versione fiabesca del Vecchio della Montagna, un'autorità rispetto alla quale tutti gli altri sono "ragazzi", "ragazzotti", o "ragazzini", anche se hanno più di sessant'anni.

E non capiranno mai la sottile linea che divide il matto da chi fa il matto: "E io faccio il matto", garantisce Cossiga. "Per la finzione del folle shakespeariano, io sono il finto matto che dice le cose come stanno." O come crede che siano.

8 - Continua


Dagospia 14 Gennaio 2005