IL TEATRONE DELLA POLITICA/12 - TUTTI NUDI: SGARBI SI FECE RIPRENDERE DOCILMENTE NELLE VARIE POSE, MOSTRĂ’ PER L'OCCORRENZA ANCHE IL SEDERE, UNA VOLTA RIVESTITOSI, RITIRĂ’ I SOLDI PATTUITI. ERA IL GENNAIO DEL 1993.
Da "Il Teatrone della Politica", di Filippo Ceccarelli - Longanesi & C. (2003)
NUDO DISSENNATO, NUDO DISPERATO
Ma perché si spogliano? Diamine, perché gli piace. "Siccome apparire è diventato un criterio di successo, si vuole apparire in qualunque modo", spiega il sessuologo Willy Pasini. E aggiunge: "Fino a qualche anno fa l'esibizionismo faceva parte di una categoria particolare di perversioni, mentre oggi non è considerato più una perversione".
Sarebbe interessante delimitare con esattezza quando e in che modo il denudamento dei politici ha cessato di essere una degenerazione. Può darsi che sia avvenuto per slittamenti progressivi, ma certo con la complicità dell'estate. La fabbrica del nudo nasce senz'altro come avventura stagionale.
I politici andavano al mare, e lì i fotografi li aspettavano, melliflui e rapinosi, per corredare le più scontate "interviste sotto l'ombrellone". Foto "in mutande", si chiamavano nel gergo delle redazioni. Erano i primissimi anni Ottanta, forse anche prima. In ogni caso pare di ricordare un De Mita sdraiato sulla spiaggia di Maiori, con vistoso catenone al collo; e un Craxi ad Hammamet, con un pareo colorato, orientaleggiante. Dopo tutto erano loro due, a quel tempo, gli uomini più potenti d'Italia; e le loro foto balneari rispecchiavano un indubbio cambio di stile.
O perlomeno: la generazione precedente non avrebbe mai fatto quel passo sulla strada dell'autoesposizione. Di Moro si diceva che si recasse sulla spiaggia di Terracina, in giacca e cravatta; e Berlinguer non andò mai oltre una foto in accappatoio. Forse, allora, era lo stesso sistema dell'informazione a disdegnare quel tipo di scatti, forse considerando irriguardosa ogni complicità da vicini di sdraio.
Poi però qualcuno deve averci preso gusto. Fatto sta che un po' alla volta i giornali cominciarono a offrire ai loro lettori - e i politici ai loro elettori - zone sempre più estese di nudità partitica e parlamentare, sia pure in sintomatico abbinamento con asciugamani, zoccoli, slip e slippini.
Con il pretesto della normalità si videro Spadolini che nuotava a Castiglioncello, Fini sotto la doccia, Scognamiglio al bagno, Bossi che scriveva sulla sabbia con un bastoncino. E Martelli che prendeva il sole con la fidanzata tenendola per la manina. E Del Noce che si spalmava la cremina. E Casini che si cambiava il costume da bagno. Come fanno tutti. Solo che loro non erano "tutti".
In quanto personaggi pubblici, i politici sono di più e insieme meno di "tutti". Per cui, finita l'estate, chiusi gli ombrelloni e tirate in secco le barche, si trovarono comunque a fronteggiare richieste sempre più esigenti e spudorate. Alcuni le assecondarono; altri presero decisamente l'iniziativa.
Quando l'imprenditore Luciano Benetton si fece fotografare completamente nudo da Oliviero Toscani per una pagina di pubblicità con le mani intrecciate sulle "vergogne" a mo' di foglia di fico, era pur sempre un senatore dell'austero Partito Repubblicano. Lo scandalo, tuttavia, sembrò limitato.
Ma il mondo dell'informazione prese a ribollire dalla voglia: bisognava presto spogliarne un altro, possibilmente un politico vero. Il direttore dell'"Espresso" Claudio Rinaldi individuò al primo colpo Vittorio Sgarbi, che aveva il valore aggiunto di essere anche un personaggio televisivo, oltre che un sicuro oggetto del desiderio femminile. Spedì quindi da Sgarbi il giornalista Guido Quaranta, più che a tastare il terreno, a fargli l'oscena proposta, con tanto di offerta economica.
Sgarbi l'ascoltò e tacque a lungo, poi disse: "Del resto, un deputato, per una volta nudo, è molto meno scandaloso di tanti altri sempre ben vestiti". A parte un ritardo di tre ore e mezzo, le riprese fotografiche filarono lisce. L'onorevole si fece riprendere docilmente nelle varie pose, mostrò per l'occorrenza anche il sedere, e alla fine della seduta, una volta rivestitosi, ritirò i soldi pattuiti. Era il gennaio del 1993.
Quando uscì "l'Espresso" molti pensarono: l'ha fatto Sgarbi, lo posso fare anch'io. Da allora la strada del nudo e del seminudo in posa venne dichiarata aperta. Il sindaco di Milano Gabriele Albertini, che pure appariva persona misurata e tranquilla, si mostrò per ben due volte. La prima su un prato, in alta montagna, uno scenario incongruo; la seconda ai margini di una sfilata di moda, per reclamizzare certe preziose mutande in cachemire.
Tra il primo e il secondo spogliarello - per dire le stravaganze del potere quando incrocia gli spettacoli - Albertini piantò una grana ai vigili urbani milanesi perché portavano i capelli lunghi.
A quel punto si aprì comunque il ciclo dei sindaci. Primo fra tutti Rutelli, beccato per la verità mentre faceva il bagno nel mare di Sabaudia. Ma i settimanali popolari furono abili ad attizzare la gelosia, o lo spirito d'emulazione esibizionistica di tanti altri amministratori. Si lasciò dunque fotografare in costume da bagno l'allora sindaco di Catania Enzo Bianco, a colori naturalmente, e in posa da sirenetto.
Poi toccò al sindaco di Bologna Walter Vitali; e via via a quello di Brindisi, che si mostrò abbracciato a una palma; a quello di Benevento, con fascia tricolore sulla nuda pelle; e a quello di Ancona, che con l'aria in verità un po' interlocutoria recava in mano un vassoio di pesce. Crudo.
Dice: ma non erano nudi, il costume, ce l'avevano. Vero, ce l'avevano - anche se le loro mutande da bagno avrebbero meritato un'indagine supplementare. Però Marina Ripa di Meana no, niente costume. La moglie del leader verde Carlo non era esattamente nuova al genere di foto di cui qui si tratta.
Per protesta contro gli esperimenti nucleari a Mururoa, una volta aveva anche scalato Palazzo Farnese, sede dell'ambasciata francese; e poi - ma solo poi - si era venuto a sapere che durante quell'impresa acrobatica non aveva le mutande. Ebbene, dopo i sindaci seminudi Marina comparve su tutti i giornali ostentando, in piedi, con aria di sfida, un pelo pubico così scuro e folto che ai più parve posticcio. L'immagine provocatoria aveva a che fare con una campagna animalista contro la strage di animali da pelliccia.
Come nel caso di Sgarbi, molti devono aver pensato: se l'ha fatto Marina Ripa di Meana perché non posso farlo io? Le vie che portano al nudismo sono infatti quasi infinite. C'era quindi anche quella: nudi, ma buoni. Anzi, nudi perché buoni, impegnati, solidali. Di lì a poco sarebbe scattata la moda benefica dei calendari. E come ulteriore incoraggiamento, venne il successo di un film come "The Full Monty" che assegnava agli spogliarelli maschili un qualche ruolo nella lotta contro la disoccupazione.
Si spogliò dunque in mutande l'onorevole Paolo Cento; poi, per il restauro di un santuario, si denudò il sindaco di Serravalle Sesia; quindi, con l'idea o il pretesto di devolvere gli introiti a un'associazione contro il cancro, posarono nudi per un calendario gli amministratori di Latina; e poi quelli di Pescara; e poi ancora gli assessori al turismo del Levante.
Morale, a consultare le banche dati elettroniche negli ultimi due anni si è sommersi da una quantità di spogliarelli di protesta, o di beneficenza, o autopromozionali, o che nemmeno si capiscono tanto, dai COBAS ad Azione Giovani, lungo un arco politico che si estende, ormai al di là del buon senso, in una dimensione che magari non sarà più perversa, come spiegava all'inizio il sessuologo Pasini, ma certo ha normalizzato le relazioni tra esibizionisti e guardoni.
Rispetto a tutto ciò, il sospetto è che la politica abbia smarrito, oltre alle ideologie e alle appartenenze, il suo pudore. Anche per questo sembra condannata a vivere di sguardi rapidi ed effimeri soprassalti. Pur di conquistare un attimo di attenzione, pur di rompere l'indifferenza, si mette a nudo. Ma si consuma anche. E comunque scherza con il fuoco dei sensi.
Perché il nudo potrà essere dissennato, nella sua illusoria spensieratezza, ma funziona magnificamente bene quando deve risultare disperato. E qui allora non si può fare a meno di ricordare che nel novembre del 1995 il genio spettacolare di Pannella, con una modica spesa, colse di sorpresa l'intera stampa mostrando in un grazioso teatro romano - per giunta intitolato a Ennio Flaiano - otto corpi nudi che sembravano ancora più nudi perché inflacciditi dall'età, dal digiuno e dallo stesso disperato obiettivo politico - del quale tuttavia si è persa la memoria.
Sul palco spoglio c'erano otto dirigenti e militanti radicali, sette uomini e una donna, otto disgraziati che mai avrebbero pensato di farsi vedere in quel modo e che evidentissimamente ne soffrivano. Erano lì come sospinti da una violenza aliena da qualsiasi esibizionismo, eppure esibivano una nudità fanatica che consapevolmente evocava certe immagini da lager.
Dal retropalco Pannella - che non si era spogliato - ci dava dentro recitando brani di Isaia e sue creazioni, pure di timbro profetico: "Questa è la nuda verità", "questi sono i nostri corpi nudi", "la nostra denudata politica", "la nostra nuda lotta", "le nostre nude mani". E di fronte a quella carne moscia e vergognosa sparivano per un attimo dall'orizzonte nevrotico della vita pubblica le tante altre vane nudità, i segni di una crisi, le fatiche della spudoratezza.
12 - continua
Dagospia 20 Gennaio 2005
NUDO DISSENNATO, NUDO DISPERATO
Ma perché si spogliano? Diamine, perché gli piace. "Siccome apparire è diventato un criterio di successo, si vuole apparire in qualunque modo", spiega il sessuologo Willy Pasini. E aggiunge: "Fino a qualche anno fa l'esibizionismo faceva parte di una categoria particolare di perversioni, mentre oggi non è considerato più una perversione".
Sarebbe interessante delimitare con esattezza quando e in che modo il denudamento dei politici ha cessato di essere una degenerazione. Può darsi che sia avvenuto per slittamenti progressivi, ma certo con la complicità dell'estate. La fabbrica del nudo nasce senz'altro come avventura stagionale.
I politici andavano al mare, e lì i fotografi li aspettavano, melliflui e rapinosi, per corredare le più scontate "interviste sotto l'ombrellone". Foto "in mutande", si chiamavano nel gergo delle redazioni. Erano i primissimi anni Ottanta, forse anche prima. In ogni caso pare di ricordare un De Mita sdraiato sulla spiaggia di Maiori, con vistoso catenone al collo; e un Craxi ad Hammamet, con un pareo colorato, orientaleggiante. Dopo tutto erano loro due, a quel tempo, gli uomini più potenti d'Italia; e le loro foto balneari rispecchiavano un indubbio cambio di stile.
O perlomeno: la generazione precedente non avrebbe mai fatto quel passo sulla strada dell'autoesposizione. Di Moro si diceva che si recasse sulla spiaggia di Terracina, in giacca e cravatta; e Berlinguer non andò mai oltre una foto in accappatoio. Forse, allora, era lo stesso sistema dell'informazione a disdegnare quel tipo di scatti, forse considerando irriguardosa ogni complicità da vicini di sdraio.
Poi però qualcuno deve averci preso gusto. Fatto sta che un po' alla volta i giornali cominciarono a offrire ai loro lettori - e i politici ai loro elettori - zone sempre più estese di nudità partitica e parlamentare, sia pure in sintomatico abbinamento con asciugamani, zoccoli, slip e slippini.
Con il pretesto della normalità si videro Spadolini che nuotava a Castiglioncello, Fini sotto la doccia, Scognamiglio al bagno, Bossi che scriveva sulla sabbia con un bastoncino. E Martelli che prendeva il sole con la fidanzata tenendola per la manina. E Del Noce che si spalmava la cremina. E Casini che si cambiava il costume da bagno. Come fanno tutti. Solo che loro non erano "tutti".
In quanto personaggi pubblici, i politici sono di più e insieme meno di "tutti". Per cui, finita l'estate, chiusi gli ombrelloni e tirate in secco le barche, si trovarono comunque a fronteggiare richieste sempre più esigenti e spudorate. Alcuni le assecondarono; altri presero decisamente l'iniziativa.
Quando l'imprenditore Luciano Benetton si fece fotografare completamente nudo da Oliviero Toscani per una pagina di pubblicità con le mani intrecciate sulle "vergogne" a mo' di foglia di fico, era pur sempre un senatore dell'austero Partito Repubblicano. Lo scandalo, tuttavia, sembrò limitato.
Ma il mondo dell'informazione prese a ribollire dalla voglia: bisognava presto spogliarne un altro, possibilmente un politico vero. Il direttore dell'"Espresso" Claudio Rinaldi individuò al primo colpo Vittorio Sgarbi, che aveva il valore aggiunto di essere anche un personaggio televisivo, oltre che un sicuro oggetto del desiderio femminile. Spedì quindi da Sgarbi il giornalista Guido Quaranta, più che a tastare il terreno, a fargli l'oscena proposta, con tanto di offerta economica.
Sgarbi l'ascoltò e tacque a lungo, poi disse: "Del resto, un deputato, per una volta nudo, è molto meno scandaloso di tanti altri sempre ben vestiti". A parte un ritardo di tre ore e mezzo, le riprese fotografiche filarono lisce. L'onorevole si fece riprendere docilmente nelle varie pose, mostrò per l'occorrenza anche il sedere, e alla fine della seduta, una volta rivestitosi, ritirò i soldi pattuiti. Era il gennaio del 1993.
Quando uscì "l'Espresso" molti pensarono: l'ha fatto Sgarbi, lo posso fare anch'io. Da allora la strada del nudo e del seminudo in posa venne dichiarata aperta. Il sindaco di Milano Gabriele Albertini, che pure appariva persona misurata e tranquilla, si mostrò per ben due volte. La prima su un prato, in alta montagna, uno scenario incongruo; la seconda ai margini di una sfilata di moda, per reclamizzare certe preziose mutande in cachemire.
Tra il primo e il secondo spogliarello - per dire le stravaganze del potere quando incrocia gli spettacoli - Albertini piantò una grana ai vigili urbani milanesi perché portavano i capelli lunghi.
A quel punto si aprì comunque il ciclo dei sindaci. Primo fra tutti Rutelli, beccato per la verità mentre faceva il bagno nel mare di Sabaudia. Ma i settimanali popolari furono abili ad attizzare la gelosia, o lo spirito d'emulazione esibizionistica di tanti altri amministratori. Si lasciò dunque fotografare in costume da bagno l'allora sindaco di Catania Enzo Bianco, a colori naturalmente, e in posa da sirenetto.
Poi toccò al sindaco di Bologna Walter Vitali; e via via a quello di Brindisi, che si mostrò abbracciato a una palma; a quello di Benevento, con fascia tricolore sulla nuda pelle; e a quello di Ancona, che con l'aria in verità un po' interlocutoria recava in mano un vassoio di pesce. Crudo.
Dice: ma non erano nudi, il costume, ce l'avevano. Vero, ce l'avevano - anche se le loro mutande da bagno avrebbero meritato un'indagine supplementare. Però Marina Ripa di Meana no, niente costume. La moglie del leader verde Carlo non era esattamente nuova al genere di foto di cui qui si tratta.
Per protesta contro gli esperimenti nucleari a Mururoa, una volta aveva anche scalato Palazzo Farnese, sede dell'ambasciata francese; e poi - ma solo poi - si era venuto a sapere che durante quell'impresa acrobatica non aveva le mutande. Ebbene, dopo i sindaci seminudi Marina comparve su tutti i giornali ostentando, in piedi, con aria di sfida, un pelo pubico così scuro e folto che ai più parve posticcio. L'immagine provocatoria aveva a che fare con una campagna animalista contro la strage di animali da pelliccia.
Come nel caso di Sgarbi, molti devono aver pensato: se l'ha fatto Marina Ripa di Meana perché non posso farlo io? Le vie che portano al nudismo sono infatti quasi infinite. C'era quindi anche quella: nudi, ma buoni. Anzi, nudi perché buoni, impegnati, solidali. Di lì a poco sarebbe scattata la moda benefica dei calendari. E come ulteriore incoraggiamento, venne il successo di un film come "The Full Monty" che assegnava agli spogliarelli maschili un qualche ruolo nella lotta contro la disoccupazione.
Si spogliò dunque in mutande l'onorevole Paolo Cento; poi, per il restauro di un santuario, si denudò il sindaco di Serravalle Sesia; quindi, con l'idea o il pretesto di devolvere gli introiti a un'associazione contro il cancro, posarono nudi per un calendario gli amministratori di Latina; e poi quelli di Pescara; e poi ancora gli assessori al turismo del Levante.
Morale, a consultare le banche dati elettroniche negli ultimi due anni si è sommersi da una quantità di spogliarelli di protesta, o di beneficenza, o autopromozionali, o che nemmeno si capiscono tanto, dai COBAS ad Azione Giovani, lungo un arco politico che si estende, ormai al di là del buon senso, in una dimensione che magari non sarà più perversa, come spiegava all'inizio il sessuologo Pasini, ma certo ha normalizzato le relazioni tra esibizionisti e guardoni.
Rispetto a tutto ciò, il sospetto è che la politica abbia smarrito, oltre alle ideologie e alle appartenenze, il suo pudore. Anche per questo sembra condannata a vivere di sguardi rapidi ed effimeri soprassalti. Pur di conquistare un attimo di attenzione, pur di rompere l'indifferenza, si mette a nudo. Ma si consuma anche. E comunque scherza con il fuoco dei sensi.
Perché il nudo potrà essere dissennato, nella sua illusoria spensieratezza, ma funziona magnificamente bene quando deve risultare disperato. E qui allora non si può fare a meno di ricordare che nel novembre del 1995 il genio spettacolare di Pannella, con una modica spesa, colse di sorpresa l'intera stampa mostrando in un grazioso teatro romano - per giunta intitolato a Ennio Flaiano - otto corpi nudi che sembravano ancora più nudi perché inflacciditi dall'età, dal digiuno e dallo stesso disperato obiettivo politico - del quale tuttavia si è persa la memoria.
Sul palco spoglio c'erano otto dirigenti e militanti radicali, sette uomini e una donna, otto disgraziati che mai avrebbero pensato di farsi vedere in quel modo e che evidentissimamente ne soffrivano. Erano lì come sospinti da una violenza aliena da qualsiasi esibizionismo, eppure esibivano una nudità fanatica che consapevolmente evocava certe immagini da lager.
Dal retropalco Pannella - che non si era spogliato - ci dava dentro recitando brani di Isaia e sue creazioni, pure di timbro profetico: "Questa è la nuda verità", "questi sono i nostri corpi nudi", "la nostra denudata politica", "la nostra nuda lotta", "le nostre nude mani". E di fronte a quella carne moscia e vergognosa sparivano per un attimo dall'orizzonte nevrotico della vita pubblica le tante altre vane nudità, i segni di una crisi, le fatiche della spudoratezza.
12 - continua
Dagospia 20 Gennaio 2005