MISTERI DI STATO - TONI BISAGLIA È STATO AMMAZZATO? IL GAZZETTINO INTERVISTA CARLO PELLEGRINI, SUO SEGRETARIO E COLLABORATORE FEDELE, CHE PARLA ANCHE DELLA STRAGE DI USTICA.
Giuseppe Pietrobelli per Il Gazzettino
Una verità «accettabile» sulla fine del senatore Antonio Bisaglia. Non una verità di comodo come si è voluto accreditare per tanti anni, dopo la frettolosa chiusura della cassa da morto, alla presenza del senatore Francesco Cossiga e del capo della segreteria del Quirinale, Antonio Maccanico. Non una assenza di verità, frutto di un'inchiesta giudiziaria assolutamente superficiale svolta a Chiavari nel 1984 e conclusa da un'archiviazione senza approfondimenti investigativi.
E neppure una verità che possa soltanto illudere, ventuno anni dopo, di aver trovato una spiegazione plausibile su ciò che accadde a bordo del "Rosalù" in un assolato pomeriggio di giugno al largo di Paraggi, quando il potente democristiano polesano cadde dal panfilo della moglie Romilda Bollati di Saint Pierre e annegò.
In questi anni Carlo Pellegrini, che di Bisaglia fu segretario e collaboratore fedele, ha parlato sempre molto poco. Perlopiù si è affidato a dichiarazioni scritte. Ma adesso sa che sta passando l'ultimo treno, con l'inchiesta riaperta a Chiavari anche grazie all'istruttoria in corso a Belluno sulla morte di don Mario Bisaglia, il fratello prete. È l'ultima occasione di trovare quella verità. Per questo ha deciso di parlare. Esternando più dubbi che certezze, più ragionamenti e aspettative che fatti. Un contributo importante, mentre gli amici del senatore hanno formalmente chiesto al procuratore di Chiavari di riesumare la salma di Toni, per scoprire se qualcuno gli ha fracassato la testa.
Perchè ha accettato di parlare?
«Perchè da vent'anni ogni volta che incontro gli amici ex democristiani o vengo avvicinato da persone anche fuori Rovigo, mi sento fare sempre la stessa domanda: "Toni Bisaglia è morto annegato o è stato ammazzato?". Io ho un solo desiderio, che si trovi una risposta. Forse il momento è arrivato».
Si riferisce alla riapertura dell'inchiesta a Chiavari?
«Esatto. È arrivato il momento per poter avere la certezza se Toni Bisaglia è stato o non è stato colpito con un corpo contundente, ovvero da quell'asta che fu recuperata in mare e consegnata alla Capitaneria di Porto».
Cosa si aspetta?
«So che è l'ultima occasione per accertare la verità. E siamo convinti - ne abbiamo scritto al procuratore di Chiavari - che sia ancora tecnicamente possibile stabilire se il cranio venne offeso, colpito...».
Solo l'autopsia può accertare se vi fu una frattura cranica, visto che le foto dell'epoca riportano un vistoso segno al volto e sulla parte occipitale sinistra.
«Le foto non le ho viste. Se l'autopsia escludesse una frattura, torneremmo nelle nebbie. Ma se confermasse lesioni tali da poter affermare che Toni Bisaglia fu colpito alla testa, la nebbia si diraderebbe. E la fisica ci può aiutare a capire se il colpo fu ricevuto mentre stava in piedi o se si sia procurato la lesione cadendo».
Perchè non si è placato il dubbio con la teoria dell'incidente?
«Se la gente, gli amici, dopo tanto tempo continuano a porsi quella domanda, è evidente che l'idea dell'evento casuale non è stata accettata. La versione è stata accreditata, ma non accettata. E se non ci sarà un'autopsia, quella domanda continueranno a porsela».
Chi?
«Tutti, l'unico che mi sembra non se la stia ponendo è l'attuale capogruppo di Forza Italia, Renzo Marangon, forse perchè è impegnato in campagna elettorale».
Lei era molto legato anche a don Mario. Cosa vi dicevate nel '92, quando riaffiorarono i dubbi del sacerdote sulla morte del fratello?
«La tragica fine di don Mario ha fatto esplodere l'attenzione e la memoria. Lui ne parlava con tutti, perchè non aveva mai creduto alla versione ufficiale. Ma dopo la morte di Toni calò un silenzio totale. Ci fu una frattura nei rapporti tra la vedova e gli amici di Toni. L'unico che teneva quei rapporti era un nipote, l'avvocato Mario Testa di Padova».
Perchè quella frattura?
«Bisaglia aveva sempre tenuto distinti i propri collaboratori, chi lavorava con lui e per la Dc, e i propri parenti. Erano due mondi vicini, ma separati. E non vedeva spesso neppure don Mario».
Quando don Mario le esternò i dubbi?
«Sempre, ne parlavamo ogni volta che ci trovavamo. Ma io lo invitavo a non vedere dappertutto streghe, servizi segreti, P2. Anzi, tentavo di farlo ragionare. Ma quando ci si ritrovava si ricominciava dagli stessi dubbi».
Quindi non la stupì l'intervista a un settimanale dei primi mesi del '92?
«No, ma dissi a don Mario di non farsi strumentalizzare da chi non aveva scrupoli».
Le disse nulla delle confidenze ricevute da un misterioso "mister X"?
«No, anche se per mesi mi sforzai di smontare i suoi dubbi. Ma ricordo che dopo la morte di don Mario ci fu un periodo in cui anche gli amici mi dicevano di stare attento, di non parlare. Ci fu un periodo di misteri».
A lungo si è pensato che don Mario potesse essersi suicidato. Anche lei lo pensò?
«Mai. Come fa ad uccidersi un sacerdote che per 15 anni, quale responsabile dell'Unitalsi, ha dedicato anima e corpo per dare una speranza impossibile a tanti malati? Il suicidio era una contraddizione assoluta».
Lei non condivideva i dubbi sulla fine di Toni Bisaglia. Da allora ha mai cambiato idea?
«La scorsa estate, ma purtroppo senza avere fatti concreti. Lessi un libro sull'uccisione di Aldo Moro, sui misteri di quegli anni, su un musicista fiorentino indicato quale grande vecchio della strategia brigatista. E alla fine della lettura sono andato dall'onorevole Zanforlin, presidente dell'Associazione degli amici di Bisaglia...».
E cosa gli disse?
«"Sai cosa ti dico? Che Toni Bisaglia è stato ammazzato..."».
Da chi?
«Non lo so».
Da qualche strano "apparato"?
«Non lo so. Ma mi sono posto altre domande. Ad esempio perchè dopo la strage di Bologna Toni Bisaglia andò in consiglio dei ministri a dire che forse era servita per far dimenticare la strage di Ustica. Chi glielo aveva detto? Quale era la sua fonte?».
Altre domande?
«Più recentemente ho sentito in televisione il senatore Cossiga rispondere a un giornalista che una certa domanda andava posta a Maccanico. Possibile che un ex presidente della Repubblica non abbia il coraggio di rispondere in prima persona, quando è in gioco la morte di un suo amico?».
Ha elementi per poter affermare che Toni Bisaglia è stato ucciso?
«Se li avessi, sarei già andato in Procura. Eppure... Non so chi, ma qualcuno ce lo ha portato via».
Dagospia 24 Marzo 2005
Una verità «accettabile» sulla fine del senatore Antonio Bisaglia. Non una verità di comodo come si è voluto accreditare per tanti anni, dopo la frettolosa chiusura della cassa da morto, alla presenza del senatore Francesco Cossiga e del capo della segreteria del Quirinale, Antonio Maccanico. Non una assenza di verità, frutto di un'inchiesta giudiziaria assolutamente superficiale svolta a Chiavari nel 1984 e conclusa da un'archiviazione senza approfondimenti investigativi.
E neppure una verità che possa soltanto illudere, ventuno anni dopo, di aver trovato una spiegazione plausibile su ciò che accadde a bordo del "Rosalù" in un assolato pomeriggio di giugno al largo di Paraggi, quando il potente democristiano polesano cadde dal panfilo della moglie Romilda Bollati di Saint Pierre e annegò.
In questi anni Carlo Pellegrini, che di Bisaglia fu segretario e collaboratore fedele, ha parlato sempre molto poco. Perlopiù si è affidato a dichiarazioni scritte. Ma adesso sa che sta passando l'ultimo treno, con l'inchiesta riaperta a Chiavari anche grazie all'istruttoria in corso a Belluno sulla morte di don Mario Bisaglia, il fratello prete. È l'ultima occasione di trovare quella verità. Per questo ha deciso di parlare. Esternando più dubbi che certezze, più ragionamenti e aspettative che fatti. Un contributo importante, mentre gli amici del senatore hanno formalmente chiesto al procuratore di Chiavari di riesumare la salma di Toni, per scoprire se qualcuno gli ha fracassato la testa.
Perchè ha accettato di parlare?
«Perchè da vent'anni ogni volta che incontro gli amici ex democristiani o vengo avvicinato da persone anche fuori Rovigo, mi sento fare sempre la stessa domanda: "Toni Bisaglia è morto annegato o è stato ammazzato?". Io ho un solo desiderio, che si trovi una risposta. Forse il momento è arrivato».
Si riferisce alla riapertura dell'inchiesta a Chiavari?
«Esatto. È arrivato il momento per poter avere la certezza se Toni Bisaglia è stato o non è stato colpito con un corpo contundente, ovvero da quell'asta che fu recuperata in mare e consegnata alla Capitaneria di Porto».
Cosa si aspetta?
«So che è l'ultima occasione per accertare la verità. E siamo convinti - ne abbiamo scritto al procuratore di Chiavari - che sia ancora tecnicamente possibile stabilire se il cranio venne offeso, colpito...».
Solo l'autopsia può accertare se vi fu una frattura cranica, visto che le foto dell'epoca riportano un vistoso segno al volto e sulla parte occipitale sinistra.
«Le foto non le ho viste. Se l'autopsia escludesse una frattura, torneremmo nelle nebbie. Ma se confermasse lesioni tali da poter affermare che Toni Bisaglia fu colpito alla testa, la nebbia si diraderebbe. E la fisica ci può aiutare a capire se il colpo fu ricevuto mentre stava in piedi o se si sia procurato la lesione cadendo».
Perchè non si è placato il dubbio con la teoria dell'incidente?
«Se la gente, gli amici, dopo tanto tempo continuano a porsi quella domanda, è evidente che l'idea dell'evento casuale non è stata accettata. La versione è stata accreditata, ma non accettata. E se non ci sarà un'autopsia, quella domanda continueranno a porsela».
Chi?
«Tutti, l'unico che mi sembra non se la stia ponendo è l'attuale capogruppo di Forza Italia, Renzo Marangon, forse perchè è impegnato in campagna elettorale».
Lei era molto legato anche a don Mario. Cosa vi dicevate nel '92, quando riaffiorarono i dubbi del sacerdote sulla morte del fratello?
«La tragica fine di don Mario ha fatto esplodere l'attenzione e la memoria. Lui ne parlava con tutti, perchè non aveva mai creduto alla versione ufficiale. Ma dopo la morte di Toni calò un silenzio totale. Ci fu una frattura nei rapporti tra la vedova e gli amici di Toni. L'unico che teneva quei rapporti era un nipote, l'avvocato Mario Testa di Padova».
Perchè quella frattura?
«Bisaglia aveva sempre tenuto distinti i propri collaboratori, chi lavorava con lui e per la Dc, e i propri parenti. Erano due mondi vicini, ma separati. E non vedeva spesso neppure don Mario».
Quando don Mario le esternò i dubbi?
«Sempre, ne parlavamo ogni volta che ci trovavamo. Ma io lo invitavo a non vedere dappertutto streghe, servizi segreti, P2. Anzi, tentavo di farlo ragionare. Ma quando ci si ritrovava si ricominciava dagli stessi dubbi».
Quindi non la stupì l'intervista a un settimanale dei primi mesi del '92?
«No, ma dissi a don Mario di non farsi strumentalizzare da chi non aveva scrupoli».
Le disse nulla delle confidenze ricevute da un misterioso "mister X"?
«No, anche se per mesi mi sforzai di smontare i suoi dubbi. Ma ricordo che dopo la morte di don Mario ci fu un periodo in cui anche gli amici mi dicevano di stare attento, di non parlare. Ci fu un periodo di misteri».
A lungo si è pensato che don Mario potesse essersi suicidato. Anche lei lo pensò?
«Mai. Come fa ad uccidersi un sacerdote che per 15 anni, quale responsabile dell'Unitalsi, ha dedicato anima e corpo per dare una speranza impossibile a tanti malati? Il suicidio era una contraddizione assoluta».
Lei non condivideva i dubbi sulla fine di Toni Bisaglia. Da allora ha mai cambiato idea?
«La scorsa estate, ma purtroppo senza avere fatti concreti. Lessi un libro sull'uccisione di Aldo Moro, sui misteri di quegli anni, su un musicista fiorentino indicato quale grande vecchio della strategia brigatista. E alla fine della lettura sono andato dall'onorevole Zanforlin, presidente dell'Associazione degli amici di Bisaglia...».
E cosa gli disse?
«"Sai cosa ti dico? Che Toni Bisaglia è stato ammazzato..."».
Da chi?
«Non lo so».
Da qualche strano "apparato"?
«Non lo so. Ma mi sono posto altre domande. Ad esempio perchè dopo la strage di Bologna Toni Bisaglia andò in consiglio dei ministri a dire che forse era servita per far dimenticare la strage di Ustica. Chi glielo aveva detto? Quale era la sua fonte?».
Altre domande?
«Più recentemente ho sentito in televisione il senatore Cossiga rispondere a un giornalista che una certa domanda andava posta a Maccanico. Possibile che un ex presidente della Repubblica non abbia il coraggio di rispondere in prima persona, quando è in gioco la morte di un suo amico?».
Ha elementi per poter affermare che Toni Bisaglia è stato ucciso?
«Se li avessi, sarei già andato in Procura. Eppure... Non so chi, ma qualcuno ce lo ha portato via».
Dagospia 24 Marzo 2005