DAGO & FILO - STORIE, FAVOLE E LEGGENDE DI PR, DISTILLATO DI TUTTI I FASTI E DI TUTTE LE MISERIE DELLA MODA - QUELLA CHE DEVE TENERE LA MANO ALLA BOSS DEPRESSA CHE INIZIA A BERE ALLE 11 DEL MATTINO, QUELLA CHE PER ANNI SI È SORBITA GLI INSULTI...
Fabiana Giacomotti per MFFashion
Quella che deve tenere la mano alla boss depressa che inizia a bere - forte - alle 11 del mattino e ogni tanto non riesce a salire su un aereo. Quella che per anni si è sorbita gli insulti a sfondo sessuale del boss che poi si scusava con un mazzo di fiori e la collega che gli insulti se li prende ancora (i fiori chissà). Quella di grande educazione, che è sempre così sollecita nelle più stravaganti, esose richieste delle (e dei) giornalisti da far sospettare che tanta solerzia sia in realtà espressione di massimo disprezzo.
Quella che viene scaricata dalla sera all'alba perché non ha voluto fare combine con una delle suddette giornaliste che per vendetta ha organizzato una campagna denigratoria nei suoi confronti e in un ambiente così aleatorio ogni tanto le campagne alla Rochefoucauld («calunniate, calunniate, qualcosa resterà») funzionano. Ma anche quella che non trovi mai perché alle 5 del pomeriggio porta i bambini in piscina (o dal dentista, o in montagna in T-shirt e pantaloni della tuta perché non posso ricordarmi tutto) e se devi verificare una notizia sono affari tuoi, lei per sicurezza spegne il cellulare fino alla mattina dopo.
Quella che mente sulla disponibilità di abiti e oggetti perché non ha voglia di percorrere i 500 metri che separano il suo ufficio dalla showroom o dalla boutique e fa perdere un'opportunità di uscita sulla stampa alla maison. Oppure quello che decide-lui-chi-va-intervistato- in-azienda-perché-negli-Usa- si-fa-così-e-i-giornalisti-non-sono-così-rognosi-come-in-Italia (e poi uno dice che l'Ordine non serve...). Storie, favole e leggende di pr. Anzi, di pr di moda, che in una categoria già poco regolamentata e riconosciuta in Italia come le relazioni pubbliche ne sono la massima espressione, il distillato di tutti i fasti (veri o presunti non importa) e di tutte le miserie.
Professione - quella di pr di moda - relativamente nuova in Italia, dove non ha più di 50 anni, spesso abusata nella sostanza e nella forma, comunque difficile da definire. Di un pr in un settore -poniamo- delle telecomunicazioni, si sa perfettamente cosa faccia della sua giornata: tiene i rapporti con le istituzioni (della stampa si occupa l'ufficio stampa, con cui il pr è per forza di cose a stretto contatto), organizza eventi di alto o medio livello, quasi sempre si occupa dell'immagine del presidente e dell'amministratore delegato.
Nelle aziende più piccole, pr e ufficio stampa fanno capo alla stessa persona. In nessun caso, nelle telecomunicazioni, il pr fa da baby sitter, dog sitter, nanny, governante, organizzatore delle vacanze della famiglia del boss. Nella moda, lo fa nel 90% dei casi. Lo fa in quanto la sua natura di donna - come è nella stragrande maggioranza - la porta ad essere naturalmente (anche se non spontaneamente) coinvolta in faccende personali; lo fa perché in un settore ancora molto imprenditorial-familiare come l'industria fashion italiana, la pr viene considerata un'estensione della famiglia. Con tutto ciò che ne consegue, soprattutto in termini di considerazione professionale.
Ne è prova il fatto che mai come in questi mesi si assista una verifica-ribaltone ai vertici o nelle seconde file delle uffici di pubbliche relazioni e che per alcune aziende sia difficilissimo trovare professionisti all'altezza o, al contrario, disponibili ad assumersi il ruolo di maggiordomi tuttofare o di improbabili pacieri in ambienti familiari multiformi e spesso litigiosi. Non è sempre un problema di preparazione tecnica, a rendere questo segmento così indefinibile e, dunque, poco valorizzabile o valorizzato, sebbene la maggior parte dei pr di moda si sia formato sul campo. E non sempre è una questione di adesione agli standard generali della categoria, sempre si vogliano riconoscere questi standard nell'associazione specifica, l'Assorel, a cui non a caso pochissimi pr di moda aderiscono.
Lo è, difficilmente definibile, e nello stesso tempo estremamente specifico per chi lo conosca a fondo, l'intero ambiente con cui si confronta, sia a monte sia a valle: non è un caso che i pochi esperimenti di innesto fatti con pr provenienti da settori all'apparenza attigui come la pubblicità, o dalle telecomunicazioni, abbiano prodotto risultati disastrosi: ritmi ma soprattutto modi diversi. Per una certa élite più agée della moda, i cincischi e i doppi bacetti, che questa categoria di pr negligeva, sono ancora fondamentali. Come i viaggetti en petit comité, gli omaggi e la deferenza che in altri settori parrebbero ridicoli ma che nella moda hanno tuttora un loro coté ineludibile.
Entro certi limiti, infatti, è la stravaganza - o la sua rappresentazione - uno degli elementi di maggiore attrazione della moda a chi non ne faccia parte. Ma non è certo la stravaganza - e non può esserlo - un elemento discriminante nella scelta di un pr. Come non lo è (a sufficienza) la propensione a dispensare cure e conforto psicologico intramuros. Cosa cerca, dunque, un'azienda di moda, quando redige il profilo del suo candidato pr ideale, e quali sono le caratteristiche che un professionista oggi possa valutare come vincenti o uno studente considerare come indispensabili alla propria preparazione?
Sotto un certo punto di vista, strategico principalmente, la situazione è tornata quella di 30-40 anni fa, gli anni in cui Beppe Modenese o Franco Savorelli di Lauriano costruivano il business moda fianco a fianco con i loro clienti, come consulenti aziendali ben prima che come pr. Lo dimostrano il caso di Francesca di Carrobio, che da responsabile delle pubbliche relazioni è diventata numero uno di Hermès Italia, o di Antonio Gallo, ora responsabile dell'intero progetto Pirelli PZero, e non solo della sua comunicazione. Non sono invece più, certamente, gli anni dei pranzi e ricevimenti, da cui la categoria sembra aver assunto il dispregiativo acronimo.
Come è ovvio, però, lo scenario competitivo che si trovano a fronteggiare le aziende della moda oggi non è più paragonabile a quello di 40 anni fa, pur non avendo perso nulla del suo fronte pionieristico. Diciamo che si è spostato il fronte: da nazionale a internazionale a mondiale, con specificità locali, però, di cui tener conto. Sembrerebbero cose ovvie. Meno ovvio, però, è trovare professionisti che sappiano farvi fronte: i pochi pr della moda di calibro internazionale, non a caso, sono pagati a peso d'oro, e contesi come star.
Da alcuni ingaggi si può addirittura capire quali siano le strategie di espansione delle aziende e lo standing a cui mirano: Noona Smith Petersen nel gruppo Tod's ne è uno degli esempi. Le cose si fanno più complicate quando, alle caratteristiche considerate lo standard minimo per un pr di moda (e si intende un pr interno, regolarmente assunto, non un consulente), si aggiungano le competenze reputate necessarie oggi da un head hunter: alle capacità di contatti ai massimi livelli del settore, una buona conoscenza di almeno due lingue straniere, capacità organizzative, una buona cultura, si sono infatti affiancate capacità di gestione finora richieste solo ai manager.
Per dirla chiara, in aziende che puntano ad espandersi ma allo stesso tempo a contenere i costi, un pr che non sia in grado di leggere (e capire) un bilancio, e di trasmetterlo all'esterno in maniera corretta, non può più pensare ad un'evoluzione della propria carriera. Eppure, sono tante le imprese che tengono ancora scisse giocoforza o per precisa volontà le due competenze -moda e finanza - generando una certa inevitabile confusione sia all'interno sia all'esterno. E sono poche le scuole superiori o le università in grado di fornire un'adeguata preparazione su entrambi i fronti: basta scorrere le offerte didattiche per rendersene conto.
Solo alcune università pubbliche riescono ad attuare - pur con le mille pecche della sperimentazione - questo difficile ponte fra le technicalities proprie della moda e quelle dell'economia. Eppure, è solo attraverso questo passaggio che la professione di pr dovrebbe riuscire ad affrancarsi da quell'acronimo francamente umiliante. Ed essere riconosciuta anche all'interno delle aziende nella sua vera essenza. Che non è, certo, quella di organizzare pranzi e ricevimenti. Come per le aziende, la crescita di standing nell'approccio sarà inevitabile per sopravvivere. E crescere.
P.S. Ah, visto che siamo nel giorno di Ognissanti, a qualcuno interesserà sapere che fine abbia fatto la pr rimasta senza lavoro.Visto che anche nell'ambiente baci-bacini-amore la professionalità è cosa riconosciuta e riconoscibile, ha molti nuovi clienti, e prospera. E come nelle favole belle, non si può dire lo stesso della testata di appartenenza della giornalista malevola... Ognuno, in paradiso, ha i santi che si merita.
Dagospia 03 Novembre 2005
Quella che deve tenere la mano alla boss depressa che inizia a bere - forte - alle 11 del mattino e ogni tanto non riesce a salire su un aereo. Quella che per anni si è sorbita gli insulti a sfondo sessuale del boss che poi si scusava con un mazzo di fiori e la collega che gli insulti se li prende ancora (i fiori chissà). Quella di grande educazione, che è sempre così sollecita nelle più stravaganti, esose richieste delle (e dei) giornalisti da far sospettare che tanta solerzia sia in realtà espressione di massimo disprezzo.
Quella che viene scaricata dalla sera all'alba perché non ha voluto fare combine con una delle suddette giornaliste che per vendetta ha organizzato una campagna denigratoria nei suoi confronti e in un ambiente così aleatorio ogni tanto le campagne alla Rochefoucauld («calunniate, calunniate, qualcosa resterà») funzionano. Ma anche quella che non trovi mai perché alle 5 del pomeriggio porta i bambini in piscina (o dal dentista, o in montagna in T-shirt e pantaloni della tuta perché non posso ricordarmi tutto) e se devi verificare una notizia sono affari tuoi, lei per sicurezza spegne il cellulare fino alla mattina dopo.
Quella che mente sulla disponibilità di abiti e oggetti perché non ha voglia di percorrere i 500 metri che separano il suo ufficio dalla showroom o dalla boutique e fa perdere un'opportunità di uscita sulla stampa alla maison. Oppure quello che decide-lui-chi-va-intervistato- in-azienda-perché-negli-Usa- si-fa-così-e-i-giornalisti-non-sono-così-rognosi-come-in-Italia (e poi uno dice che l'Ordine non serve...). Storie, favole e leggende di pr. Anzi, di pr di moda, che in una categoria già poco regolamentata e riconosciuta in Italia come le relazioni pubbliche ne sono la massima espressione, il distillato di tutti i fasti (veri o presunti non importa) e di tutte le miserie.
Professione - quella di pr di moda - relativamente nuova in Italia, dove non ha più di 50 anni, spesso abusata nella sostanza e nella forma, comunque difficile da definire. Di un pr in un settore -poniamo- delle telecomunicazioni, si sa perfettamente cosa faccia della sua giornata: tiene i rapporti con le istituzioni (della stampa si occupa l'ufficio stampa, con cui il pr è per forza di cose a stretto contatto), organizza eventi di alto o medio livello, quasi sempre si occupa dell'immagine del presidente e dell'amministratore delegato.
Nelle aziende più piccole, pr e ufficio stampa fanno capo alla stessa persona. In nessun caso, nelle telecomunicazioni, il pr fa da baby sitter, dog sitter, nanny, governante, organizzatore delle vacanze della famiglia del boss. Nella moda, lo fa nel 90% dei casi. Lo fa in quanto la sua natura di donna - come è nella stragrande maggioranza - la porta ad essere naturalmente (anche se non spontaneamente) coinvolta in faccende personali; lo fa perché in un settore ancora molto imprenditorial-familiare come l'industria fashion italiana, la pr viene considerata un'estensione della famiglia. Con tutto ciò che ne consegue, soprattutto in termini di considerazione professionale.
Ne è prova il fatto che mai come in questi mesi si assista una verifica-ribaltone ai vertici o nelle seconde file delle uffici di pubbliche relazioni e che per alcune aziende sia difficilissimo trovare professionisti all'altezza o, al contrario, disponibili ad assumersi il ruolo di maggiordomi tuttofare o di improbabili pacieri in ambienti familiari multiformi e spesso litigiosi. Non è sempre un problema di preparazione tecnica, a rendere questo segmento così indefinibile e, dunque, poco valorizzabile o valorizzato, sebbene la maggior parte dei pr di moda si sia formato sul campo. E non sempre è una questione di adesione agli standard generali della categoria, sempre si vogliano riconoscere questi standard nell'associazione specifica, l'Assorel, a cui non a caso pochissimi pr di moda aderiscono.
Lo è, difficilmente definibile, e nello stesso tempo estremamente specifico per chi lo conosca a fondo, l'intero ambiente con cui si confronta, sia a monte sia a valle: non è un caso che i pochi esperimenti di innesto fatti con pr provenienti da settori all'apparenza attigui come la pubblicità, o dalle telecomunicazioni, abbiano prodotto risultati disastrosi: ritmi ma soprattutto modi diversi. Per una certa élite più agée della moda, i cincischi e i doppi bacetti, che questa categoria di pr negligeva, sono ancora fondamentali. Come i viaggetti en petit comité, gli omaggi e la deferenza che in altri settori parrebbero ridicoli ma che nella moda hanno tuttora un loro coté ineludibile.
Entro certi limiti, infatti, è la stravaganza - o la sua rappresentazione - uno degli elementi di maggiore attrazione della moda a chi non ne faccia parte. Ma non è certo la stravaganza - e non può esserlo - un elemento discriminante nella scelta di un pr. Come non lo è (a sufficienza) la propensione a dispensare cure e conforto psicologico intramuros. Cosa cerca, dunque, un'azienda di moda, quando redige il profilo del suo candidato pr ideale, e quali sono le caratteristiche che un professionista oggi possa valutare come vincenti o uno studente considerare come indispensabili alla propria preparazione?
Sotto un certo punto di vista, strategico principalmente, la situazione è tornata quella di 30-40 anni fa, gli anni in cui Beppe Modenese o Franco Savorelli di Lauriano costruivano il business moda fianco a fianco con i loro clienti, come consulenti aziendali ben prima che come pr. Lo dimostrano il caso di Francesca di Carrobio, che da responsabile delle pubbliche relazioni è diventata numero uno di Hermès Italia, o di Antonio Gallo, ora responsabile dell'intero progetto Pirelli PZero, e non solo della sua comunicazione. Non sono invece più, certamente, gli anni dei pranzi e ricevimenti, da cui la categoria sembra aver assunto il dispregiativo acronimo.
Come è ovvio, però, lo scenario competitivo che si trovano a fronteggiare le aziende della moda oggi non è più paragonabile a quello di 40 anni fa, pur non avendo perso nulla del suo fronte pionieristico. Diciamo che si è spostato il fronte: da nazionale a internazionale a mondiale, con specificità locali, però, di cui tener conto. Sembrerebbero cose ovvie. Meno ovvio, però, è trovare professionisti che sappiano farvi fronte: i pochi pr della moda di calibro internazionale, non a caso, sono pagati a peso d'oro, e contesi come star.
Da alcuni ingaggi si può addirittura capire quali siano le strategie di espansione delle aziende e lo standing a cui mirano: Noona Smith Petersen nel gruppo Tod's ne è uno degli esempi. Le cose si fanno più complicate quando, alle caratteristiche considerate lo standard minimo per un pr di moda (e si intende un pr interno, regolarmente assunto, non un consulente), si aggiungano le competenze reputate necessarie oggi da un head hunter: alle capacità di contatti ai massimi livelli del settore, una buona conoscenza di almeno due lingue straniere, capacità organizzative, una buona cultura, si sono infatti affiancate capacità di gestione finora richieste solo ai manager.
Per dirla chiara, in aziende che puntano ad espandersi ma allo stesso tempo a contenere i costi, un pr che non sia in grado di leggere (e capire) un bilancio, e di trasmetterlo all'esterno in maniera corretta, non può più pensare ad un'evoluzione della propria carriera. Eppure, sono tante le imprese che tengono ancora scisse giocoforza o per precisa volontà le due competenze -moda e finanza - generando una certa inevitabile confusione sia all'interno sia all'esterno. E sono poche le scuole superiori o le università in grado di fornire un'adeguata preparazione su entrambi i fronti: basta scorrere le offerte didattiche per rendersene conto.
Solo alcune università pubbliche riescono ad attuare - pur con le mille pecche della sperimentazione - questo difficile ponte fra le technicalities proprie della moda e quelle dell'economia. Eppure, è solo attraverso questo passaggio che la professione di pr dovrebbe riuscire ad affrancarsi da quell'acronimo francamente umiliante. Ed essere riconosciuta anche all'interno delle aziende nella sua vera essenza. Che non è, certo, quella di organizzare pranzi e ricevimenti. Come per le aziende, la crescita di standing nell'approccio sarà inevitabile per sopravvivere. E crescere.
P.S. Ah, visto che siamo nel giorno di Ognissanti, a qualcuno interesserà sapere che fine abbia fatto la pr rimasta senza lavoro.Visto che anche nell'ambiente baci-bacini-amore la professionalità è cosa riconosciuta e riconoscibile, ha molti nuovi clienti, e prospera. E come nelle favole belle, non si può dire lo stesso della testata di appartenenza della giornalista malevola... Ognuno, in paradiso, ha i santi che si merita.
Dagospia 03 Novembre 2005