"I CONTI CIFRATI ERANO DI CONSORTE E CI HO VERSATO UN PAIO DI MILIONI DI EURO"
PARLA IL BROKER BRUNO BERTAGNOLI: "VI RACCONTO TUTTO, ANCHE DI QUANDO,
PER FAR CONTENTO FAZIO, FIORANI AVEVA URGENTE BISOGNO DI TITOLI GENERALI"

Francesca Folda per "Panorama" in edicola domani


«I conti cifrati? Si, erano di Consorte e ci ho versato un paio di milioni di euro per un'operazione su titoli Bpi e Unipol. È solo uno degli affari che ho fatto con Boni e la banca lodigiana. Vi racconto tutto, anche di quando, per far contento Fazio, Fiorani aveva urgente bisogno di titoli Generali. Basta che non dite che sono un cliente privilegiato della Banca popolare italiana. Sono loro ad avere avuto il privilegio di lavorare con me».

Parla con "Panorama" Bruno Bertagnoli, il broker che, indagato per ricettazione e riciclaggio, sta mettendo a verbale, davanti ai pm Francesco Greco ed Eugenio Fusco della procura di Milano, retroscena, modalità e conti cifrati di alcune operazioni di Fiorani e soci.

Bertagnoli, 44 anni, una moglie, due figli, milanese residente a Lugano, veste semplice e gira con uno scooter un po' ammaccato («Gli ho dato un paio di botte appena l'ho comprato, così non me lo rubano»), ma abbandona il basso profilo quando parla del suo lavoro. «Negli anni 90 guadagnavo 3 milioni al giorno. Nel '94 la mia prima grossa operazione: in una settimana ho guadagnato 1 miliardo e mi sono comprato la macchina». Che macchina? «Una Porsche».

È fatto così l'uomo che il 23 dicembre si è presentato in procura per dire che il Canaletto, quadro valutato oltre 3 milioni di euro, trovato dalla Guardia di finanza in una cassetta di sicurezza a Lodi era suo. Ma, accompagnato dall'avvocato Antonia Rita Augimeri, ha capito che ai due pm era meglio raccontare anche il resto. A partire dalla confessione che il 13 dicembre 2005 gli aveva fatto Gianfranco Boni, ex direttore finanziario della Bpi.

«Ci siamo visti al bar Sant'Ambroeus, in pieno centro a Milano. Gli ho consegnato 10 mila euro in contanti per un vecchio affare in comune e Boni ha definito la pratica per l'adozione a distanza di due bambini in Brasile, un progetto che mi sta molto a cuore». Ma il discorso inevitabilmente passa alle inchieste giudiziarie su concerti e scalate occulte. «Gli chiedo a chi sono intestati i due conti cifrati su cui avevo fatto bonifici per l'operazione sui titoli Unípol-Bipielle. "Sono di Consorte" mi risponde Boni e a me esce solo una parola: c...! ».

Poche ore dopo, quello stesso 13 dicembre, Gianfranco Boni finisce a San Vittore con Gianpiero Fiorani. Sono accusati, fra l'altro, di avere manipolato il mercato, abusato di informazioni privilegiate e riciclato denaro. Ma, per capire la caduta dei due astri della finanza padana che hanno trascinato anche Giovanni Consorte e il suo braccio destro Ivano Sacchetti nella bufera giudiziaria, bisogna fare un passo indietro e descriverne l'ascesa attraverso le mosse di cui Bertagnoli è prezioso testimone.

«A Boni e Fiorani ho dato molti consigli e ho fatto fare affari che i loro funzionari di banca arruolati all'oratorio spesso non hanno neanche capito». Mostra di saperla lunga Bertagnoli e dopo il primo interrogatorio del 23 dicembre la procura gli concede di passare il Natale alle Maldive, in attesa che sia pronto a ripresentarsi con la mente lucida e una gran mole di documenti. Così è: il 9 gennaio il broker risale al quarto piano del palazzo di giustizia per consegnare due pagine di memoria e 24 di allegati. L'interrogatorio non basta, un nuovo incontro è già previsto per depositare e spiegare i documenti che ancora gli devono arrivare dall'estero.



A "Panorama" Bertagnoli racconta: «Nel '99 una banca svizzera mi mette in contatto con Boni. Voleva che costituissi un fondo di diritto lussemburghese dedicato all'acquisto di quote di aziende di credito che avrebbe sottoscritto anche Banca popolare di Lodi. Di fatto lo gestivo io, loro portarono azioni della Popolare di Crema per circa 5 miliardi». II fondo venne sciolto pochi mesi dopo, proprio quando la Popolare di Crema fu acquisita dalla Lodi con una di quelle operazioni che oggi sono sotto la lente degli investigatori.

Apprezzata l'abilità di Bertagnoli, un anno dopo i lodigiani tornano da lui: «Boni mi chiese di partecipare all'aumento di capitale di Bipielle a 12 euro. Io feci sottoscrivere a un banchiere monegasco titoli per 3 miliardi di lire e mi fu riconosciuto il 5 per cento, ovvero 77 mila euro». Il 20 giugno 2001 l'amministratore delegato della Bipielle, Fiorani, annuncia gongolante all'Ansa: «L'aumento di capitale della Banca popolare di Lodi sta andando oltre ogni ottimistica previsione».

Meno positivo l'esito per Bertagnoli che ha effettivamente incassato i 77 mila euro per la sua intermediazione; ma solo il 14 settembre 2004 e con un bonifico «per operazione titoli» che, come gli hanno poi spiegato in procura, arrivava dal conto di un correntista Bpi deceduto da cui Boni e Fiorani avevano prelevato arbitrariamente la somma. Una vicenda che a Bertagnoli costa oggi l'accusa di ricettazione e un grande disagio: «Se sarà accertato che i soldi erano suoi, sono pronto a restituirli agli eredi. Del resto, non mi interessavano molto, visto che nel frattempo avevamo fatto altre operazioni».
Innanzitutto il concambio di titoli Unipol e Bpi. «È Boni nel 2002 a propormi l'affare. Fiorani l'ho visto solo una volta nel 2003. Io strutturo l'operazione su un conto che avevo appositamente aperto con i miei soldi alla filiale Ubs del principato di Monaco su suggerimento di Boni. Mi costa 248.569 euro e frutta un utile di 2,5 milioni di euro. La plusvalenza dello scambio azionario, come mi aveva spiegato Boni, va versata a due intermediari. A me, come broker, arrivano 300 mila euro che poi spartisco al 50 per cento con Boni». Senza sapere chi siano i due «intermediari», sostiene, Bertagnoli esegue le direttive dell'ex direttore finanziario della Bpi: nel marzo 2002 fa tre diversi bonifici. «Il primo, dal mio conto alla Ubs di Monaco verso il conto cifrato 3844 della stessa banca per 500 mila euro».

Gli altri due, per i quali ha appena consegnato la documentazione in procura, da un suo conto alla banca Pictet di Ginevra verso lo stesso conto 3844 e verso il 3845 sempre alla Ubs di Monaco, tutti all'attenzione di un dirigente della banca, Di Nola, che poi sarà allontanato. Il 15 maggio 2002 Bertagnoli ha la prima sorpresa: la stessa Ubs del principato, a conoscenza degli intestatari dei conti cifrati, gli chiede di sottoscrivere una dichiarazione in cui assicura che quella operazione su titoli Unipol fosse esente da insider trading. Bertagnoli sottoscrive. Solo tre anni dopo, dichiara, scoprirà da Boni che c'è di mezzo proprio il numero uno della Unipol, Consorte. Troppo tardi per evitare l'inchiesta. E non solo per quest'affare.

Nell'assemblea del 26 aprile 2003 Fiorani e la Bipielle riescono a risultare tra i principali azionisti delle Generali con lo 0,45 per cento delle azioni. La Consob è sorpresa e cerca di capire se esista un patto occulto tra le banche azioniste della compagnia assicuratrice. Fiorani risponde di aver «ereditato il pacchetto di azioni Generali». Sul Corriere della sera del 22 maggio 2003 si legge che la Bipielle potrebbe aver «partecipato nei mesi scorsi al rastrellamento di azioni Generali con Unicredito, Capitalia e Mps. Una manovra con obiettivo indiretto il potere di Mediobanca, "benedetta" da Antonio Fazio di cui Fiorani è uno dei "pupilli"...

Sullo sfondo resta il mistero» sui soldi comparsi in tasca a Fiorani. II mistero lo svela oggi Bertagnoli: «A Bipielle ho fatto prendere in prestito azioni Generali per 4 milioni di euro da un investitore estero. Loro le avrebbero anche comprate, ma così ci hanno guadagnato con il credito di imposta e io ho ricevuto 227 mila euro per la mediazione con un bonifico del 3 giugno 2003».

È il tumo dell'Antonveneta. Tra novembre 2004 e marzo 2005 Bertagnoli racconta che, sempre su indicazione di Boni, ha comprato e rivenduto ai blocchi a Bpi 1 milione di titoli Antonveneta in due tranche di 20 milioni di euro. «Per questa operazione ho preso il 2,5 per cento, ovvero 500 mila euro, ma la commissione l'hanno fatta risultare su titoli diversi per non far salire il titolo Antonveneta. A Boni ho fatto avere 200 mila euro in contanti al McDonald's di Lugano».

La girandola di soldi e di operazioni sul filo della legalità continua fino a luglio 2005, quando è Bertagnoli a offrire l'ultimo grande affare: un finanziamento da 400 milioni di dollari dalla Bpi a una società straniera per l'acquisizione di una tra le prime società al mondo nell'amministrazione finanziaria. Per soli tre giorni di prestito, Bpi incassa 2 milioni di dollari più gli interessi. «Visto che Bpi non capiva niente dell'affare, io ho ottenuto un compenso aggiuntivo di 1,8 milioni di dollari!». In teoria anche stavolta c'era l'accordo di girarne una parte a Boni. Ma, al momento, l'ex direttore finanziario di Bpi ha altre preoccupazioni.


Dagospia 12 Gennaio 2006