BAUDO 70 - ALLA FINE VINCERÀ LA SINISTRA, CON UN MARGINE NON TROPPO ALTO. MA BERLUSCONI RESTERÀ UN MITO - HA DETTO: "QUESTA È CASA MIA". VORREI RICORDARE ALLA ANNUNZIATA CHE SIAMO TUTTI IN AFFITTO. E LA MIA STORIA LO DIMOSTRA.
Alfonso Signorini per "Chi", in edicola domani
Il 7 giugno saranno 70. E subito aggiunge: «Come Berlusconi. Ma prima li compio io. Lui deve aspettare il 29 settembre». Nel suo studio romano di via della Giuliana incontriamo un Pippo Baudo che del settantenne ha
solo la carta d'identità, tale è il suo stato di grazia. Chiamarlo studio è riduttivo. Siamo nel tempio della televisione italiana. Alle pareti c'è di tutto: dalla locandina del suo primo spettacolo teatrale datata 1962 (musiche di Gorni Kramer) al suo primo contratto ingiallito come figurante del teatro di Catania, alle foto del varietà tra un Macario e una Sandra Mondaini («Che donna. Con quelle gambe e quel seno ogni sera sul palcoscenico faceva perdere la testa a migliaia di italiani»). Sullo scaffale delle buone memorie non mancano neppure il Tapiro e il Gongolone di Antonio Ricci.
Pippo è un uomo colto. È raro trovare un protagonista del piccolo schermo in grado di disquisire con disinvoltura dell'ampio gesto di Carlos Kleiber, quando dirigeva il Don Carlos di Verdi, o della modernità di Pedro Calderón de la Barca («Oggi sarebbe un grandissimo autore di reality»). Si ricorda perfino di quando, appena quattordicenne, osservava come comparsa al Teatro Bellini di Catania quel gigante di Maria Callas, «che scendeva la scalinata, solenne e ieratica, intonando Casta diva, mentre noi ce ne stavamo lì, stregati da quella donna, ingenuamente consapevoli di assistere a qualche cosa di irripetibile».
Insomma, parlare con Baudo è davvero un piacere. E allora la celebrazione di una vita diventa l'occasione per parlare di tutto quello che una vita comporta. A cominciare da quelli che Charlie Chaplin definirebbe "tempi moderni". «Oggi la gente davanti a sé non ha più professionisti seri né modelli. Dipendiamo da una classe dirigente impreparata», sostiene, convinto.
Domanda. Pippo, è il solito discorso del settantenne disilluso. Non dirai anche tu: "Ai miei tempi..."?
Risposta. «Non mi sono mai sentito più giovane di oggi. La verità è che paghiamo ancora le conseguenze del '68. Quello era un periodo fertile dal punto di vista culturale, ma i giochi politici di quei tempi che
cosa hanno prodotto di così diverso? Sai quanti personaggi ho conosciuto nella mia vita che in quegli anni indossavano l'eskimo e oggi vanno in giro con l'autista?».
D. Che ne pensi della campagna politica in atto?
R. «Penso che si sta giocando la partita politica come se fosse una partita di calcio. Alla fine vincerà la sinistra, con un margine non troppo alto. Ma Silvio Berlusconi resterà un mito».
D. Perché?
R. «Perché lui è il simbolo dell'italiano che si è fatto da solo. Sai quante mamme italiane ci sono che dicono al loro figlio: "Fai come Berlusconi, scala la montagna e diventa l'uomo più ricco del mondo"? Gli italiani prima dell'arrivo di Silvio erano abituati agli Agnelli, ai Savoia, a quelli nati già ricchi. Che cosa potevi invidiare a quella gente? Berlusconi è l'uomo qualunque, quello che ci prova: uno sprone per tutti. Io gli sono amico da tantissimi anni, dai tempi di Telemilano».
D. Sì, però Mike Bongiorno ha avuto più coraggio di te. Lui ha mollato la Rai per seguirlo nella sua avventura.
R. «È vero. Mike ha compiuto un atto di coraggio estremo. Solo un americano poteva fare una cosa del genere. Lui conosceva già la forza della tv commerciale. In quel momento io lavoravo nella Rai di Biagio Agnes e, come la mia stessa azienda, non capii nulla di Berlusconi, delle sue potenzialità. Ed è andata avanti così per anni. La Rai nella sua presunzione fino all'altro ieri ha sempre pensato: "Quando vogliamo, lo spegniamo questo Berlusconi"».
D. A proposito di Mike, è vero che Berlusconi gli ha offerto l'incarico di senatore a vita?
R. «Io ho sentito al telefono Mike. E mi ha detto: "Silvio mi ha offerto il posto di senatore. Lo avrò dopo le elezioni". Probabilmente lui si aspettava quello di senatore a vita. E poi ha aggiunto: "Fatti due conti, io devo fare un'altra edizione di Genius e la pubblicità con Fiorello. Chi me lo fa fare?". Mike è così: ha dedicato una vita alla tv. Che ci va a fare uno come lui al Senato?».
D. Ritorniamo a Pippo Baudo. Ora sei il simbolo della tv pulita, di classe, intramontabile. Fino all'altro ieri eri il vecchio che andava rinnovato. Perché questo "sdoganamento"?
R. «Perché la mia vita è sempre stata così. Sapessi quante di quelle volte mi hanno dato per morto. Sono sprofondato e poi risalito».
D. Dove hai trovato la forza per sollevarti?
R. «Nella gente che incontro per strada. Nessuno mi dà del dottore o del lei: per tutti sono Pippo e basta. Dagli universitari alla vecchietta la voce è una sola: "Pippo, quando torni?". E allora lì la forza la trovi».
D. Quando hai toccato davvero il fondo?
R. «Negli anni della Rai di Pierluigi Celli. Ogni giorno picchiavo alla porta e ogni giorno mi davano la stessa risposta: "Per te non c'è posto". Un giorno mi chiama Celli: "C'è un programma di mezz'ora alle tre del pomeriggio su Raitre". Gli rispondo. "È esattamente quello che cercavo". Passo all'ufficio scritture. "Le possiamo dare solo un milione a puntata". E io: "Lo farei anche per la metà". Nonostante facessero di tutto per scoraggiarmi, sono andato a Saxa Rubra, mi sono rimboccato le maniche e ho incominciato a lavorare. Dopo 35 anni di storia in tv. Una lezione che qualcuno dovrebbe imparare bene».
D. Chi?
R. «Michele Santoro, per esempio».
D. Come spieghi il successo della tua Domenica in?
R. «Quando Alfredo Meocci questa estate me l'ha proposta ho subito detto: "La faccio solo a patto che mi diate contro Paolo Bonolis". Non ero sprovveduto. Ci avevo pensato bene. Non ero convinto che tutti gli italiani volessero solo il calcio. Bisognava trovare un'alternativa. E il mio fiuto mi ha portato ad avere ragione: 24 puntate, 24 vittorie. Abbiamo annullato un mito che durava da 50 anni: Novantesimo minuto».
D. Che cos'ha il tuo salotto di diverso dagli altri?
R. «Nei salotti televisivi di oggi il tema della discussione non esiste.
È solo un pretesto per scambiarsi parolacce e contumelie».
D. Colpa di chi?
R. «Dei reality, che trasudano falsità fin dal titolo. Basterebbe scavare dentro le gioie e i dolori delle persone per avere il più vero dei reality. Ma a quello non siamo ancora pronti. E così ci troviamo una tivù sempre più estrema, sempre più drogata».
D. È vero che c'è guerra fra te e Mara Venier o Massimo Giletti perché gli ospiti più ambiti vogliono venire solo da te?
R. «Che c'entra? Io è fin dai tempi di Fantastico che dico: "Curiamo bene le prime tre, quattro puntate. Così apriamo il garage. Se costruiamo un buon garage, le Ferrari non tarderanno ad arrivare"».
D. Come avresti arginato la lite tra Antonio Zequila e Adriano Pappalardo?
R. «Non l'avrei arginata. Ma solo perché non li avrei mai invitati. Non fanno parte del mio dna televisivo. Ricordo ancora quella volta in cui Maria Rita Parsi attaccò la mia scelta di portare una giovanissima cantante, Alina, al Festival di Sanremo. Non riusciva a tollerare che una ragazzina fosse già inserita nello star system. Per giunta glielo rinfacciava in modo da metterla a disagio. "Se non posso esprimere le mie idee, me ne vado". E io le dissi: "Prego, si accomodi"».
D. Questo discorso l'abbiamo già sentito fare da Berlusconi ospite di Lucia Annunziata.
R. «Dall'atteggiamento dell'Annunziata traspariva solo astio. Per giunta ha pure detto: "Questa è casa mia". Vorrei ricordare alla Annunziata che siamo tutti in affitto. E la mia storia lo dimostra».
D. Veniamo a Sanremo. Perché sei sparito durante la settimana del Festival?
R. «Non volevo mettere a disagio Giorgio Panariello. Mi avrebbero coinvolto in tutte le polemiche. E così me ne sono andato nella mia Militello. Ma ero attaccato al televisore. E poi temevo che sarebbe successo come ai tempi di Mussolini».
D. Cioè?
R. «Quando in Italia arrivarono gli alleati, tutti a dire: "Aridatece Er Puzzone". Il Puzzone in quel caso sarebbe stato Pippo Baudo».
D. Che cosa non ha funzionato?
R. «Quel palco tutto nero non si poteva guardare. C'era da toccarsi... Le scale della Wanda Osiris sono scomparse. Hanno voluto destrutturare il Festival. Non volevano trasformare Sanremo nel regno della principessa Sissi. Ma non è un caso che la Sissi sarà stata replicata almeno duecento volte in tv. La gente ha il diritto di sognare».
D. E le canzoni?
R. «Non si scrivono più canzoni ispirate, ma solo costruite a tavolino. La logica dei direttori artistici è di andare dalle case discografiche e dire: "Chi mi dai?". No. Bisogna fare il giro delle parrocchie, delle cattedrali, percorrere l'Italia da cima a fondo e stanare gli artisti veri. Solo così vengono fuori le Pausini, i Ramazzotti. C'è gente che è stata annunciata nel cast e ancora le loro canzoni non erano state scritte».
D. Tu lo permetteresti?
R. «Ma scherzi? Neppure se si presentasse Lucio Dalla. Prima mi dai la canzone e dopo se ne parla. Come si può accettare che Anna Oxa non si presenti alle prove del Festival? Eh, no. Allora te ne stai a casa. Certo, per fare un lavoro di questo genere ci impieghi un anno. Mica puoi mettere su Sanremo in tre mesi».
D. Ho capito. L'anno prossimo Sanremo lo farai tu.
R. «Non ho ancora firmato. Ci stiamo annusando. Ma entro la fine di marzo scioglierò le riserve».
D. Chi è l'erede di Pippo?
R. «Non c'è. E non è giusto che ci sia. Il presentatore ha difetti solo suoi. Prendi me. Ho le mani troppo grandi, le braccia troppo lunghe, una voce che è imitabilissima, dei capelli che non capisci se ho il parrucchino o no. E mi chiamo pure Pippo. Ma dove lo trovi uno così? ».
D. Sei la storia della tv. Passiamo un po' in rassegna i tuoi colleghi?
R. «Vai».
D. Raffaella Carrà.
R. «Un mito. Per anni l'Italia si pettinava e si vestita come lei. Come Lorella Cuccarini ed Heather Parisi. Donne, artiste che potrebbero ancora dare tantissimo e sono messe in un angolo».
D. Colpa di chi?
R. «Delle veline. La rovina della tivù sono loro. Stelline che si credono primedonne e durano una stagione. Ma quali primedonne? Sono solo portabuste».
D. Simona Ventura.
R. «È sempre stata matta. Quando l'ho vista ballare e parlare le ho subito detto: "Sei negata a fare la giornalista". E l'ho portata con me a fare Domenica in. Negli ultimi tempi è cambiata. La sua aggressività è eccessiva. In video trasmette ansia. Guai a portare in studio le proprie ansie personali. Fossi in lei una calmatina me la darei».
D. Al Bano e Romina.
R. «Ho sofferto molto con loro e per loro. Li ho visti crescere tutti e due. Quando è scomparsa la loro figlia Ylenia hanno vissuto un dramma vero, lacerante, che li ha sempre più allontanati. Oggi Al Bano ha scelto una strada diversa. Gliel'ho detto tante volte: "Non mi piace il tuo modo di fare". A me lui ha sempre detto che Loredana Lecciso non manifestava nessuna velleità artistica quando si erano conosciuti. Ma io non ci credo. Al Bano era una bella occasione per mettersi in luce. E i loro battibecchi davanti alla tivù non sono stati edificanti».
D. Inviteresti mai la Lecciso a Domenica in?
R. «No. Non credo che si debba offrire al pubblico italiano un personaggio così. È bella, ma non basta. Non va al di là dell'esibizionismo fine a se stesso. L'ho vista uscire da una conchiglia a Buona domenica. Non ho mai pensato una volta alla Venere del Botticelli».
D. Paolo Bonolis.
R. «È bravo. Non c'è alcun dubbio. Ma Il senso della vita è solo una scusa per prendere tempo. Adesso è giunto il momento che scenda in campo sul serio. Anche per giustificare la paga».
D. Maurizio Costanzo.
R. «Ho un rapporto molto controverso con lui. Siamo amici a distanza. Nei miei confronti è sempre pungente, ma poi si ricrede. Me lo ha detto anche Maria De Filippi. Adesso siamo in un periodo di tregua».
D. Chi ami in tv?
R. «Fabio Volo. È bravissimo. E Piero Chiambretti. Che ci fa a La 7? Quello è uno da Raiuno».
D. Veniamo al Pippo Baudo privato. Dopo Katia Ricciarelli il nulla?
R. «Scherzi? Mi diverto come un matto. Non mi perdo una "prima" a teatro, frequento i salotti. Cose che prima me le sognavo. E poi ho 70 anni. Un'età troppo impegnativa per avere una donna al fianco. Impegnativa per me e per lei».
D. Perché Katia è andata alla Fattoria?
R. «Non so rispondere a questa domanda. Pupi Avati mi ha detto che quando glielo ha comunicato lui si è messo a piangere e l'ha scongiurata di non andarci. Io non l'ho mai vista una volta in quel programma. Non ci riesco».
D. Perché?
R. «Che cosa c'entra lei in mezzo a quella gente? Lei è la regina della lirica. I soldi non le mancano. È una scelta che non apprezzo e non apprezzandola non voglio soffrire. Lo dico per affetto, perché le voglio ancora bene. Mica posso cancellare 18 anni di vita insieme».
D. Katia in questi ultimi tempi ti ha lanciato messaggi d'affetto. Ma tu sembri respingerli tutti.
R. «Una storia d'amore non è come prendere la metropolitana. Non puoi salire, scendere, salire di nuovo. Ho sposato Katia nel pieno della maturità, con la consapevolezza di voler invecchiare al suo fianco».
D. Poi?
R. «Poi il nostro rapporto si è andato lentamente consumando. Non c'erano più neppure i presupposti per la convivenza. E ora con serenità posso dire, e lo dico con affetto, che non torneremo mai più insieme. Perché nulla sarebbe più come prima».
D. Tra pochi mesi avrai 70 anni. Il momento più bello della tua vita?
R. «Quello che ho vissuto pochi mesi fa. Quando i miei due figli Tiziana e Alessandro si sono conosciuti per la prima volta. Io ero pieno di paure, di ansie. Invece loro si sono abbracciati in silenzio davanti a me, e la vita mi è scorsa davanti come in un film. Adesso sono amici, si frequentano, si chiamano senza che neppure io lo sappia. È un pezzo di me che si è ricongiunto. E ne sono felice».
D. Pensi alla morte?
R. «Sempre più spesso. Ma con serenità. Non ho conti in sospeso. Ci penso soprattutto quando torno a Militello, nella casa dei miei genitori, dove sono nato e cresciuto. La prima cosa che faccio quando arrivo è aprire il cassetto della scrivania di mio padre, che è stata anche la mia scrivania. Il profumo che viene fuori da quel cassetto è quello di un tempo. All'improvviso sento che mio padre è lì con me. Apro l'armadio e ritrovo i suoi impermeabili, i golf di mia madre. Presenze vive, invisibili».
D. Ti ritirerai a Militello un giorno?
R. «Lo dico sempre, ma non avrò il coraggio di farlo. Troppa solitudine, troppa tristezza. Però ci torno sempre. D'estate con i miei amici ci troviamo alle due del mattino e ce ne andiamo in giro per le strade del paese. Il gioco è sempre lo stesso: dire dove abitavano le persone 60 anni fa. Quella è la mia Recherche. Eh sì, Pippo è proprio il Marcel Proust di Militello».
Dagospia 21 Marzo 2006
Il 7 giugno saranno 70. E subito aggiunge: «Come Berlusconi. Ma prima li compio io. Lui deve aspettare il 29 settembre». Nel suo studio romano di via della Giuliana incontriamo un Pippo Baudo che del settantenne ha
solo la carta d'identità, tale è il suo stato di grazia. Chiamarlo studio è riduttivo. Siamo nel tempio della televisione italiana. Alle pareti c'è di tutto: dalla locandina del suo primo spettacolo teatrale datata 1962 (musiche di Gorni Kramer) al suo primo contratto ingiallito come figurante del teatro di Catania, alle foto del varietà tra un Macario e una Sandra Mondaini («Che donna. Con quelle gambe e quel seno ogni sera sul palcoscenico faceva perdere la testa a migliaia di italiani»). Sullo scaffale delle buone memorie non mancano neppure il Tapiro e il Gongolone di Antonio Ricci.
Pippo è un uomo colto. È raro trovare un protagonista del piccolo schermo in grado di disquisire con disinvoltura dell'ampio gesto di Carlos Kleiber, quando dirigeva il Don Carlos di Verdi, o della modernità di Pedro Calderón de la Barca («Oggi sarebbe un grandissimo autore di reality»). Si ricorda perfino di quando, appena quattordicenne, osservava come comparsa al Teatro Bellini di Catania quel gigante di Maria Callas, «che scendeva la scalinata, solenne e ieratica, intonando Casta diva, mentre noi ce ne stavamo lì, stregati da quella donna, ingenuamente consapevoli di assistere a qualche cosa di irripetibile».
Insomma, parlare con Baudo è davvero un piacere. E allora la celebrazione di una vita diventa l'occasione per parlare di tutto quello che una vita comporta. A cominciare da quelli che Charlie Chaplin definirebbe "tempi moderni". «Oggi la gente davanti a sé non ha più professionisti seri né modelli. Dipendiamo da una classe dirigente impreparata», sostiene, convinto.
Domanda. Pippo, è il solito discorso del settantenne disilluso. Non dirai anche tu: "Ai miei tempi..."?
Risposta. «Non mi sono mai sentito più giovane di oggi. La verità è che paghiamo ancora le conseguenze del '68. Quello era un periodo fertile dal punto di vista culturale, ma i giochi politici di quei tempi che
cosa hanno prodotto di così diverso? Sai quanti personaggi ho conosciuto nella mia vita che in quegli anni indossavano l'eskimo e oggi vanno in giro con l'autista?».
D. Che ne pensi della campagna politica in atto?
R. «Penso che si sta giocando la partita politica come se fosse una partita di calcio. Alla fine vincerà la sinistra, con un margine non troppo alto. Ma Silvio Berlusconi resterà un mito».
D. Perché?
R. «Perché lui è il simbolo dell'italiano che si è fatto da solo. Sai quante mamme italiane ci sono che dicono al loro figlio: "Fai come Berlusconi, scala la montagna e diventa l'uomo più ricco del mondo"? Gli italiani prima dell'arrivo di Silvio erano abituati agli Agnelli, ai Savoia, a quelli nati già ricchi. Che cosa potevi invidiare a quella gente? Berlusconi è l'uomo qualunque, quello che ci prova: uno sprone per tutti. Io gli sono amico da tantissimi anni, dai tempi di Telemilano».
D. Sì, però Mike Bongiorno ha avuto più coraggio di te. Lui ha mollato la Rai per seguirlo nella sua avventura.
R. «È vero. Mike ha compiuto un atto di coraggio estremo. Solo un americano poteva fare una cosa del genere. Lui conosceva già la forza della tv commerciale. In quel momento io lavoravo nella Rai di Biagio Agnes e, come la mia stessa azienda, non capii nulla di Berlusconi, delle sue potenzialità. Ed è andata avanti così per anni. La Rai nella sua presunzione fino all'altro ieri ha sempre pensato: "Quando vogliamo, lo spegniamo questo Berlusconi"».
D. A proposito di Mike, è vero che Berlusconi gli ha offerto l'incarico di senatore a vita?
R. «Io ho sentito al telefono Mike. E mi ha detto: "Silvio mi ha offerto il posto di senatore. Lo avrò dopo le elezioni". Probabilmente lui si aspettava quello di senatore a vita. E poi ha aggiunto: "Fatti due conti, io devo fare un'altra edizione di Genius e la pubblicità con Fiorello. Chi me lo fa fare?". Mike è così: ha dedicato una vita alla tv. Che ci va a fare uno come lui al Senato?».
D. Ritorniamo a Pippo Baudo. Ora sei il simbolo della tv pulita, di classe, intramontabile. Fino all'altro ieri eri il vecchio che andava rinnovato. Perché questo "sdoganamento"?
R. «Perché la mia vita è sempre stata così. Sapessi quante di quelle volte mi hanno dato per morto. Sono sprofondato e poi risalito».
D. Dove hai trovato la forza per sollevarti?
R. «Nella gente che incontro per strada. Nessuno mi dà del dottore o del lei: per tutti sono Pippo e basta. Dagli universitari alla vecchietta la voce è una sola: "Pippo, quando torni?". E allora lì la forza la trovi».
D. Quando hai toccato davvero il fondo?
R. «Negli anni della Rai di Pierluigi Celli. Ogni giorno picchiavo alla porta e ogni giorno mi davano la stessa risposta: "Per te non c'è posto". Un giorno mi chiama Celli: "C'è un programma di mezz'ora alle tre del pomeriggio su Raitre". Gli rispondo. "È esattamente quello che cercavo". Passo all'ufficio scritture. "Le possiamo dare solo un milione a puntata". E io: "Lo farei anche per la metà". Nonostante facessero di tutto per scoraggiarmi, sono andato a Saxa Rubra, mi sono rimboccato le maniche e ho incominciato a lavorare. Dopo 35 anni di storia in tv. Una lezione che qualcuno dovrebbe imparare bene».
D. Chi?
R. «Michele Santoro, per esempio».
D. Come spieghi il successo della tua Domenica in?
R. «Quando Alfredo Meocci questa estate me l'ha proposta ho subito detto: "La faccio solo a patto che mi diate contro Paolo Bonolis". Non ero sprovveduto. Ci avevo pensato bene. Non ero convinto che tutti gli italiani volessero solo il calcio. Bisognava trovare un'alternativa. E il mio fiuto mi ha portato ad avere ragione: 24 puntate, 24 vittorie. Abbiamo annullato un mito che durava da 50 anni: Novantesimo minuto».
D. Che cos'ha il tuo salotto di diverso dagli altri?
R. «Nei salotti televisivi di oggi il tema della discussione non esiste.
È solo un pretesto per scambiarsi parolacce e contumelie».
D. Colpa di chi?
R. «Dei reality, che trasudano falsità fin dal titolo. Basterebbe scavare dentro le gioie e i dolori delle persone per avere il più vero dei reality. Ma a quello non siamo ancora pronti. E così ci troviamo una tivù sempre più estrema, sempre più drogata».
D. È vero che c'è guerra fra te e Mara Venier o Massimo Giletti perché gli ospiti più ambiti vogliono venire solo da te?
R. «Che c'entra? Io è fin dai tempi di Fantastico che dico: "Curiamo bene le prime tre, quattro puntate. Così apriamo il garage. Se costruiamo un buon garage, le Ferrari non tarderanno ad arrivare"».
D. Come avresti arginato la lite tra Antonio Zequila e Adriano Pappalardo?
R. «Non l'avrei arginata. Ma solo perché non li avrei mai invitati. Non fanno parte del mio dna televisivo. Ricordo ancora quella volta in cui Maria Rita Parsi attaccò la mia scelta di portare una giovanissima cantante, Alina, al Festival di Sanremo. Non riusciva a tollerare che una ragazzina fosse già inserita nello star system. Per giunta glielo rinfacciava in modo da metterla a disagio. "Se non posso esprimere le mie idee, me ne vado". E io le dissi: "Prego, si accomodi"».
D. Questo discorso l'abbiamo già sentito fare da Berlusconi ospite di Lucia Annunziata.
R. «Dall'atteggiamento dell'Annunziata traspariva solo astio. Per giunta ha pure detto: "Questa è casa mia". Vorrei ricordare alla Annunziata che siamo tutti in affitto. E la mia storia lo dimostra».
D. Veniamo a Sanremo. Perché sei sparito durante la settimana del Festival?
R. «Non volevo mettere a disagio Giorgio Panariello. Mi avrebbero coinvolto in tutte le polemiche. E così me ne sono andato nella mia Militello. Ma ero attaccato al televisore. E poi temevo che sarebbe successo come ai tempi di Mussolini».
D. Cioè?
R. «Quando in Italia arrivarono gli alleati, tutti a dire: "Aridatece Er Puzzone". Il Puzzone in quel caso sarebbe stato Pippo Baudo».
D. Che cosa non ha funzionato?
R. «Quel palco tutto nero non si poteva guardare. C'era da toccarsi... Le scale della Wanda Osiris sono scomparse. Hanno voluto destrutturare il Festival. Non volevano trasformare Sanremo nel regno della principessa Sissi. Ma non è un caso che la Sissi sarà stata replicata almeno duecento volte in tv. La gente ha il diritto di sognare».
D. E le canzoni?
R. «Non si scrivono più canzoni ispirate, ma solo costruite a tavolino. La logica dei direttori artistici è di andare dalle case discografiche e dire: "Chi mi dai?". No. Bisogna fare il giro delle parrocchie, delle cattedrali, percorrere l'Italia da cima a fondo e stanare gli artisti veri. Solo così vengono fuori le Pausini, i Ramazzotti. C'è gente che è stata annunciata nel cast e ancora le loro canzoni non erano state scritte».
D. Tu lo permetteresti?
R. «Ma scherzi? Neppure se si presentasse Lucio Dalla. Prima mi dai la canzone e dopo se ne parla. Come si può accettare che Anna Oxa non si presenti alle prove del Festival? Eh, no. Allora te ne stai a casa. Certo, per fare un lavoro di questo genere ci impieghi un anno. Mica puoi mettere su Sanremo in tre mesi».
D. Ho capito. L'anno prossimo Sanremo lo farai tu.
R. «Non ho ancora firmato. Ci stiamo annusando. Ma entro la fine di marzo scioglierò le riserve».
D. Chi è l'erede di Pippo?
R. «Non c'è. E non è giusto che ci sia. Il presentatore ha difetti solo suoi. Prendi me. Ho le mani troppo grandi, le braccia troppo lunghe, una voce che è imitabilissima, dei capelli che non capisci se ho il parrucchino o no. E mi chiamo pure Pippo. Ma dove lo trovi uno così? ».
D. Sei la storia della tv. Passiamo un po' in rassegna i tuoi colleghi?
R. «Vai».
D. Raffaella Carrà.
R. «Un mito. Per anni l'Italia si pettinava e si vestita come lei. Come Lorella Cuccarini ed Heather Parisi. Donne, artiste che potrebbero ancora dare tantissimo e sono messe in un angolo».
D. Colpa di chi?
R. «Delle veline. La rovina della tivù sono loro. Stelline che si credono primedonne e durano una stagione. Ma quali primedonne? Sono solo portabuste».
D. Simona Ventura.
R. «È sempre stata matta. Quando l'ho vista ballare e parlare le ho subito detto: "Sei negata a fare la giornalista". E l'ho portata con me a fare Domenica in. Negli ultimi tempi è cambiata. La sua aggressività è eccessiva. In video trasmette ansia. Guai a portare in studio le proprie ansie personali. Fossi in lei una calmatina me la darei».
D. Al Bano e Romina.
R. «Ho sofferto molto con loro e per loro. Li ho visti crescere tutti e due. Quando è scomparsa la loro figlia Ylenia hanno vissuto un dramma vero, lacerante, che li ha sempre più allontanati. Oggi Al Bano ha scelto una strada diversa. Gliel'ho detto tante volte: "Non mi piace il tuo modo di fare". A me lui ha sempre detto che Loredana Lecciso non manifestava nessuna velleità artistica quando si erano conosciuti. Ma io non ci credo. Al Bano era una bella occasione per mettersi in luce. E i loro battibecchi davanti alla tivù non sono stati edificanti».
D. Inviteresti mai la Lecciso a Domenica in?
R. «No. Non credo che si debba offrire al pubblico italiano un personaggio così. È bella, ma non basta. Non va al di là dell'esibizionismo fine a se stesso. L'ho vista uscire da una conchiglia a Buona domenica. Non ho mai pensato una volta alla Venere del Botticelli».
D. Paolo Bonolis.
R. «È bravo. Non c'è alcun dubbio. Ma Il senso della vita è solo una scusa per prendere tempo. Adesso è giunto il momento che scenda in campo sul serio. Anche per giustificare la paga».
D. Maurizio Costanzo.
R. «Ho un rapporto molto controverso con lui. Siamo amici a distanza. Nei miei confronti è sempre pungente, ma poi si ricrede. Me lo ha detto anche Maria De Filippi. Adesso siamo in un periodo di tregua».
D. Chi ami in tv?
R. «Fabio Volo. È bravissimo. E Piero Chiambretti. Che ci fa a La 7? Quello è uno da Raiuno».
D. Veniamo al Pippo Baudo privato. Dopo Katia Ricciarelli il nulla?
R. «Scherzi? Mi diverto come un matto. Non mi perdo una "prima" a teatro, frequento i salotti. Cose che prima me le sognavo. E poi ho 70 anni. Un'età troppo impegnativa per avere una donna al fianco. Impegnativa per me e per lei».
D. Perché Katia è andata alla Fattoria?
R. «Non so rispondere a questa domanda. Pupi Avati mi ha detto che quando glielo ha comunicato lui si è messo a piangere e l'ha scongiurata di non andarci. Io non l'ho mai vista una volta in quel programma. Non ci riesco».
D. Perché?
R. «Che cosa c'entra lei in mezzo a quella gente? Lei è la regina della lirica. I soldi non le mancano. È una scelta che non apprezzo e non apprezzandola non voglio soffrire. Lo dico per affetto, perché le voglio ancora bene. Mica posso cancellare 18 anni di vita insieme».
D. Katia in questi ultimi tempi ti ha lanciato messaggi d'affetto. Ma tu sembri respingerli tutti.
R. «Una storia d'amore non è come prendere la metropolitana. Non puoi salire, scendere, salire di nuovo. Ho sposato Katia nel pieno della maturità, con la consapevolezza di voler invecchiare al suo fianco».
D. Poi?
R. «Poi il nostro rapporto si è andato lentamente consumando. Non c'erano più neppure i presupposti per la convivenza. E ora con serenità posso dire, e lo dico con affetto, che non torneremo mai più insieme. Perché nulla sarebbe più come prima».
D. Tra pochi mesi avrai 70 anni. Il momento più bello della tua vita?
R. «Quello che ho vissuto pochi mesi fa. Quando i miei due figli Tiziana e Alessandro si sono conosciuti per la prima volta. Io ero pieno di paure, di ansie. Invece loro si sono abbracciati in silenzio davanti a me, e la vita mi è scorsa davanti come in un film. Adesso sono amici, si frequentano, si chiamano senza che neppure io lo sappia. È un pezzo di me che si è ricongiunto. E ne sono felice».
D. Pensi alla morte?
R. «Sempre più spesso. Ma con serenità. Non ho conti in sospeso. Ci penso soprattutto quando torno a Militello, nella casa dei miei genitori, dove sono nato e cresciuto. La prima cosa che faccio quando arrivo è aprire il cassetto della scrivania di mio padre, che è stata anche la mia scrivania. Il profumo che viene fuori da quel cassetto è quello di un tempo. All'improvviso sento che mio padre è lì con me. Apro l'armadio e ritrovo i suoi impermeabili, i golf di mia madre. Presenze vive, invisibili».
D. Ti ritirerai a Militello un giorno?
R. «Lo dico sempre, ma non avrò il coraggio di farlo. Troppa solitudine, troppa tristezza. Però ci torno sempre. D'estate con i miei amici ci troviamo alle due del mattino e ce ne andiamo in giro per le strade del paese. Il gioco è sempre lo stesso: dire dove abitavano le persone 60 anni fa. Quella è la mia Recherche. Eh sì, Pippo è proprio il Marcel Proust di Militello».
Dagospia 21 Marzo 2006