MOGGI STORY/21 - LO SCANDALO LENTINI - L'ACCORDO IN NERO TRA IL TORO DI BORSANO E IL MILAN DI BERLUSCONI, CRAXIANI DOC - LUCIANONE "FORSE" NON ERA STATO INFORMATO - L'AVVENTURA AL TORINO FINISCE E MOGGI VOLA VERSO NUOVI LIDI.

Tratto da "Lucky Luciano - Intrighi, maneggi e scandali del padrone del calcio italiano Luciano Moggi", Ala Sinistra e Mezzala Destra, Kaos Edizioni (Un libro scritto in joint-venture da tre giornalisti sportivi, che hanno preferito l'anonimato, e da Marco Travaglio)

Lucianone e lo scandalo Lentini

Nell'estate del 1992 la città di Torino è scossa dalle pubbliche proteste dei tifosi granata. Il presidente Borsano - dopo un lungo tira e molla fra Juve e Milan che si contendono a suon di miliardi il gioiello del Toro Gianluigi Lentini, dichiarato "incedibile" fino al giorno prima - cede alle lusinghe del craxiano di Arcore e conclude l'affare della sua vita. Lentini passa al Milan per 22 miliardi "ufficiali", più una decina di miliardi che Berlusconi (tramite l'amministratore delegato milanista Adriano Galliani) gli versa in nero su un conto estero. Ma questo lo si scoprirà soltanto un anno dopo, in piena inchiesta sul Torino calcio. Ma dallo scandalo Lentini - sempre nel 1993, e sempre dalle confessioni di Gian Mauro Borsano - emerge un'altra storiaccia losca che dovrebbe far rizzare i capelli anche ai giudici sportivi. I quale, invece, come al solito, fingono di essere calvi.

È il marzo 1992. L'onorevole Gian Mauro Borsano è a corto di soldi, con le sue aziende sull'orlo del fallimento. Decide di vendere un po' di argenteria: e gli unici pezzi pregiati sono alcuni calciatori del vivaio granata, che nel frattempo hanno fatto strada in prima squadra. Il più ambìto dal mercato è, appunto, Gianluigi Lentini. Borsano lo promette al Milan, che lo vuole a tutti i costi. Pare che Bettino Craxi in persona - tifoso del Torino, ma soprattutto sodale di Silvio Berlusconi - intervenga pressantemente perché l'affare vada in porto. Rimane però da convincere il giocatore, che di muoversi da Torino, dove risiedono la famiglia e la fidanzata, non ne vuole sapere; lui preferirebbe, piuttosto, cambiare sponda del Po e accasarsi alla Juventus di Giampiero Boniperti, che gli fa una corte serrata. Ma questi, per Borsano, sono dettagli irrilevanti: abituato a comprare tutto - alla maniera del suo modello Berlusconi - l'onorevole presidente del Toro è convinto che prima o poi, con le buone o con le cattive, riuscirà a convincere il prezioso giovanotto.

Così, fin da marzo, Borsano si impegna sottobanco con il Milan a cedergli il campione, in cambio di un sostanzioso anticipo, ovviamente in nero: 5 miliardi, o giù di lì. Ma di contratti ufficiali - siamo nel mese di marzo, in pieno campionato - non se ne può nemmeno parlare, il calciomercato comincerà soltanto a giugno: fino ad allora è vietata qualsiasi trattativa. Però il Milan non si fida di Borsano, e prima di sganciare quella somma illecita - oltretutto non registrata, e quindi non dimostrabile di fronte a eventuali contestazioni - pretende delle garanzie. E quali garanzie può offrire un finanziere sull'orlo della bancarotta? Idea geniale: Borsano offre "in pegno" a Berlusconi la maggioranza delle azioni del Torino calcio. Da craxiano a craxiano, tutto in famiglia.

Ecco come Borsano racconterà l'incredibile vicenda ai magistrati torinesi, nell'interrogatorio del 13 gennaio 1994: «Il pegno venne dato perché in quel periodo di tempo il contratto [per la cessione di Lentini al Milan, ndr] non poteva essere concluso secondo la regola della Federazione. Il pegno era una garanzia a che, se non si fosse concluso il contratto, io avrei dovuto restituire il denaro preso "in nero". Il denaro mi era stato dato "in nero" nel marzo del 1992. Ne avevo bisogno urgente, credo per un rientro in banca. Io avevo proposto il pegno sulle azioni della Gima [la piccola holding delle decotte società borsaniane, ndr]. Ma Galliani non le volle, non ritenendole garanzie sufficienti. Io feci forti pressioni perché Berlusconi comprasse il Torino calcio. Lo dissi a Galliani e forse anche a Berlusconi». Ma quelli non ne volevano sapere, così si optò per la formula delle azioni in pegno: «Le azioni del Torino calcio, nella misura della maggioranza (non ricordo l'esatta quota, se 51 o 60 per cento) furono depositate in pegno presso un notaio di Milano, scelto dal Galliani. Io mi recai da questo notaio, di cui ora non ricordo il nome. La mancanza di azioni in mano mia è attestata dal mancato deposito delle azioni presso la sede sociale prima di un'assemblea... Dal notaio venne redatta una scrittura (non so se a scriverla fu il notaio, o Galliani, o l'avvocato Cantamessa che era con noi presente). Questa scrittura dava atto del deposito delle azioni. Ma quella scrittura faceva le veci della garanzia reale. Forse, anzi, era proprio una procura a scrivere il pegno sulle azioni. L'episodio avvenne, se ben ricordo, nel marzo 1992. Presenti alla riunione furono Moriondo [un dirigente granata, ndr], Cantamessa e Galliani».

Di questa cessione della maggioranza azionaria del Torino a un'altra società di serie A (il Milan appunto), Borsano dice di aver parlato «con l'avvocato Franzo Grande Stevens » (il celebre civilista molto vicino a casa Agnelli), «con Giampiero Boniperti» (quando gli comunicò che per Lentini si era già accordato con il Milan), e «forse con Moggi». Chissà se Lucianone, "forse" informato, trovò qualcosa da ridire per quell'incredibile iniziativa - scandalosa e delinquenziale - del suo presidente, il quale arrivava a consegnare la maggioranza azionaria di una società di serie A a un'altra società di serie A, il Milan, commettendo così un illecito sportivo gravissimo, visto che i due club erano antagonisti nello stesso campionato.



E per alcuni mesi, Berlusconi controllò di fatto il Milan e il Torino, che in teoria avrebbero dovuto essere squadre rivali: autorizzando così ogni possibile sospetto sulla piena regolarità degli scontri diretti e dell'intero campionato (anche se Borsano esclude «che in qualche misura il possesso delle azioni abbia interferito con l'esito delle partite con il Milan da parte del Torino calcio: non esiste patteggiamento sulle partite»).

Nelle pur blande leggi del calcio italiano, c'è l'ovvia norma che fa espresso divieto di possedere quote azionarie, anche di minoranza, di più di una società impegnata nello stesso campionato, prevedendo in tal caso perfino la revoca dello scudetto o la retrocessione d'ufficio. Ma non risulta che Lucianone, "forse" informato, abbia "forse" ostacolato il gravissimo illecito messo in atto dal suo presidente. Né risulta che Moggi abbia obiettato alcunché quando Borsano lo informò - senza "forse" - che il prezzo pagato dal Milan per Lentini era ben superiore a quello dichiarato: non 22 miliardi, ma 10 in più. E cioè: i 5 dell'anticipo di marzo (in nero), più altri 5 alla conclusione del contratto in luglio (sempre in nero). «Di certo Moggi lo sapeva», dichiara infatti l'ex presidente granata ai magistrati, «pur non conoscendo l'esatta entità del nero». Ma Lucianone è un uomo di mondo: evidentemente, per lui anche quell'"arrotondamento" era ordinaria amministrazione.

Il curriculum di prodezze illecite - a livello sportivo o penale - accertate dai magistrati torinesi a carico di Moggi direttore generale del Torino è impressionante. Lucianone reclutava squillo per "ammorbidire" gli arbitraggi, organizzava una tratta di finti giocatori per coprire fondi neri, ricorreva alle false fatture nell'acquisto di giovani calciatori per occultare altre operazioni illecite, si faceva pagare l'affitto con denaro extracontabile ricavato dalla vendita di biglietti omaggio... E non basta ancora. Nelle agende del ragionier Matta vengono trovati gli appunti sui compensi "in nero" pagati ai giocatori del Torino, denaro consegnato a mano in contanti dal contabile del Toro ai vari calciatori granata, che poi provvedevano a versarlo sui rispettivi libretti al portatore accesi presso la Banca Brignone, dove ricevevano anche gli stipendi ufficiali. «Tutti i calciatori più importanti del Torino», dichiara il Matta, «hanno usufruito di premi non ufficialmente registrati a bilancio». Il denaro proveniva dal famigerato conto "Mundial", gestito dallo stesso Matta con un libretto al portatore sulla Banca Brignone.

Ma non erano solo i calciatori a ricevere dalla società granata denaro "nero". Riceveva denaro occulto anche un caro amico di Lucianone: «Una erogazione riservata», racconta Matta ai magistrati il 6 novembre 1993, «era al colonnello Tronco. Era un amico del Moggi e venne poi assunto con compenso in parte riservato, quale osservatore. Prima era nell'Esercito italiano». Chissà come "osservava" bene i calciatori, l'ex colonnello dell'Esercito amico di Lucianone; chissà quanti campioni avrà segnalato, per giustificare quei compensi in nero... Del resto, Moggi di amici ne ha sempre avuti tanti. Per farli contenti, a Torino, aveva a disposizione un congruo pacchetto di biglietti e abbonamenti omaggio, a seconda dell'importanza dei destinatari. Luciano Faussone, responsabile dal 1978 della biglietteria del Torino, rivela ai magistrati il 23 novembre 1993: «L'assegnazione degli abbonamenti omaggio viene effettuata su richiesta di alcuni dirigenti: il presidente Borsano e il direttore generale Moggi». I nominativi, autorità o semplici amici dei suddetti, «mi pervengono oralmente o con un foglietto scritto. Anche se gli abbonamenti omaggio non possono essere messi in vendita, è prassi che da anni la società venda tali abbonamenti...».

Quisquilie, queste ultime, rispetto ai tanti guai giudiziari collezionati da Lucianone in una vita di duro lavoro. L'oblazione per i giocatori fantasma, che gli ha risparmiato la macchia nera sulla fedina penale, e la pena patteggiata per reati fiscali, vanno ad aggiungersi a due antichi peccatucci. Il 25 febbraio 1977 Moggi rimediò una condanna a 30 mila lire di ammenda dal pretore di Civitavecchia per violazione dei limiti massimi di velocità. Il 10 novembre 1982, la Corte d'appello di Roma lo condannò con sentenza irrevocabile a 4 mesi - condonati - per il reato di omicidio colposo (probabilmente in seguito a un incidente d'auto mortale). Tutti precedenti penali che fanno di Lucianone un pregiudicato a tutti gli effetti, e che potrebbero costargli caro in caso di nuove condanne.

21 - continua


Dagospia 13 Giugno 2006