ALTRO CHE CAIMANO. SILVIO E' UNA SALAMANDRA: IL MILAN NON SOLO RESTA IN SERIE A MA DIVENTA PADRONE UNICO DEL CALCIO ITALIANO - LA GIUSTIZIA DEL PALLONARO MASTELLA: DEL REATO RISPONDONO I GIUDICI E NON I COLPEVOLI - "ASORA ROSA" E I RECENSORI AMICI.
1 - ALTRO CHE CAIMANO. SILVIO E' UNA SALAMANDRA
Massimo Gramellini per La Stampa
Altro che caimano. Quell'uomo è una salamandra. Passa in mezzo a qualunque fuoco e raccatta i cadaveri bruciati di chi ha osato sfidarlo, ma anche di chi si è illuso di poter rimanere troppo a lungo suo socio. Qui non c'entrano le idee politiche e le passioni tifose, ma soltanto i fatti. Tangentopoli: l'amico Bettino Craxi finisce ad Hammamet, lui ne arraffa gli elettori e sale a Palazzo Chigi. Calciopoli: la Juve di Moggiraudo, sua alleata storica, precipita in B a meno 30, che anche se dovessero ridursi in appello significano due anni senza serie A. Invece il Milan non solo resta nel campionato principale e diventa padrone unico del calcio italiano, ma acquisisce la possibilità di soffiare i talenti migliori alla vecchia compagna d'avventure.
Altro che piazzale Loreto a tappe, come vaticinato dal fedele Confalonieri durante la campagna di terrorismo psicologico delle ultime ore. Questo è un trionfo. Di più: un affare. Come se un mese fa gli avessero detto: ti offriamo l'esilio calcistico del tuo socio juventino, a cui potrai portare via i pezzi pregiati a prezzi d'occasione, e in più il drastico ridimensionamento di quel Della Valle che molti fastidi ti ha procurato in Confindustria e nella Lega Calcio. In cambio ti chiediamo di darci 5 sconfitte in campionato (a tanto ammonta la penalizzazione di 15 punti) e di rinunciare per un anno alla Champions League (ma non alla Coppa Uefa, grazie a un cavillo che spieghiamo sul giornale) Ci stai?
Eccome se ci è stato. Manovrando ancora una volta con spregiudicatezza l'arma atomica dei diritti televisivi. Col Milan retrocesso, nessuna squadra avrebbe più visto un euro. Così invece il sistema è salvo e in B ci vanno soltanto gli altri. Si conferma un assunto ormai consolidato: per qualche strana e incomprensibile congiunzione astrale, l'unico essere umano che sia mai riuscito a fregare Berlusconi rimane un tifoso del Toro: Romano Prodi.
2 - LA GIUSTIZIA DEL PALLONARO MASTELLA: DEL REATO RISPONDONO I GIUDICI E NON I COLPEVOLI
Sebastiano Messina per la Repubblica
L'ira per la sentenza sullo scandalo del calcio ha spinto Clemente Mastella a lanciare un'accusa singolare: non è possibile, ha detto, che l'Italia del pallone vinca i mondiali, «e poi bastino un Ruperto o un Rossi a minacciarne la credibilità». La tesi è per metà bislacca e per l'altra metà disarmante. Bislacca perché attribuisce la colpa di aver infangato il prestigio del calcio italiano non a Luciano Moggi ma al giudice Cesare Ruperto, reo di aver pronunciato la sentenza. Disarmante perché a sostenerla non è un passante ma un ministro della Giustizia. Il quale, se fosse davvero convinto di quello che dice, dovrebbe far riscrivere immediatamente i codici alla luce di questo inedito principio giuridico: del reato rispondono i giudici e non i colpevoli.
Ma il senatore Mastella non lo farà. Perché, come si è affrettato a spiegare lui stesso, parlava «da tifoso e non da ministro». E questa è un'esimente fenomenale. Peccato che non sia venuta in mente a Moggi: avrebbe potuto difendersi spiegando che lui, al telefono, parlava da automobilista, non da manager. Da ex ferroviere, non da dg della Juve. Da telespettatore, non da boss del calcio. E magari, se trovava come giudice il tifoso Mastella, si beccava una medaglia e una lode.
3 - "ASORA ROSA" E I RECENSORI AMICI
Riccardo Chiaberge per il Domenicale de "Il Sole 24 Ore"
Dagli amici mi guardi Iddio. A Franco Cordelli non è piaciuta la recensione che Stefano Malatesta ha dedicato su Repubblica all'ultimo romanzo di Giorgio Montefoschi, "L'idea di perderti": una quasi stroncatura preceduta dall'avvertenza che il recensore sarebbe amico dell'autore. «E se Malatesta non fosse stato amico - si chiede Cordelli - che mai avrebbe scritto?». L'iniziativa di questo «outing» sui legami col recensito, in realtà, è di Alfonso Berardinelli, che per primo l'ha lanciata sul Foglio. Ma lui, sostiene Cordelli, lo può fare, perché «è un vero critico». E Malatesta? «È un uomo colto. È un uomo sensibile. È un uomo di mondo. Ma non è un critico». Quindi per poter ambire al titolo non basta essere sensibili e mondani (o mondane, se si è donne). Cosa serve? Un pedigree che si rispetti. Ce lo spiega sull'Avvenire Giuseppe Bonura: «Il critico militante deve avere colpo d'occhio, gusto, orecchio, moralità acutissima, imparzialità, senso del ritmo e della parola, passione stilistica, passione civile, passione politica...» . E chi più ne ha, più ne metta.
Come canta Jannacci:«Perché ci vuole orecchio, / bisogna avere il pacco / immerso, intinto dentro al secchio, / bisogna averlo tutto, / anzi parecchio...». Pacchi e orecchi che, come è ovvio, sono molto sviluppati nel critico dell'Avvenire mentre mancano totalmente, secondo Bonura, in Giulio Ferroni, da lui definito un «baronetto universitario» rivale del barone Asor Rosa. Il quale, per un fatale refuso, nel libro di Ferroni è diventato, romanescamente, «Asora Rosa». Nemmeno dei nemici, ormai, ti puoi fidare. Fratelli, Cordelli. Baroni, Ferroni. Lo giura / Bonura.
Dagospia 17 Luglio 2006
Massimo Gramellini per La Stampa
Altro che caimano. Quell'uomo è una salamandra. Passa in mezzo a qualunque fuoco e raccatta i cadaveri bruciati di chi ha osato sfidarlo, ma anche di chi si è illuso di poter rimanere troppo a lungo suo socio. Qui non c'entrano le idee politiche e le passioni tifose, ma soltanto i fatti. Tangentopoli: l'amico Bettino Craxi finisce ad Hammamet, lui ne arraffa gli elettori e sale a Palazzo Chigi. Calciopoli: la Juve di Moggiraudo, sua alleata storica, precipita in B a meno 30, che anche se dovessero ridursi in appello significano due anni senza serie A. Invece il Milan non solo resta nel campionato principale e diventa padrone unico del calcio italiano, ma acquisisce la possibilità di soffiare i talenti migliori alla vecchia compagna d'avventure.
Altro che piazzale Loreto a tappe, come vaticinato dal fedele Confalonieri durante la campagna di terrorismo psicologico delle ultime ore. Questo è un trionfo. Di più: un affare. Come se un mese fa gli avessero detto: ti offriamo l'esilio calcistico del tuo socio juventino, a cui potrai portare via i pezzi pregiati a prezzi d'occasione, e in più il drastico ridimensionamento di quel Della Valle che molti fastidi ti ha procurato in Confindustria e nella Lega Calcio. In cambio ti chiediamo di darci 5 sconfitte in campionato (a tanto ammonta la penalizzazione di 15 punti) e di rinunciare per un anno alla Champions League (ma non alla Coppa Uefa, grazie a un cavillo che spieghiamo sul giornale) Ci stai?
Eccome se ci è stato. Manovrando ancora una volta con spregiudicatezza l'arma atomica dei diritti televisivi. Col Milan retrocesso, nessuna squadra avrebbe più visto un euro. Così invece il sistema è salvo e in B ci vanno soltanto gli altri. Si conferma un assunto ormai consolidato: per qualche strana e incomprensibile congiunzione astrale, l'unico essere umano che sia mai riuscito a fregare Berlusconi rimane un tifoso del Toro: Romano Prodi.
2 - LA GIUSTIZIA DEL PALLONARO MASTELLA: DEL REATO RISPONDONO I GIUDICI E NON I COLPEVOLI
Sebastiano Messina per la Repubblica
L'ira per la sentenza sullo scandalo del calcio ha spinto Clemente Mastella a lanciare un'accusa singolare: non è possibile, ha detto, che l'Italia del pallone vinca i mondiali, «e poi bastino un Ruperto o un Rossi a minacciarne la credibilità». La tesi è per metà bislacca e per l'altra metà disarmante. Bislacca perché attribuisce la colpa di aver infangato il prestigio del calcio italiano non a Luciano Moggi ma al giudice Cesare Ruperto, reo di aver pronunciato la sentenza. Disarmante perché a sostenerla non è un passante ma un ministro della Giustizia. Il quale, se fosse davvero convinto di quello che dice, dovrebbe far riscrivere immediatamente i codici alla luce di questo inedito principio giuridico: del reato rispondono i giudici e non i colpevoli.
Ma il senatore Mastella non lo farà. Perché, come si è affrettato a spiegare lui stesso, parlava «da tifoso e non da ministro». E questa è un'esimente fenomenale. Peccato che non sia venuta in mente a Moggi: avrebbe potuto difendersi spiegando che lui, al telefono, parlava da automobilista, non da manager. Da ex ferroviere, non da dg della Juve. Da telespettatore, non da boss del calcio. E magari, se trovava come giudice il tifoso Mastella, si beccava una medaglia e una lode.
3 - "ASORA ROSA" E I RECENSORI AMICI
Riccardo Chiaberge per il Domenicale de "Il Sole 24 Ore"
Dagli amici mi guardi Iddio. A Franco Cordelli non è piaciuta la recensione che Stefano Malatesta ha dedicato su Repubblica all'ultimo romanzo di Giorgio Montefoschi, "L'idea di perderti": una quasi stroncatura preceduta dall'avvertenza che il recensore sarebbe amico dell'autore. «E se Malatesta non fosse stato amico - si chiede Cordelli - che mai avrebbe scritto?». L'iniziativa di questo «outing» sui legami col recensito, in realtà, è di Alfonso Berardinelli, che per primo l'ha lanciata sul Foglio. Ma lui, sostiene Cordelli, lo può fare, perché «è un vero critico». E Malatesta? «È un uomo colto. È un uomo sensibile. È un uomo di mondo. Ma non è un critico». Quindi per poter ambire al titolo non basta essere sensibili e mondani (o mondane, se si è donne). Cosa serve? Un pedigree che si rispetti. Ce lo spiega sull'Avvenire Giuseppe Bonura: «Il critico militante deve avere colpo d'occhio, gusto, orecchio, moralità acutissima, imparzialità, senso del ritmo e della parola, passione stilistica, passione civile, passione politica...» . E chi più ne ha, più ne metta.
Come canta Jannacci:«Perché ci vuole orecchio, / bisogna avere il pacco / immerso, intinto dentro al secchio, / bisogna averlo tutto, / anzi parecchio...». Pacchi e orecchi che, come è ovvio, sono molto sviluppati nel critico dell'Avvenire mentre mancano totalmente, secondo Bonura, in Giulio Ferroni, da lui definito un «baronetto universitario» rivale del barone Asor Rosa. Il quale, per un fatale refuso, nel libro di Ferroni è diventato, romanescamente, «Asora Rosa». Nemmeno dei nemici, ormai, ti puoi fidare. Fratelli, Cordelli. Baroni, Ferroni. Lo giura / Bonura.
Dagospia 17 Luglio 2006