CHE FINE HANNO FATTO GLI EROI DEL QUARTIERINO?
FAZIO, AUTO BLU E UFFICIO GALATTICO - GNUTTI TACE E FA AFFARI - RICUCCI MAGRO
FIORANI, SERVIZI SOCIALI - CONSORTE VUOLE LA RIVINCITA - BILLE', BASSO PROFILO



Stefano Livadiotti e Vittorio Malagutti per l'Espresso


Baci, abbracci e tanta commozione. Dall'apoteosi mondana giù giù fino alla vergogna del carcere, la parabola triste di Stefano Ricucci, il furbetto per antonomasia, si è conclusa così com'era cominciata: nelle braccia della sua Anna. Cambia solo lo scenario. Il nove di luglio del 2005, lo sfarzo di villa Feltrinelli all'Argentario aveva fatto da cornice all'evento rosa dell'estate: le nozze Falchi-Ricucci, la modella e il finanziere. A un anno di distanza, il 13 luglio scorso, la coppia è tornata a riabbracciarsi dopo quasi tre mesi di lontananza forzata. Ma questa volta a fare da testimoni all'evento non c'erano invitati eccellenti. Il finanziere che tentò la scalata al 'Corriere della Sera', è uscito dal carcere di Regina Coeli nascosto su un furgone della Polizia penitenziaria per eludere la folla di reporter e fotografi in attesa.

Era un Ricucci smagrito e depresso, l'ombra lontana dell'affarista guascone di tante interviste. Tocca a lui raccogliere i cocci di una stagione di ordinaria follia, demolita a suon di indagini e intercettazioni telefoniche. Un anno fa, proprio a metà luglio, la banda dei furbetti sembrava a un passo dalla meta. Gianpiero Fiorani con la benedizione del governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, era lanciato alla conquista di Antonveneta. L'Unipol guidata da Gianni Consorte era pronta all'Opa su Bnl. Ricucci, forte di una quota del 20 per cento, guardava dall'alto in basso tutti gli altri soci del 'Corriere', Mediobanca e Fiat comprese.

Dietro di loro una scia di amici e sodali con in prima fila il finanziere bresciano Chicco Gnutti e l'allora presidente di Confcommercio, Sergio Billè. Di lì a poco suonò il rompete le righe. Le indagini dei pm, le dimissioni a raffica, il carcere per alcuni (Ricucci, Fiorani e il suo braccio destro Gianfranco Boni), per tutti l'addio forzato a ogni ambizione di potere. Un anno, però, non è passato invano. Per mesi sottotraccia, schiacciati dall'incalzare delle inchieste giudiziarie, adesso i furbetti cominciano a riorganizzarsi. In ordine sparso, con strategie differenti l'uno dall'altro, pensano al futuro.

Come passa per esempio le giornate l'ex governatore, quello che fu il regista numero uno dei furbetti? La sveglia di Mario Pasquini, autista della Banca d'Italia, squilla ora un po' più tardi di un anno fa, visto che il suo (tuttora) capo se la prende più comoda. Quasi mai Fazio arriva prima delle 9 e 30 del mattino nel nuovo ufficio tutto marmi e stucchi a villa Huffer (sempre in via Nazionale): ascensore personale e due stanze con bagno privato. In tutto, circa 200 metri quadrati, ricavati, secondo voci di corridoio, anche dalla soppressione della sala riunioni degli archivisti dell'Istituto.

Lo Stregone di Alvito (copyright Diego Della Valle) ne dispone in base a una delibera approvata alla fine dello scorso dicembre dal consiglio superiore di Bankitalia (13 componenti, con ancora una salda maggioranza fazista), che gli ha consentito di tenere con sé anche la storica segretaria Maria Antonietta Martini, detta la zarina. La decisione non è passata inosservata: la Procura di Roma ha aperto un fascicolo e un'istruttoria è stata avviata dai magistrati della Corte dei Conti. Pare che lo stesso governatore Mario Draghi, nella seduta del consiglio di fine giugno, non abbia fatto granché per nascondere il suo disappunto per la situazione ereditata.

Indagato dalla Procura di Milano per aggiotaggio e da quella di Roma per abuso di atti d'ufficio, Fazio riceve pochissimo. Prima delle elezioni lo andavano a trovare i parlamentari amici, come Luigi Grillo e Ivo Tarolli, che cercavano di convincerlo a candidarsi. Oggi, oltre naturalmente al legale Franco Coppi, a via Nazionale si affacciano solo l'ex fidatissimo segretario particolare del direttorio (carica abolita da Draghi) Angelo De Mattia (ormai sull'orlo della pensione), l'ex direttore della Vigilanza Francesco Maria Frasca e il membro anziano del consiglio superiore Paolo Emilio Ferreri.

Tutto casa e chiesa, il pio ex governatore, che nell'estate dei furbetti si lasciava nottetempo baciare telefonicamente in fronte dall'allora banchiere emergente Fiorani, ha mantenuto l'abitudine ai weekend nel paesello natìo di Alvito, che raggiunge con l'auto blu e quella di scorta (la cui assegnazione non dipende dalla Banca d'Italia, ma dal prefetto). È li che, martedì 6 giugno, in occasione della festa del patrono San Valerio Martire, è stato raggiunto dal cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della congregazione per i vescovi.

Alcuni ne hanno trovato la conferma a una voce che voleva Fazio candidato (in alternativa all'ex governatore della Bundesbank, Hans Tietmeyer) al vertice dello Ior, la banca vaticana che amministra un patrimonio dell'ordine dei 5 miliardi e dove nell'estate del 1989 Angelo Caloia ha preso il posto di Paul Marcinkus. Ma i boatos, forse messi in giro ad arte per destabilizzare il vertice dell'Istituto (che dopo tre conferme nell'incarico era in fase di prorogatio), hanno avuto vita breve: nei giorni scorsi, dopo un colloquio di un'ora e mezzo con il Papa, Caloia, ha avuto un nuovo mandato. E Fazio continuerà a passare il tempo studiando i faldoni dei processi.

Chi ha deciso di usare le maniere forti, nell'ambito delle inchieste giudiziarie aperte, è Giovanni Consorte. L'ex capo dell'Unipol si è mosso, insieme al suo (ex) vice Ivano Sacchetti, per ottenere dal Tribunale del Riesame i 43 milioni messi sotto sequestro su richiesta dei pm milanesi. Ma martedì 18 luglio il sequestro è stato confermato. "Frutto di normali consulenze a Gnutti per l'operazione Telecom del 2001", dicono i due manager. "Appropriazione indebita", sostengono i magistrati. Di più. Colui che fu l'uomo forte della finanza targata Coop, annuncia rivincite, evoca complotti, contesta in toto le accuse, trascorre ore ogni giorno per organizzare la sua difesa, deciso a non arretrare di un passo di fronte alle contestazioni dei pm.

A ben guardare però, l'offensiva sembra diretta più verso gli ex colleghi che contro le procure. Manager e amministratori ora al comando della compagnia fino a pochi mesi fa approvavano plaudenti le mosse del numero uno poi travolto dalle indagini. Difficile, allora, voltare pagina sul serio. Consorte lo sa. Sa bene che la sua eredità resta sospesa come un macigno sul nuovo corso di Unipol e non vuole recitare la parte del capro espiatorio.

Tutto il contrario, almeno in apparenza, del banchiere Fiorani. Anche lui per anni ha fatto il bello e il cattivo tempo alla Popolare di Lodi, servito e riverito da un pool di manager che in buona parte si trova ancora nella prima linea dell'organigramma aziendale. L'ex pupillo di Fazio, però, finito agli arresti a metà dicembre, ha alzato fin da subito bandiera bianca di fronte ai pm. Ha dato disposizioni per far rientrare il tesoretto accumulato all'estero, pari, si dice, a un'ottantina di milioni e ha riempito centinaia di pagine di verbali di interrogatorio.



Così, adesso che il processo si avvicina, il più padano dei banchieri cerca un'uscita di sicurezza. Vorrebbe patteggiare una pena di tre anni e mezzo chiedendo l'affidamento ai servizi sociali. La Cooperativa Bergognone di Lodi, che, tra l'altro, offre assistenza ai disabili, sarebbe già pronta ad accogliere il manager caduto dal piedistallo. E questa, alla fine, potrebbe non essere l'unica soluzione. Già, perché nonostante lo scandalo, le indagini e le perdite per centinaia di milioni subite dalla banca, Fiorani per molti suoi concittadini resta poco meno di un benefattore.

E certo non ha fatto marcia indietro quel gruppo di sodali, tutti lodigiani doc, che comprarono azioni Antonveneta per centinaia di milioni di euro grazie ai crediti della ex Bpl, di cui si prestarono a coprire le manovre occulte. Nessuno di loro ha tempo per rimpiangere i bei tempi andati. Anche perché fanno tutti affari esattamente come prima, soprattutto in campo immobiliare.

E il fraterno alleato di Fiorani, il bresciano Emilio Gnutti? "Chicco si è fermato ai box", raccontano gli amici a Brescia alludendo ai problemi di salute (cuore), imprecando contro la mazzata giudiziaria che ne ha fiaccato il morale. Spiegano che ormai è fuori dalla mischia. Un pensionato, quasi. Proprio lui, il condottiero della razza padana che diede la scalata a Telecom, la vecchia volpe della Borsa con una condanna e un processo in corso per insider trading. In effetti, il 'Chicco nazionale', soprannome coniato ai tempi d'oro dai suoi amici furbetti, si è fatto da parte con una raffica di dimissioni. Ha lasciato poltrone pesanti come quella di vicepresidente del Monte dei Paschi di Siena, come anche le cariche nelle società di famiglia, formalmente affidate al figlio Thomas. Per curare gli affanni e gli acciacchi di una vita spesa in prima linea, l'ex patron della finanziaria Hopa trascorre lunghi periodi in un centro benessere sulle rive del Garda.

In città, però, si fa vedere di rado. Cura la sua collezione di auto di lusso (Ferrari, Bentley e altre ancora), custodite, a decine, nei due piani di un garage interrato nella prima periferia di Brescia. Studia progetti per far crescere il suo Millenium, un centro fitness in verità già grande e molto frequentato. Ha rinunciato perfino alla Mille Miglia, la gara per auto d'epoca che è diventata un appuntamento fisso per industriali, finanzieri e vipperia varia. Quest'anno Gnutti, da sempre sponsor e concorrente, ha fatto solo una capatina il giorno del via, a Brescia, l'11 di maggio. Poi più niente, nessuna apparizione pubblica. Chicco tace. Non lancia proclami di rivincita alla Gianni Consorte, altro reduce eccellente, e assai loquace, della stagione delle scalate bancarie. A differenza degli ex sodali Fiorani e Ricucci, allo scalatore di Telecom è stata evitata l'onta del carcere. Lui, il problema giudiziario l'ha affrontato a passo di carica. Si è infilato nel tunnel degli interrogatori a tutta velocità, uscendone a tempo di record. Giusto un paio di apparizioni alla procura di Milano, la vigilia di Natale e poi ai primi di febbraio.

Le indagini proseguono. I problemi restano, ma la scelta del basso profilo offre vantaggi notevoli. Uno su tutti: Gnutti, a dispetto dell'immagine da pensionato, può continuare a fare affari in tutta tranquillità. La sua Gp finanziaria, la holding di famiglia, ha chiuso in utile (9 milioni) il bilancio 2005, nonostante il sequestro, da parte della procura di Milano, delle plusvalenze realizzate con la scalata ad Antonveneta. E in portafoglio ci sono titoli, per esempio oltre 100 milioni investiti in azioni del Monte dei Paschi, in grado di garantire ottime plusvalenze. I guai di Hopa, che ha pagato con una maxiperdita di 1,3 miliardi di euro la fine dell'avventura in Telecom, hanno finito per ricadere soprattutto sui soci eccellenti della holding: Unipol, Popolare Italiana (ex Lodi), ancora Monte dei Paschi. Ovvero i compagni di avventure che per primi avevano scommesso su Gnutti investendo centinaia di milioni.

Chicco invece è arrivato a fine corsa cavalcando i giganteschi profitti realizzati a titolo personale negli anni degli affari a colpo sicuro, quelli dei giochi di sponda, spesso finiti al centro delle indagini di Consob e magistratura, sui titoli Telecom, Unipol, Antonveneta, Bnl. Adesso la festa è finita (pare), ma il furbetto di Brescia, e con lui un gruppetto di famiglie che lo seguono sin dai primi passi, può permettersi di guardare l'atto finale dall'alto di una montagna di quattrini. Resta da sistemare una partita immobiliare. Palazzi e terreni sparsi per l'Italia, comprati l'anno scorso per una settantina di milioni con la Gp finanziaria. Quasi tutti provengono dal patrimonio della Popolare Italiana (gestione Fiorani) e adesso Gnutti li ha messi sul mercato. Possibilmente guadagnandoci, tanto per cambiare.

Sulle speculazioni immobiliari, oltre che sulle scalate bancarie, i furbetti avevano costruito la loro rete di affari. Da Consorte a Fiorani, da Gnutti a Ricucci, tutti hanno fatto fortuna col mattone. Anche il presidente della Confcommercio, Sergio Billè, inventore della Confimmobiliare (destinata nei suoi piani a fare da contraltare all'Assoimmobiliare di Confindustria) assieme ad alcuni immobiliaristi che hanno occupato le pagine dei giornali l'estate scorsa, da Stefano Ricucci a Danilo Coppola a Francesco Bellavista Caltagirone.

Rispetto a quei giorni Billè, che il 10 febbraio è stato sostituito al vertice dei commercianti, appare oggi dimagrito. Una scelta obbligata, la sua: ora che non ha più l'auto blu a scorrazzarlo (la scorta, invece, l'ha sempre rifiutata) Don Bigné, come lo chiamavano i tanti nemici dai tempi della pasticceria di Messina, deve trovare il modo di incastrarsi nella Smart della bionda compagna Cecilia.

Indagato per appropriazione indebita (per la vicenda dell'acquisto a peso d'oro di un palazzo romano dall'amico Ricucci, di cui è stato testimone di nozze) e per distrazione dei fondi (per l'uso dei contributi associativi), Billè s'è eclissato (non prima, però, di aver impugnato la nomina del successore). Riservatissimo, del resto, lo è sempre stato: la porta del suo ufficio di numero uno dei commercianti, che veniva regolarmente setacciato dai bonificatori in cerca di cimici, poteva aprirla solo lui dall'interno, premendo un pulsante.

Qualche mese fa, arrivato con Ricucci davanti al ristorante romano di pesce La lampara, era andato in avanscoperta, trovando attovagliati il direttore dell'agenzia APcom, Antonio Calabrò, e il responsabile della comunicazione della Confindustria, Roberto Ippolito. Lesto aveva girato sui tacchi. Mai più s'è visto al Cnel, dove formalmente rappresenta ancora la Confcommercio (che sta cercando il modo di scaricarlo). L'unica occasione pubblica in cui ha fatto capolino è stato il funerale, lo scorso 30 maggio, dell'amico Lorenzo Necci 'Il Magnifico'. Per il resto, solo rare capatina al supermercato Dìperdì sotto casa. E qualche breve vacanza con la compagna: sono stati avvistati alle terme di Fiuggi, a Venezia e in Portogallo. Quasi sotto silenzio è passato anche il matrimonio del figlio Andrea, il 29 giugno, con decine di invitati (c'è chi dice 400) alla festa che si è tenuta dopo la cerimonia a Villa Miani.

Billè, come altri furbetti, va dicendo in giro che la sua unica occupazione attuale è lo studio delle carte processuali. I maligni dicono che continua a impicciarsi delle cose di Confcommercio attraverso i fedelissimi Fabrizio Palenzona e Ferruccio Dardanello. Chi ancora lo frequenta racconta che in realtà è stato tentato di mettere a frutto la lunga esperienza di Confcommercio per creare una società di consulenza nel settore del consumo. Idea subito tornata nel cassetto. Così come sono state respinte al mittente alcune offerte di lavoro ritenute non all'altezza.

Nessuno sa quante delle 47 cariche che ricopriva nel mondo dei commercianti sia riuscito a mantenere. Di certo ha conservato l'indirizzo: via dell'Aracoeli numero 4. Nel palazzo dove abitano anche il musicista Ennio Morricone e gli imprenditori Angelucci, Billè occupa un appartamento di quasi 400 metri quadrati, tenuto in buon ordine da un domestico peruviano. L'affitto, 110 mila euro l'anno, sostiene di averlo pagato lui da sempre (la Confcommercio se ne sarebbe fatta carico solo per i primi tre mesi della sua presidenza).

Con la casa è rimasta a Billè l'incredibile collezione di opere d'arte acquistata in gran parte con i quattrini dei commercianti e poi ottenuta in comodato gratuito: alla fine di dicembre del 2005 i finanzieri hanno impiegato due giorni a catalogare oltre 400 tra mobili e quadri per un valore complessivo vicino ai 2 milioni di euro. I beni sono stati posti sotto sequestro e finora Confcommercio non ha potuto riprenderseli. Billè non ha ancora deciso dove passerà le vacanze. Ma sembra orientato a evitare una delle sue mete preferite negli anni scorsi (anche d'inverno): l'isola di Turks and Caicos, ai Caraibi, dove ha casa l'amico Bellavista Caltagirone. Oggi per il barone di Montelupo è meglio il basso profilo delle Terme di Fiuggi.


Dagospia 25 Luglio 2006