LETTERA DI ALDO BUSI A UNA EX BAMBINA VIOLATA DAL FRATELLO MAGGIORE: "LEI DEVE DIRE BASTA ALLE STAMPELLE DELLA PIETÀ, O PASSERÀ LA SUA ESISTENZA TRA LE SGRINFIE DI CHI LA RICOMPENSERÀ CON L'UNICO OMAGGIO CHE LEI È IN GRADO DI APPREZZARE: UN ENNESIMO ABUSO
Riceviamo e pubblichiamo:
Le scrivo spinto dalla gratitudine per non avermi inviato l'ennesima, chilometrica, insulsa lettera che mi aveva preannunciato nella sua ultima insulsa e chilometrica. Finalmente ne ha indovinata una, e guarda caso proprio grazie alla lettera che non mi manda e che, mi auguro anche per il suo bene, non scriva più. Ma quella che mi manda di poche righe fuori dai denti, dopo un tiramolla di parole in libertà durato un anno, colpisce il bersaglio: che, come si voleva dimostrare, non sono io, ma era e resta lei. C'è arrivata da sola, vede? Visto che io le ho risposto solo una volta per dirle che non le avrei scritto altro. Lei non si adombrerà se, per trovare la voglia e la giustificazione di scrivere una seconda volta a lei, scrivo al contempo a tutte le ex bambine violentate del mondo, vero?
Accidenti, ma quante siete! Violentate, molestate, abusate, sessualmente usate da padri, zii, nonni, fratelli, e finite dal colpo di grazia di madri che fanno finta di niente, che non vedono, non sentono, e ne parlano ancora meno, quando non prendono le difese dei loro cari maschi immacolati del focolare accusati da "una spostata, una poco di buono, una cagnetta in calore piena di fisime", che poi sarebbe la figlia non appena gliene fa cenno. Allora c'è una sola soluzione per salvarsi dalla pazzia o dall'abulia o dalla sindrome di persecuzione: far passare in secondo piano quanto, occupando il primo, si mangia tutto lo spazio e il tempo, tutta la mente, tutti coloro che non c'entrano, e quindi tutta la vita. Come fare?
Il fatto che lei mi parli dell'abuso sessuale patito dall'età di otto a dieci anni per cazzo di suo fratello maggiore è di per sé positivo, significa che lei ha intrapreso la strada per ottenere un diverso punto di vista sull'accaduto; man mano che passa il tempo - ma non sarà solo una questione del tempo che passa e medica le ferite, come si suole stupidamente dire - il suo attuale punto di vista passerà attraverso vari stadi, sino a portarla a quello inedito, ora per lei inconcepibile, che le ridarà nuova vita, e con uno spessore emotivo e intellettuale in più.
Ma tutto ciò non ha alcuna pertinenza con il suo desiderio di trovare "un rifugio sicuro, disperatamente, e di qualcuno che sappia cosa sia la sincerità, il rispetto e la cura che vorrei tanto, finalmente, poter dare e ricevere": nessun rifugio è sicuro, a parte quello che ci si costruisce da sé nella consapevolezza che non esiste comunque rifugio sicuro a lungo; lei deve smetterla di credere che ci sia qualcuno disposto a sopportare e a fare propri il suo problema e la sua angoscia e, ormai, la sua nevrosi, materiale bruto che di per sé non ha niente di straordinario: non dimentichi mai che ognuno ha il proprio tumore di memorie, che ne parli o no, e che per lui è di fatto più importante e doloroso di quello di chiunque altro.
Purtroppo si sconfigge il dolore - un dolore calloso - solo quando ci si impone di sconfiggerne la malia: non c'è dolore che nella estenuante, crepuscolare reiterazione non diventi dolorismo, comoda àncora per giustificare ogni sbandata, ogni pigrizia mentale, ogni debolezza - ogni egoismo e crudeltà mentale verso il prossimo, infine.
Se lei invece di scrivere tanto - e che faccia tosta, allorché afferma di non riuscire a parlare di sé: ma se non sa fare altro! - leggesse un po' di più opere di qualità come quelle che ho prodotto io e si liberasse di tutto quell'armamentario psicanalitico e da analisi mal digerita che le devasta la mente e la posta, riuscirebbe lentamente a sorridere di ogni disgrazia, di ogni anatema, di ogni stortura e bruttura, di ogni stigmate patita nella carne e nello spirito - nel suo essere stata corpo sociale smembrato, sminuito, ferito a morte.
Il suo mito dell'incontro personale con me, poi, denota scarsa considerazione - tipica del non lettore recidivo - verso la mia persona, visto che io non sono un semplice vicino di pianerottolo, ma Aldo Busi, un uomo pubblico che, anche se crede di non recitarne alcuna, è teatrato dagli altri in una o più parti che non gli competono, per le quali né è tagliato né interessato. Se lei mi ha visto in televisione, è giusto che di me abbia una percezione meramente televisiva: si dà il caso, però, che sia mio diritto ricordarle che non mi impressiona più di tanto allorché di me si scambia la parte per il tutto.
Io non sarò mai perfetto come Carlo Conti che dell'insussistenza ha fatto una virtù ineguagliabile, anche se troppa gente, scrivendo a me e non a lui, sbaglia indirizzo e non si rende nemmeno conto che una cosa è Montichiari, un'altra Salsomaggiore - inoltre voi non lettrici violentate che vi indirizzate a me siete così tante che non saprei proprio a chi dare lo scettro di Miss Stuprata 1984-2006.
Lei deve essere infinitamente grata non verso chi la illude e la fa sprofondare ancora di più nella sua melma a lei tanto cara (non conoscendo altro, vi si è attaccata con tutta se stessa, e ha finito per provare nostalgia in anticipo delle sue sabbie mobili anziché trovare lo slancio per uscirne e planare su una tanto più prosaica e sdrammatizzata terraferma), lei deve trovare la forza di stimare non il ciarlatano che la compatisce (mai gratuitamente) godendo nel dannarla sempre un po' di più ma chi come me le dà un bel calcio negli stinchi e tenta di rimetterla in piedi sui suoi di piedi.
Lei deve dire basta alle stampelle della pietà che intende suscitare, o passerà la sua esistenza tra le sgrinfie di chi la ricompenserà con l'unico omaggio che lei è in grado di apprezzare messa com'è ora: un ennesimo abuso. Lei si deve ribellare alle lusinghe dell'autocompiacimento distruttivo - intanto: perché non approfitta del primo pranzo di Natale in famiglia per tirare fuori la sua storia davanti a quel suo fratello e in particolare davanti a tutti? Io cose così ne ho fatte a bizzeffe e dopo mi sono sempre trovato bene. Lei ha subito un'onta molto più pubblica che privata visto che le inibisce ogni tipo di rapporto e pubblico e privato (anche il suo lavoro ne risente, nevvero): essa va intanto lavata in pubblico senza alcun pudore, costi quel che costi.
Se neppure lei riesce ad amarsi, che almeno qualcuno impari a temerla. Non c'è niente di male a restituire pan per focaccia, e comunque l'unica maniera per dimenticare è non perdonare; a perdonare quando se ne può fare a meno si vive peggio, e non ci si dimentica mai e poi mai del torto subito. Ma adesso voglio darle un consiglio pratico, e pertanto sensuale.
Quando, per esempio, lei incontra una persona, e massimamente un uomo che magari le interessa, la prima cosa che deve pensare è la seguente: 'non lo devo annoiare con le mie chiacchiere comatose, non devo trasformare un corpo palpitante di cazzi suoi in una spalla supina alle mie lacrime suine, deve essere lui al centro dei miei discorsi, devo essere così generosa e con quel tanto di classe sufficiente da dimenticarmi per un po' del mio tormento, perché inevitabilmente alle sue orecchie diventa un tormentone e nessun uomo, nemmeno il più passivamente anale, vuole ridursi all'analista di una rompipalle' - perché poi magari costui ha nel suo passato un trauma altrettanto grave e spinoso ma, saggiamente, capisce che non è certo al primo impatto il caso di tirarlo fuori e sbatterglielo addosso.
Per non "annoiare con le chiacchiere comatose" intendo anche sforzarsi di mutare il linguaggio del corpo e della faccia, essere vigili allorché il corpo assume atteggiamenti di chiusura, di diffidenza muscolare, di ripugnanza incontrollata e la faccia smorfie, ghigni, rilassatezza di morbosa apatia: lei deve imparare a tenere sotto controllo ogni messaggio della sua persona che riporti ad altro, all'urgenza della sua comunicazione primaria che le sfugge da tutte le parti, per l'appunto a ciò che grida anche quando se ne sta in silenzio, a ciò che in lei è pregresso e fa a pugni con l'istante che vive non più da sola. C'è un tempo per tutto, ma l'istante dell'altro ha nel presente la precedenza su tutto, compreso il nostro passato per quanto traumatico e invadente; lei deve solo essere gentile e paziente, intendo dire anche verso se stessa.
Senta, mia cara grafomane: perché non si limita per qualche tempo a riderci sopra, a essere carina con chi ha intorno, a calarsi sui problemi altrui con delicatezza e un po' di umorismo, a non usare le persone per sgravarsi del suo peso? Io mi sto rivolgendo alla sua intelligenza, al coraggio di averne una fino in fondo: la usi finalmente per sé, per fare per sé quanto nessun altro potrà mai fare.
Non mi scriva fino a che non avrà letto in ordine cronologico i miei primi cinque libri - vada a prenderli in biblioteca, che così risparmia pure -, e fino a che non li avrà letti e capiti e lasciati sedimentare lei non prenda iniziative con nessuno, non forzi le situazioni sociali e umane, lasci per un po' che le cose, e le persone, fluiscano, la sfiorino o la ignorino, e le raccomando: non deve per nessunissima ragione proferire una sola parola di lamentela. Lei deve cominciare a prendere le distanze: da sé, da me e da chiunque altro. Deve uscire dalla logica dell'aiuto (tramite "specialisti" o amici "fidati" o, non sia mai, antidepressivi e simili), lei dovrebbe avere capito che chi va in cerca di un bastone per appoggiarsi se lo trova fracassato in testa - o nella testa, il che è un male difficilmente riparabile, perché raramente chi ti aiuta sa evitare al contempo di plagiarti.
Quindi, se la invito a leggere le mie opere, non è certo perché voglio farla cadere dalla padella alla brace: impari a essere indipendente, anche da esse, e, soprattutto, capisca quanto avrebbe capito se le avesse degnate di attenzione prima. E si rassegni, anche perché mi devo citare: voler conoscere uno scrittore dopo averne letto le opere - e addirittura, vergognosamente, prima - è come pretendere di interloquire con un'oca dopo averne, tartufescamente, mangiato il fegato.
Mi raccomando: in gamba, testa alta e, visto che ne avrà uno di tutto rispetto, petto in fuori:
Aldo Busi
Dagospia 05 Settembre 2006
Le scrivo spinto dalla gratitudine per non avermi inviato l'ennesima, chilometrica, insulsa lettera che mi aveva preannunciato nella sua ultima insulsa e chilometrica. Finalmente ne ha indovinata una, e guarda caso proprio grazie alla lettera che non mi manda e che, mi auguro anche per il suo bene, non scriva più. Ma quella che mi manda di poche righe fuori dai denti, dopo un tiramolla di parole in libertà durato un anno, colpisce il bersaglio: che, come si voleva dimostrare, non sono io, ma era e resta lei. C'è arrivata da sola, vede? Visto che io le ho risposto solo una volta per dirle che non le avrei scritto altro. Lei non si adombrerà se, per trovare la voglia e la giustificazione di scrivere una seconda volta a lei, scrivo al contempo a tutte le ex bambine violentate del mondo, vero?
Accidenti, ma quante siete! Violentate, molestate, abusate, sessualmente usate da padri, zii, nonni, fratelli, e finite dal colpo di grazia di madri che fanno finta di niente, che non vedono, non sentono, e ne parlano ancora meno, quando non prendono le difese dei loro cari maschi immacolati del focolare accusati da "una spostata, una poco di buono, una cagnetta in calore piena di fisime", che poi sarebbe la figlia non appena gliene fa cenno. Allora c'è una sola soluzione per salvarsi dalla pazzia o dall'abulia o dalla sindrome di persecuzione: far passare in secondo piano quanto, occupando il primo, si mangia tutto lo spazio e il tempo, tutta la mente, tutti coloro che non c'entrano, e quindi tutta la vita. Come fare?
Il fatto che lei mi parli dell'abuso sessuale patito dall'età di otto a dieci anni per cazzo di suo fratello maggiore è di per sé positivo, significa che lei ha intrapreso la strada per ottenere un diverso punto di vista sull'accaduto; man mano che passa il tempo - ma non sarà solo una questione del tempo che passa e medica le ferite, come si suole stupidamente dire - il suo attuale punto di vista passerà attraverso vari stadi, sino a portarla a quello inedito, ora per lei inconcepibile, che le ridarà nuova vita, e con uno spessore emotivo e intellettuale in più.
Ma tutto ciò non ha alcuna pertinenza con il suo desiderio di trovare "un rifugio sicuro, disperatamente, e di qualcuno che sappia cosa sia la sincerità, il rispetto e la cura che vorrei tanto, finalmente, poter dare e ricevere": nessun rifugio è sicuro, a parte quello che ci si costruisce da sé nella consapevolezza che non esiste comunque rifugio sicuro a lungo; lei deve smetterla di credere che ci sia qualcuno disposto a sopportare e a fare propri il suo problema e la sua angoscia e, ormai, la sua nevrosi, materiale bruto che di per sé non ha niente di straordinario: non dimentichi mai che ognuno ha il proprio tumore di memorie, che ne parli o no, e che per lui è di fatto più importante e doloroso di quello di chiunque altro.
Purtroppo si sconfigge il dolore - un dolore calloso - solo quando ci si impone di sconfiggerne la malia: non c'è dolore che nella estenuante, crepuscolare reiterazione non diventi dolorismo, comoda àncora per giustificare ogni sbandata, ogni pigrizia mentale, ogni debolezza - ogni egoismo e crudeltà mentale verso il prossimo, infine.
Se lei invece di scrivere tanto - e che faccia tosta, allorché afferma di non riuscire a parlare di sé: ma se non sa fare altro! - leggesse un po' di più opere di qualità come quelle che ho prodotto io e si liberasse di tutto quell'armamentario psicanalitico e da analisi mal digerita che le devasta la mente e la posta, riuscirebbe lentamente a sorridere di ogni disgrazia, di ogni anatema, di ogni stortura e bruttura, di ogni stigmate patita nella carne e nello spirito - nel suo essere stata corpo sociale smembrato, sminuito, ferito a morte.
Il suo mito dell'incontro personale con me, poi, denota scarsa considerazione - tipica del non lettore recidivo - verso la mia persona, visto che io non sono un semplice vicino di pianerottolo, ma Aldo Busi, un uomo pubblico che, anche se crede di non recitarne alcuna, è teatrato dagli altri in una o più parti che non gli competono, per le quali né è tagliato né interessato. Se lei mi ha visto in televisione, è giusto che di me abbia una percezione meramente televisiva: si dà il caso, però, che sia mio diritto ricordarle che non mi impressiona più di tanto allorché di me si scambia la parte per il tutto.
Io non sarò mai perfetto come Carlo Conti che dell'insussistenza ha fatto una virtù ineguagliabile, anche se troppa gente, scrivendo a me e non a lui, sbaglia indirizzo e non si rende nemmeno conto che una cosa è Montichiari, un'altra Salsomaggiore - inoltre voi non lettrici violentate che vi indirizzate a me siete così tante che non saprei proprio a chi dare lo scettro di Miss Stuprata 1984-2006.
Lei deve essere infinitamente grata non verso chi la illude e la fa sprofondare ancora di più nella sua melma a lei tanto cara (non conoscendo altro, vi si è attaccata con tutta se stessa, e ha finito per provare nostalgia in anticipo delle sue sabbie mobili anziché trovare lo slancio per uscirne e planare su una tanto più prosaica e sdrammatizzata terraferma), lei deve trovare la forza di stimare non il ciarlatano che la compatisce (mai gratuitamente) godendo nel dannarla sempre un po' di più ma chi come me le dà un bel calcio negli stinchi e tenta di rimetterla in piedi sui suoi di piedi.
Lei deve dire basta alle stampelle della pietà che intende suscitare, o passerà la sua esistenza tra le sgrinfie di chi la ricompenserà con l'unico omaggio che lei è in grado di apprezzare messa com'è ora: un ennesimo abuso. Lei si deve ribellare alle lusinghe dell'autocompiacimento distruttivo - intanto: perché non approfitta del primo pranzo di Natale in famiglia per tirare fuori la sua storia davanti a quel suo fratello e in particolare davanti a tutti? Io cose così ne ho fatte a bizzeffe e dopo mi sono sempre trovato bene. Lei ha subito un'onta molto più pubblica che privata visto che le inibisce ogni tipo di rapporto e pubblico e privato (anche il suo lavoro ne risente, nevvero): essa va intanto lavata in pubblico senza alcun pudore, costi quel che costi.
Se neppure lei riesce ad amarsi, che almeno qualcuno impari a temerla. Non c'è niente di male a restituire pan per focaccia, e comunque l'unica maniera per dimenticare è non perdonare; a perdonare quando se ne può fare a meno si vive peggio, e non ci si dimentica mai e poi mai del torto subito. Ma adesso voglio darle un consiglio pratico, e pertanto sensuale.
Quando, per esempio, lei incontra una persona, e massimamente un uomo che magari le interessa, la prima cosa che deve pensare è la seguente: 'non lo devo annoiare con le mie chiacchiere comatose, non devo trasformare un corpo palpitante di cazzi suoi in una spalla supina alle mie lacrime suine, deve essere lui al centro dei miei discorsi, devo essere così generosa e con quel tanto di classe sufficiente da dimenticarmi per un po' del mio tormento, perché inevitabilmente alle sue orecchie diventa un tormentone e nessun uomo, nemmeno il più passivamente anale, vuole ridursi all'analista di una rompipalle' - perché poi magari costui ha nel suo passato un trauma altrettanto grave e spinoso ma, saggiamente, capisce che non è certo al primo impatto il caso di tirarlo fuori e sbatterglielo addosso.
Per non "annoiare con le chiacchiere comatose" intendo anche sforzarsi di mutare il linguaggio del corpo e della faccia, essere vigili allorché il corpo assume atteggiamenti di chiusura, di diffidenza muscolare, di ripugnanza incontrollata e la faccia smorfie, ghigni, rilassatezza di morbosa apatia: lei deve imparare a tenere sotto controllo ogni messaggio della sua persona che riporti ad altro, all'urgenza della sua comunicazione primaria che le sfugge da tutte le parti, per l'appunto a ciò che grida anche quando se ne sta in silenzio, a ciò che in lei è pregresso e fa a pugni con l'istante che vive non più da sola. C'è un tempo per tutto, ma l'istante dell'altro ha nel presente la precedenza su tutto, compreso il nostro passato per quanto traumatico e invadente; lei deve solo essere gentile e paziente, intendo dire anche verso se stessa.
Senta, mia cara grafomane: perché non si limita per qualche tempo a riderci sopra, a essere carina con chi ha intorno, a calarsi sui problemi altrui con delicatezza e un po' di umorismo, a non usare le persone per sgravarsi del suo peso? Io mi sto rivolgendo alla sua intelligenza, al coraggio di averne una fino in fondo: la usi finalmente per sé, per fare per sé quanto nessun altro potrà mai fare.
Non mi scriva fino a che non avrà letto in ordine cronologico i miei primi cinque libri - vada a prenderli in biblioteca, che così risparmia pure -, e fino a che non li avrà letti e capiti e lasciati sedimentare lei non prenda iniziative con nessuno, non forzi le situazioni sociali e umane, lasci per un po' che le cose, e le persone, fluiscano, la sfiorino o la ignorino, e le raccomando: non deve per nessunissima ragione proferire una sola parola di lamentela. Lei deve cominciare a prendere le distanze: da sé, da me e da chiunque altro. Deve uscire dalla logica dell'aiuto (tramite "specialisti" o amici "fidati" o, non sia mai, antidepressivi e simili), lei dovrebbe avere capito che chi va in cerca di un bastone per appoggiarsi se lo trova fracassato in testa - o nella testa, il che è un male difficilmente riparabile, perché raramente chi ti aiuta sa evitare al contempo di plagiarti.
Quindi, se la invito a leggere le mie opere, non è certo perché voglio farla cadere dalla padella alla brace: impari a essere indipendente, anche da esse, e, soprattutto, capisca quanto avrebbe capito se le avesse degnate di attenzione prima. E si rassegni, anche perché mi devo citare: voler conoscere uno scrittore dopo averne letto le opere - e addirittura, vergognosamente, prima - è come pretendere di interloquire con un'oca dopo averne, tartufescamente, mangiato il fegato.
Mi raccomando: in gamba, testa alta e, visto che ne avrà uno di tutto rispetto, petto in fuori:
Aldo Busi
Dagospia 05 Settembre 2006