SANDRO CURZI LOTTA CONTRO IL CANCRO - OPERATO PER LA SECONDA VOLTA A UN POLMONE, "ROSSO ANTICO" STA BENE: "HO DETTO AL MEDICO: SE DEVI RIDURMI A UNA LARVA, NON FARE NIENTE" - "HA RAGIONE IL CARDINAL MARTINI: CENTRALE È LA VOLONTÀ DEL MALATO".
Paolo Conti per il "Corriere della Sera"
«Ho voluto rispettare la par condicio, no? Prima il cancro al polmone destro tredici anni fa, e mi hanno tolto il lobo superiore. Poi, dieci giorni fa, la bella scoperta di un altro cancro. Stavolta però al polmone sinistro. E, zac!, via l'altro lobo».
La metafora oncologica di Sandro Curzi non poteva che essere di marca televisiva. Lui ride, come se il secondo intervento ai polmoni, anzi il secondo cancro, non lo riguardasse. «Certo, lo chiamo cancro. E come, sennò? Mai avuta paura delle parole giuste». Succede a tanti. Un controllo di routine che diventa emergenza, «anche se non era una metastasi dell'altro tumore ma una formazione tutta nuova però in rapida crescita, quindi pericolosa. Pure stavolta ho avuto fortuna».
Qualcuno tirerebbe in ballo la Provvidenza. Altra risata: «Non io. Ma non mi dichiaro nemmeno ateo. Non credo ai miracoli però preferisco la definizione di agnostico. Ai tempi del comunismo, quando visitavo i musei dell'ateismo, capivo che mi trovavo di fronte a un'altra forma di religione. Ora sono nella posizione di chi cerca di capire».
L'ex direttore del «tiggitrè della gggente di sinistra», oggi consigliere Rai in quota Rifondazione-Verdi, uscirà entro sabato dal reparto di chirurgia toracica dell'ospedale Forlanini di Roma. Venerdì è stato operato dal primario Massimo Martelli, che dirige il reparto di malattie polmonari. Ma già sta bene: colorito normale, respiro regolare, voglia di tornarsene a casa, persino a viale Mazzini.
Che rapporto ha col cancro, Curzi? «Ormai quasi sereno. È un confronto serrato, una dura partitaccia a scopone, una competizione. Quando ho saputo di questo bis, lì per lì ho pensato: ho 77 anni, è finita, mi aspetta il solito orribile tunnel delle cure estreme. Mi sono sentito invecchiato, stanco, un gran desiderio di farmi da parte. Otto anni fa c'è stato pure quel brutto infarto. Invece...» Invece eccolo qui, già in tuta blu, armato di due telefonini, quasi un divo per gli infermieri romani che se lo coccolano. Lo chiamano in tanti, anche avversari politici dichiarati come Paolo Bonaiuti o Andrea Ronchi di An.
Sul tavolino della stanza solventi al quarto piano dell'ospedale, molti giornali sottolineati. Soprattutto uno: l'ultimo inserto domenicale del «Sole 24 ore» con la riflessione del cardinale Carlo Maria Martini sul caso Welby, la morte, l'accanimento terapeutico.
D'accordo con sua eminenza? «D'accordissimo. Straordinaria chiarezza, semplicità e umanità. Sembra che i veri interlocutori del documento siano proprio i non credenti, cioè noi laici. Quindi Martini è in dialogo con me. Bisogna forse passarci, nel mondo della malattia, per capire cosa ti passa per la testa. È successo a lui. È successo a me».
Cosa capita di pensare, di decidere, quando si è malati, Curzi? «Quando ho saputo che mi avrebbero operato, ho subito detto a Martelli: stai attento, se devi ridurmi a una povera cosa senza voce, meglio non far niente. Meglio la morfina, poi si vede. M'è andata bene. Martini coglie nel segno. Ci vuole "un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando non giovano più alla persona"».
Cosa le piace di più del discorso di Martini? «Il rimettere al centro la volontà del malato, la sua capacità di decidere. Non si chiama "libero arbitrio", per i credenti? Sono contrarissimo all'eutanasia facile, al suicidio a portata di mano. Ma sono ostilissimo all'accanimento terapeutico, al respiratore che tiene in vita meccanicamente Welby senza speranze di guarigione ma a prezzo di nuove sofferenze».
Il cardinal Camillo Ruini e monsignor Elio Sgreccia non sono d'accordo con Martini. «Ho letto proprio sul Corriere della Sera. Sgreccia parla di "morte accolta e offerta", fatico a capire. Martini invece è trasparente. Temo due opposti fondamentalismi. Da una parte i sostenitori dell'eutanasia spensierata che può diventare di massa, dall'altra l'irrigidimento conservatore degli apparati cattolici. Personalmente credo che la soluzione francese rispetti sia la vita che la capacità del paziente di decidere ma su uno sfondo di regole».
Un altro passaggio di Martini affascina Curzi: «Parla di "negligenza terapeutica", di "troppo lunga attesa" per le cure. Sia lui che io siamo due privilegiati perché siamo persone note. Ci ammaliamo e ci curiamo subito. Ma gli altri? I più poveri? Quelli costretti ai margini del sistema?» Riecco il Curzi vecchio polemista: «La sanità è come la politica, l'informazione, la tv. Quando ci sono forti interessi esterni che si sovrappongono e quando, per dirla con Martini, non si è "svincolati dalle sole dinamiche del mercato", può accadere il peggio. Le radici di una collettività possono essere minate se tutto è mercato, dalla salute alle scelte della politica».
E qui fa un esempio vicinissimo: «Noi siamo qui al Forlanini. La giunta regionale di centrosinistra ne ha deciso la chiusura, la riduzione a un padiglione del San Camillo. Eppure questo è un centro di eccellenza a livello europeo. Assurdo, no? Girano mille voci sul futuro di questo complesso: nuova sede della Regione, grande albergo, villaggio per le future Olimpiadi da rivendere ad appartamenti... La Cgil è allarmata. E anch'io, perché credo ostinatamente nella sanità pubblica».
Cosa chiederebbe a Piero Marrazzo, presidente della giunta regionale del Lazio? «Gli chiederei di capire cosa sta succedendo. Nella trasparenza. E magari di ascoltare le ragioni di chi lavora qui da vent'anni». Vicino a lui c'è la moglie Bruna. Dopo 52 anni di matrimonio lo chiama ancora amore. Gli stappa una bottiglia di vino rosso. Un brindisi a due. Per la seconda vittoria sul cancro. Perché così si chiama questa malattia.
Dagospia 24 Gennaio 2007
«Ho voluto rispettare la par condicio, no? Prima il cancro al polmone destro tredici anni fa, e mi hanno tolto il lobo superiore. Poi, dieci giorni fa, la bella scoperta di un altro cancro. Stavolta però al polmone sinistro. E, zac!, via l'altro lobo».
La metafora oncologica di Sandro Curzi non poteva che essere di marca televisiva. Lui ride, come se il secondo intervento ai polmoni, anzi il secondo cancro, non lo riguardasse. «Certo, lo chiamo cancro. E come, sennò? Mai avuta paura delle parole giuste». Succede a tanti. Un controllo di routine che diventa emergenza, «anche se non era una metastasi dell'altro tumore ma una formazione tutta nuova però in rapida crescita, quindi pericolosa. Pure stavolta ho avuto fortuna».
Qualcuno tirerebbe in ballo la Provvidenza. Altra risata: «Non io. Ma non mi dichiaro nemmeno ateo. Non credo ai miracoli però preferisco la definizione di agnostico. Ai tempi del comunismo, quando visitavo i musei dell'ateismo, capivo che mi trovavo di fronte a un'altra forma di religione. Ora sono nella posizione di chi cerca di capire».
L'ex direttore del «tiggitrè della gggente di sinistra», oggi consigliere Rai in quota Rifondazione-Verdi, uscirà entro sabato dal reparto di chirurgia toracica dell'ospedale Forlanini di Roma. Venerdì è stato operato dal primario Massimo Martelli, che dirige il reparto di malattie polmonari. Ma già sta bene: colorito normale, respiro regolare, voglia di tornarsene a casa, persino a viale Mazzini.
Che rapporto ha col cancro, Curzi? «Ormai quasi sereno. È un confronto serrato, una dura partitaccia a scopone, una competizione. Quando ho saputo di questo bis, lì per lì ho pensato: ho 77 anni, è finita, mi aspetta il solito orribile tunnel delle cure estreme. Mi sono sentito invecchiato, stanco, un gran desiderio di farmi da parte. Otto anni fa c'è stato pure quel brutto infarto. Invece...» Invece eccolo qui, già in tuta blu, armato di due telefonini, quasi un divo per gli infermieri romani che se lo coccolano. Lo chiamano in tanti, anche avversari politici dichiarati come Paolo Bonaiuti o Andrea Ronchi di An.
Sul tavolino della stanza solventi al quarto piano dell'ospedale, molti giornali sottolineati. Soprattutto uno: l'ultimo inserto domenicale del «Sole 24 ore» con la riflessione del cardinale Carlo Maria Martini sul caso Welby, la morte, l'accanimento terapeutico.
D'accordo con sua eminenza? «D'accordissimo. Straordinaria chiarezza, semplicità e umanità. Sembra che i veri interlocutori del documento siano proprio i non credenti, cioè noi laici. Quindi Martini è in dialogo con me. Bisogna forse passarci, nel mondo della malattia, per capire cosa ti passa per la testa. È successo a lui. È successo a me».
Cosa capita di pensare, di decidere, quando si è malati, Curzi? «Quando ho saputo che mi avrebbero operato, ho subito detto a Martelli: stai attento, se devi ridurmi a una povera cosa senza voce, meglio non far niente. Meglio la morfina, poi si vede. M'è andata bene. Martini coglie nel segno. Ci vuole "un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando non giovano più alla persona"».
Cosa le piace di più del discorso di Martini? «Il rimettere al centro la volontà del malato, la sua capacità di decidere. Non si chiama "libero arbitrio", per i credenti? Sono contrarissimo all'eutanasia facile, al suicidio a portata di mano. Ma sono ostilissimo all'accanimento terapeutico, al respiratore che tiene in vita meccanicamente Welby senza speranze di guarigione ma a prezzo di nuove sofferenze».
Il cardinal Camillo Ruini e monsignor Elio Sgreccia non sono d'accordo con Martini. «Ho letto proprio sul Corriere della Sera. Sgreccia parla di "morte accolta e offerta", fatico a capire. Martini invece è trasparente. Temo due opposti fondamentalismi. Da una parte i sostenitori dell'eutanasia spensierata che può diventare di massa, dall'altra l'irrigidimento conservatore degli apparati cattolici. Personalmente credo che la soluzione francese rispetti sia la vita che la capacità del paziente di decidere ma su uno sfondo di regole».
Un altro passaggio di Martini affascina Curzi: «Parla di "negligenza terapeutica", di "troppo lunga attesa" per le cure. Sia lui che io siamo due privilegiati perché siamo persone note. Ci ammaliamo e ci curiamo subito. Ma gli altri? I più poveri? Quelli costretti ai margini del sistema?» Riecco il Curzi vecchio polemista: «La sanità è come la politica, l'informazione, la tv. Quando ci sono forti interessi esterni che si sovrappongono e quando, per dirla con Martini, non si è "svincolati dalle sole dinamiche del mercato", può accadere il peggio. Le radici di una collettività possono essere minate se tutto è mercato, dalla salute alle scelte della politica».
E qui fa un esempio vicinissimo: «Noi siamo qui al Forlanini. La giunta regionale di centrosinistra ne ha deciso la chiusura, la riduzione a un padiglione del San Camillo. Eppure questo è un centro di eccellenza a livello europeo. Assurdo, no? Girano mille voci sul futuro di questo complesso: nuova sede della Regione, grande albergo, villaggio per le future Olimpiadi da rivendere ad appartamenti... La Cgil è allarmata. E anch'io, perché credo ostinatamente nella sanità pubblica».
Cosa chiederebbe a Piero Marrazzo, presidente della giunta regionale del Lazio? «Gli chiederei di capire cosa sta succedendo. Nella trasparenza. E magari di ascoltare le ragioni di chi lavora qui da vent'anni». Vicino a lui c'è la moglie Bruna. Dopo 52 anni di matrimonio lo chiama ancora amore. Gli stappa una bottiglia di vino rosso. Un brindisi a due. Per la seconda vittoria sul cancro. Perché così si chiama questa malattia.
Dagospia 24 Gennaio 2007