CACCIARI AMARI: L'UNIONE È DIVISA SU TUTTO, MANCA UNA FORZA EGEMONE NELLA COALIZIONE - IL MANIFESTO DEL NUOVO PARTITO? È UN TESTO LETTERARIAMENTE ORRIPILANTE E DI CONTENUTI ZERO - COL VATICANO LE RELAZIONI SARANNO SEMPRE PIÙ DIFFICILI.

Marco Castelnuovo per "La Stampa"


Sindaco Cacciari, è il grande giorno. Oggi si vota sulla politica estera e l'Unione rischia di non avere numeri sufficienti. È preoccupato?
«Come posso non esserlo?»

La politica estera che pure era stata terreno di intesa tra le varie anime dell'Unione sul Libano, rischia ora di dividere.
«Ma l'Unione è già divisa. È divisa su tutto!»

«Niente maggioranza e si va a casa», dice D'Alema. La coalizione è già alla frutta?
«Vede, all'Unione manca un partito, o meglio un centro politico egemone e in grado di mantenere la rotta. La casa delle Libertà questo centro l'aveva trovato. Era debolissimo perché riassunto in una sola persona, Silvio Berlusconi, ma almeno ce l'aveva. Noi no».

E quindi?
«Quindi, per forza, ogni volta si rischia di andare sotto. Manca la forza centrale attorno cui tutto ruota. Una forza obiettivamente egemone nell'ambito della coalizione. In Germania, l'Spd si può alleare con i Verdi perché le forze tra loro sono molto diverse. In Italia, a prescindere dalle ideologie e dalle differenze di contenuto dei partiti, è chiaro che esistendo solo forze più o meno equivalenti, non è possibile esercitare una forza egemone nella coalizione».

Per questo nascerà il partito democratico?
«È evidente».

Beh, allora ci siamo. Pronto il manifesto, convocati i congressi di Ds e Margherita, Il Partito democratico è pronto a nascere.
«Per carità. Il manifesto....»

Cos'ha che non va?
«È completamente deludente. Non siamo nemmeno ai livelli minimi attesi. A tutto serve meno che a delineare una nuova forza politica pronta per le sfide che ci attendono nel futuro».

Cosa non la convince?
«Ma l'ha letto? Non vede che è completamente bloccato, compromesso e preoccupato dalla damnatio memoriae dell'una e dell'altra parte? Non ha riferimenti alla storia politica, non contiene critiche al passato, non ha proposte nuove e concrete istituzionali e sociali. Ma a cosa serve un manifesto se non analizza il passato e non getta le basi per il futuro?»

Beh, contiene riferimenti ai valori...
«Ecco appunto. È un generico solidarismo e buonismo alla Veltroni senza avere la capacità retorica e di comunicazione di Walter».

Neanche la retorica salva?
«Guardi è un testo letterariamente orripilante e di contenuti zero».

Antonio Polito, sul Foglio di ieri, sostiene che manchi un'ideologia sottostante.
«Ma per fortuna! Cosa voleva anche l'ideologia? Ce n'è fin troppo di zucchero, ci son troppe caramelle sparse qua e là nel documento. Meglio così, altroché ideologie».

Anche lei crede che manchi un'idea forte che giustifichi la nascita di un nuovo partito, come ha recentemente sostenuto Maurizio Ferrera su Europa?
«Sono stufo di urlare ai quattro venti. Anche all'inaugurazione della terza edizione del Centro di formazione politica di Milano, abbiamo discusso con Panebianco su Partito democratico e leadership forte. Da qui dobbiamo partire, non pensare ai compromessi e al bilancino».



Ma lei le ha dette queste cose ai saggi che hanno stilato il manifesto?
«Senta, non possiamo perderci in mille discussioni. Facciano il Partito democratico al più presto possibile e poi vedremo di riempirlo di contenuti».

Ma se queste, per lei, sono le basi, non è molto augurante per gli elettori...
«La mia ultima, estrema speranza è che la tribù degli ex Fgci e la tribù dei prodiani riescano a fare il Partito democratico».

Sempre e comunque?
«Certo».

Altrimenti?
«Altrimenti si muore. Così invece corriamo solo il rischio di fare qualcosa di maldestro. Rimanendo fermi saremo costretti alla morte politica».

Come giudica la posizione assunta dal governo sulle unioni di fatto?
«Non entro nel merito, ma tatticamente mi è sembrata una mossa azzardata».

Perché?
«Io davvero non capisco quale demone perverso abbia consigliato all'Unione di impelagarsi nei problemi etici e di famiglia».

Non se ne doveva occupare?
«Tutt'altro. Ma un tema di questo genere va avviato attraverso un dibattito parlamentare, dal quale ne uscirà una legge di iniziativa parlamentare, non di governo».

Questo per non far precipitare i rapporti con la Chiesa?
«Ma no, ma no! I rapporti tra Stato e Chiesa sono difficili e lo saranno sempre di più specie nei Paesi occidentali, al di là della legge sulle unioni di fatto. Stanno venendo al pettine nodi storici che renderanno sempre più difficile questo rapporto».

C'è chi nell'Unione vorrebbe abolire il Concordato.
«Ma non c'entra nulla il Concordato. Non sono questioni tecnico-logistiche, ma veri e propri dilemmi dottrinali. Per questo diverranno sempre più tesi i rapporti tra Stato e Chiesa».

E come potranno essere allentati?
«Ci vuole un franco e mutuo rispetto, riconoscimento e conoscenza, altrimenti si è destinati all'inimicizia. Bisogna ripartire dalla "Gaudium et Spes": Rispetto, ma autonomia e indipendenza del potere politico».

Ma come si costruisce questo rispetto?
«Vede, verso la Chiesa ci sono sensibilità diverse. Ma anche nella stessa Chiesa nei confronti dello Stato. All'interno dell'una e dell'altro ci sono persone che obiettivamente, oggettivamente esasperano questi rapporti. Per storia, valori, cultura. Non ci si può fare nulla».

Per cui saremo destinati a rapporti sempre più tesi?
«Diciamo che se ci fossero persone con la sensibilità di Napolitano da una parte e del Cardinal Martini dall'altra, tutto sarebbe più facile».


Dagospia 21 Febbraio 2007