NORMALITA', IL TUO NOME E' GAY - I DICO SARANNO PROBABILMENTE AFFONDATI IN PARLAMENTO, MA COME STILE DI VITA HANNO GIÀ VINTO - L'OMOSESSUALE, ORMAI, È IL VICINO DI CASA, IL MEDICO, TUO FIGLIO, IL TUO AMICO, L'AGENTE DI "DISTRETTO DI POLIZIA".
Stefano Di Michele per "Il Foglio"
E poi la sera, quando torno a casa, mi tocca sempre discutere con mia moglie.". In mezzo al Transatlantico di Montecitorio l'onorevole teodem - di antico e pregevole conio democristiano - allarga le braccia e ammette quello che ognuno sa: che si può ricorrere tanto al cilicio quanto alla dottrina, al Papa o a Pedrizzi, al buonsenso o alle becerate, a Ruini o a Rutelli (spesso anche a Ruini & Rutelli), a Mara Carfagna o all'esorcista, ma l'ormone corre e l'interdizione non raccoglie.
I Dico saranno probabilmente affondati - con gran risparmio di raccomandate postali e opportuna rassicurazione per il senatore Andreotti, "vogliono dare il contadino al contadino", palese evocazione di infrattamenti di villici nei locali pagliai, sorta di "Brokebak Mountain" ciociara. Ma i Dico - per dire: tutto quello che c'è intorno, come stile di vita, come cultura, come costume - hanno vinto. Le tonache turbano il Parlamento, gli stilisti tutto il resto. L'Angelus sono un paio di minuti nel tigì domenicale, le fiction durano tutto l'anno.
Ha più facile ascolto Platinette che il teologo, ha ben più alti ascolti Luciana Littizzetto che la senatrice Binetti, ha onestamente più appeal Stefano Accorsi che Carlo Giovanardi. Persino le mamme, magari antiche militanti della Coldiretti, forse avrebbero più da ridire sui contributi europei che sull'accasamento del figliolo col figliolo del vicino. Perciò, la consorte del teodem ha l'occhio più lungo - sociologicamente parlando - del marito: il supermercato, come spesso accade, dice più del Transatlantico.
Appunto, il supermercato. Qui non si vuole tracciare una mappa del grande praticare con passione il mondo e del grande appassionarsi con furbizia alla teologia di tanti avversari dei Dico: roba che fa solo vincere, ma fa soprattutto perdere. Piuttosto: quando la massaia al supermercato, qui nel ruolo di "casalinga di Voghera" non meno che di "parrucchiera di Amburgo" - con annessa cassiera, barista sotto casa, sbirro per strada, antico zappatore, mamma e nonna, ogni anfratto televisivo, la pienezza delle redazioni e persino qualche sacrestia - ha cominciato a mutare opinione?
Lo scandalo - e i preti, tra le più elevate forme d'intelligenza politica oggi in circolazione, benissimo lo sanno - è agitato, ma lo scandalo non fa più scandalo. Perché l'immaginario è mutato. E l'uso (persino l'abuso, per molti) del gay nel quotidiano ormai è fatto abituale. Film e canzoni, televisione e politica, libri e giornali: ciò che era deprecato è stato accettato, ciò che era deriso è (un po' più) rispettato.
Prendete la destra che fu fascista. L'altro giorno, sulla prima pagina del Secolo d'Italia, c'era un elogio del politicamente corretto - e ciò che fu maschio insulto ora è coperto da dannazione politica: "Insomma, facciamola finita: per impegnarsi a destra non c'è affatto bisogno che i gay diventino froci". E il giorno prima ancora, stavolta nientemeno su Liberazione, era la vicepresidente di An della Camera, Giorgia Meloni, che bacchettava alcuni arditi giovanotti del suo partito che avevano organizzato un "Eteropride. Questione di pelo.", con tanto di signorina sul manifesto che, onestamente, santa Maria Goretti non pareva, e spettacolo di lap dance in discoteca.
"Pessimo gusto e non certo grande sforzo di iniziativa goliardica", ha fatto sapere la Meloni. Certo, i rischi del politicamente corretto sono quelli che sono, e purtroppo ora sarà difficile rivedere quello strepitoso (e, sia detto, parecchio divertente) Teodoro Buontempo alle prese con una giornalista spagnola che lo intervistava sull'argomento: "Vede, senoritas, los frocios.". Come riconobbe - in fondo era un atto di riconoscimento - pure Mirko Tremaglia con antico impeto: "Povera Europa: i culattoni sono in maggioranza".
Tutto cambia, e dunque la vecchia morale va in affanno. Non meno del percorso compiuto a destra, esemplare ciò che è successo, negli anni, intorno a Muccassassina, locale gay della capitale, frequentatissimo anche da molti etero. Racconta Vladimir Luxuria, deputata di Rifondazione: "Cominciai ad occuparmene nel '93. La gente si vergognava di farsi vedere lì davanti, i vip venivano solo dopo essersi assicurati che non c'erano fotografi. Poi è diventata una cosa figa, e la gente veniva per farsi fotografare". E come le cose totalmente cambiano, dice la parlamentare, glielo ha spiegato anche Silvia Baraldini: "Quando è tornata dall'America ed è stata operata, era piantonata in ospedale dai poliziotti. E mi ha raccontato che sentiva quei poliziotti che si organizzavano la serata: allora venerdì andiamo a ballare a Mucca. E lei neanche sapeva cos'era, 'sta Muccassassina".
Certo, il tempo passa, migliora alcune cose e ne peggiora altre. Così, Franco Grillini ricorda la sua prima volta in televisione, nel '91 a "Aboccaperta", la trasmissione di Gianfranco Funari, "ero bellino, vent'anni fa e venti chili fa": appunto. La vera svolta però forse è avvenuta negli ultimi anni, e soprattutto attraverso la televisione. Merito di quello che magari fa storcere il muso in certi settori del movimento gay, ma che ha prodotto la rivoluzione di costumi che forse è sbarcata persino nell'agreste immaginario andreottiano: la "normalizzazione" dell'omosessualità.
L'omosessuale è il vicino di casa, il commesso del negozio, il poliziotto che raccoglie la tua denuncia, il medico della Asl, tuo fratello, tuo figlio, il tuo amico. Personaggi che non finiscono nel rogo morale, né meglio né peggio degli altri, abiti comuni, lavori comuni, desideri comuni. Storie portate sullo schermo con protagonisti personaggi che erano nell'immaginario degli italiani per tutt'altri motivi, spesso per opposti motivi.
E' il caso di Lino Banfi e di Lando Buzzanca. I due attori, ora vere e proprie icone del mondo gay, venivano da un opposto universo - per dire, "Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio" e "Il merlo maschio" - e a destra avevano il cuore politico. Banfi, che insieme a Nino Manfredi aveva già interpretato un uomo di mezz'età che scopre che suo fratello maggiore è gay, e impara ad accettare e amare, ha dato da fare all'Osservatore Romano, per "Il padre delle spose", la fiction su una figliola lesbica che si sposa nella Spagna di Zapatero, quasi quanto come tutti i Dico messi insieme. Si capisce che, anche in quel frangente, si registrò una meravigliosa dichiarazione della senatrice Binetti: "E' altamente inopportuna una trasmissione che tocca un problema su cui non si è ancora discusso adeguatamente e che comunque non fa parte del programma di governo" - pubblicato, si desume, come inserto di Sorrisi & Canzoni Tv.
Ma si diceva del giornale vaticano, che per ben due volte è sceso in campo contro il comico pugliese. Prima, a commento del "Padre delle spose", reo di far apparire "più che ordinario ciò che antropologicamente ed eticamente non è". Poi, diciamo così, con una critica preventiva per la nuova serie di "Un medico in famiglia", non ancora andata in onda, dove il dottor Oscar, che durante una fugace serata etero ha concepito una bambina, Alice, s'innamora del collega pediatra dottor Max (i nomi, purtroppo, sono quelli che sono).
La bimba sarà quindi educata tanto dalla mamma quanto dalla coppia babbo-pediatra (che, nel caso, fa pure comodo). Ora, nonostante che averne di medici così - sorridenti, gentili, disponibili - nelle Asl nostrane, l'Osservatore accusa la Rai di "rincorrere i gusti più deteriori". Intanto il povero Banfi - fedele di padre Pio, in foto con il Papa che lo accarezza, testimonial a Valencia all'incontro mondiale della famiglia - davvero non sa più a che santo votarsi. "Possibile che a settant'anni suonati io debba per forza recitare un mea culpa? Per cosa? Ubi est mea culpa?". Pensare che persino Pier Ferdinando Casini, un giorno al Quirinale lo salutò così: "Nonno Libero è un genio! Ha rimesso insieme la famiglia.".
Scrivono gli spettatori: "Meno eccessi da Gay Pride e più 'normalità' da inculcare nel quotidiano. Forza Lino!". Ecco, appunto: normalità. E' il grimaldello che ha fatto saltare il vecchio immaginario. Erano "normali", dunque, anche i personaggi messi in scena in "Mio figlio", dove Lando Buzzanca è un commissario che scopre che suo figlio Stefano, poliziotto come lui, è gay. Schiaffo iniziale, rabbia che cova a lungo, infine l'atteggiamento cambia, con tanto di consegna finale al figliolo delle chiavi di casa dove c'è il di lui fidanzato.
"La dignità di un uomo è più importante delle sue scelte sessuali", disse Lando Buzzanca. Commentò piuttosto straniato il Secolo d'Italia, secondo il quale avevano rappresentato "in maniera normale le persone omosessuali, rischiando di legittimare il mondo gay". Riecco la parola: normale, normalità. Come domanda Buzzanca, "significa forse che gli omosessuali sono anormali?", sicuro che alcuni elogiatori della normalità anormali li considerano - e ora questo surreale contrappasso: i normalisti battuti dalla normalizzazione dell'anormalità. S'inpennò nella disputa pure l'Arcigay di Milano, "una denuncia chiarissima contro l'omofobia ingiustificata di una istituzione come la polizia di stato".
Mica vero, poi. Perché se Banfi e Buzzanca hanno dato molto, pure la Ps non si è sottratta. Così nel suo "Distretto di polizia" è stato inserito tra i protagonisti un agente gay, Luca Benvenuto, facendone un personaggio positivo (anzi, nell'insieme, in un contesto dove agli altri ammazzano la moglie o il marito, uccidono padre e madre, massacrano il fidanzato, decisamente meno sfigato), solo qualche filo di curiosità da parte dei colleghi - "Senti, ma com'è?". "Com'è che?". Ed è finita con un pattuglia di impavidi sbirri che hanno sfilato, con la maglietta "Gay in divisa", al Gay Pride tra i complimenti della folla, "una ragazza ci dice: la mia ex è una poliziotta".
Si capisce poi che ogni commissariato è storia a sé, che lo sbirro buono e quello cattivo fanno insieme gli interrogatori e figurarsi se non trovi quello cattivo sul fronte sbagliato, ma un tabù è stato rotto. E si nota la maggior cautela dei carabinieri - pur se il maresciallo Rocca, di fronte al cadavere di un travestito, prova a spiegare al suo capitano, diciamo non proprio di larghissime vedute, che "non abbiamo l'esclusiva dei sentimenti" - ma fra tante serie sulla Benemerita, alla fine qualcosa magari spunterà fuori. Gay pure un commesso della serie "Commesse", prodotta da Edwige Fenech, icona del cinema da doccia spiata dal buco della serratura.
Qualcuno ha protestato - ecco, c'è un gay e che gli fanno fare: il commesso - ma siccome la serie s'intitola "Commesse" che gli dovevano far fare, l'amministratore del condominio? La vittoria culturale dei gay - con annessi Dico - è passata dunque (anche) per questa strada. Una vecchietta si metterebbe tranquillamente nelle mani dell'agente Benvenuto, un anziano si farebbe curare dal dottor Oscar, una mamma affiderebbe il bimbo al dottor Max, e in negozio una ragazza si rivolgerebbe senza problemi a Romeo, il commesso in questione. A riprova, al momento delle polemiche, spiegò Agostino Saccà che la Rai "non può fare a meno di raccontare la verità: dei Pacs, delle unioni omosessuali, si discute nelle famiglie" - pur se la cosa non è prevista dal programma di governo.
Non siamo all'auspicio di Franco Zeffirelli, che invocato per presentarsi nella manifestazione a piazza Farnese, l'ha definita "un corteo di gente in giacca e cravatta con l'impermeabile addosso in caso di pioggia e l'impermeabile sul braccio in caso di sole" (un po' troppo bancaria, forse, la visione), ma paradossalmente neanche solo alle chiappe al vento e al torso nudo del Gay Pride. Intanto tutto si confonde, "in discoteca non riesci più a distinguere chi è gay e chi no", assicura Luxuria, che pure ha un tailleur elegantissimo, calze velate, scarpe con tacco, filo di perle scure.
La conquista della normalità, da parte dei gay, ha seguito strade parallele, a volte percorsi sotterranei, rispetto a quelli della massima visibilità da corteo. Per esempio, i miti canori dei gay non sono stati quasi mai elitari, troppo difficili, troppo raffinati. Il massimo del pop, pure elegante ma pop, tutto sommato per pochi il lacrimare sulla Callas che intona "Casta diva". Personaggi come Mina (anche se Pasolini disse: "Non la sposerei, è troppo borghese"), come Patty Pravo, come Raffaella Carrà ("certo che sono un'icona gay, non so perché. Il bello è che non lo sanno neppure loro"), omaggiate con citazioni, pubblicazioni, pubblici riconoscimenti. "Discutiamo i loro cambi di look come i maschi discutono la partita di calcio", spiega l'onorevole.
Ma la battaglia per la normalizzazione - a spese dei normalizzatori - ha incrociato anche quella per la visibilità, si può dire, più "classica". Un gay, ormai, sbuca in ogni trasmissione, affolla i reality, è indispensabile a ogni palinsesto ben nato. Anche in questo caso, nessun problema d'accettazione. Anzi, essere icona gay è graditissimo riconoscimento. Sere fa, a Markette (già di suo "la trasmissione più cool", e anzi, "siamo circondati di gay e non ci bastano mai!"), Piero Chiambretti dibatteva della faccenda con Marcella Bella, pure in passato candidata di An, "per il sociale", alle elezioni europee.
"Lei è un'icona gay, lo sa?". "Io li adoro e loro mi adorano" - è noto che una specifica sensibilità si fa facilmente conquistare dal dolce ricordo del "coniglio dal muso nero". Certo, molto ha fatto la moda ("E' il cavallo di troia che ha portato l'estetica gay nel mondo etero", certifica "Gay. La guida italiana in 150 voi"), il blabla-bla dello stilismo mischiato al palestrismo che è sfociato infine nel mutandismo, cioè quella pratica di portare il bordo della mutanda fuori dai pantaloni, "io ti faccio vedere un pezzo, tu scopri il resto", che ormai dilaga dappertutto gay o etero o bisex o casti. Certo, alcuni inconvenienti ci sono.
Televisivamente parlando, per esempio, su La 7 c'erano "I fantastici cinque", per l'appunto cinque gay che ti piombavano in casa, e se avevi un alloggio normale te lo trasformavano in una cosa con le palle fucsia alle pareti, ti spennavano a colpi di cerette e infine ti facevano preparare il sushi per la cena con la suocera, chiaro tentativo di mandare a monte il matrimonio naturale, come ben lo definirebbe il cardinal Ruini. Una cosa allarmante. Ma pure fenomeno che non c'è teodem in grado di tenere né prete in grado di contenere. Non è questo il tempo delle mele, e neanche quello di Pera, che generosamente si è buttato nella mischia. Persino a Ceppaloni c'è stata la piccola epica gay del locale parrucchiere, evocato tanto da Clemente Mastella quanto dalla signora Sandra. E' un po' teatrale, quindi, lo scontro in atto. Chi sa che perderà sa anche di aver già vinto, chi vincerà sa di essere condannato alla sconfitta.
E nel teatrino politico, berlusconianamente avanzando, ognuno fa la sua parte. A cominciare dallo stesso Cav., uno che avventatamente ha detto che i gay "stanno tutti dall'altra parte", intesa l'altra parte come sinistra, ma che già un paio di anni fa, tra le nebbie di Bruxelles, aveva generosamente scandito: "In Italia se si vuole essere santificati bisogna essere gay o comunisti", rinunciando così - lui, vispo eterosessuale e turgido anticomunista - a ogni possibile gloria degli altari. Chissà poi dove l'ha trovata, questa faccenda dei gay che sono comunisti, il povero Cav.: gliel'avranno spacciata per un'elaborazione di don Sturzo. Che poi, comunisti. Franco Grillini ricorda spesso quel primo incontro, organizzato negli anni Ottanta a Bologna, dal partito con i lavoratori metalmeccanici.
Quelli arrivano in tuta, dubbiosi; i compagni omosessuali sull'altro lato della sala. Uno di loro interviene, poi un operaio si alza, va al microfono, e non sa bene come affrontare la questione: "Compagni, vorrei dire che sono d'accordo col compagno 'busone' che ha parlato prima.". Si capisce che ora tutto è diverso. Intanto, al cinema i gay sono diventati protagonisti positivi, ma sono tutti bellini, perfettini, borghesini. Hanno case ben messe e pure seconde case, lavori ben retribuiti, turbe amorose ben controllate. Perché quello dei gay, anche economicamente parlando, è un mercato in espansione. Infatti, più che il riconoscimento dei diritti - su cui la gran lagna contro i Dico è stata imbastita - sarà il soldo a mutare la situazione. Ridacchia Luxuria: "Il mercato ci ha scoperto da diverso tempo, adesso tocca alla politica".
La pubblicità si adatta, e mica solo quella della moda, persino del caffè o del mobilio. Gay.tv promosse a suo tempo un'inchiesta tra gli spettatori. Scoprì che il 40 per cento ha cambiato già quattro cellulari (anni fa), che il 54 per cento possiede una carta di credito, contro la media italiana del 21 per cento, che l'87 per cento va al ristorante tre volte a settimana, che il 55 per cento prende l'aereo una volta al mese.
Dove quindi non potranno gli eroici Banfi e Buzzanca, il buon poliziotto o la coppia medica o il mesto commesso, si farà largo lo spirito di Coccolino, il supremo regolatore di tutto. E magari sarà pure possibile, più liberamente, dare dello stronzo a un gay quando è stronzo - che al momento qualche problema ancora si crea. "Fateci caso - annota Luxuria - a Roma, per dire che una cosa è figa già dicono: 'mmazza, quanto è frocia!".
Dagospia 12 Marzo 2007
E poi la sera, quando torno a casa, mi tocca sempre discutere con mia moglie.". In mezzo al Transatlantico di Montecitorio l'onorevole teodem - di antico e pregevole conio democristiano - allarga le braccia e ammette quello che ognuno sa: che si può ricorrere tanto al cilicio quanto alla dottrina, al Papa o a Pedrizzi, al buonsenso o alle becerate, a Ruini o a Rutelli (spesso anche a Ruini & Rutelli), a Mara Carfagna o all'esorcista, ma l'ormone corre e l'interdizione non raccoglie.
I Dico saranno probabilmente affondati - con gran risparmio di raccomandate postali e opportuna rassicurazione per il senatore Andreotti, "vogliono dare il contadino al contadino", palese evocazione di infrattamenti di villici nei locali pagliai, sorta di "Brokebak Mountain" ciociara. Ma i Dico - per dire: tutto quello che c'è intorno, come stile di vita, come cultura, come costume - hanno vinto. Le tonache turbano il Parlamento, gli stilisti tutto il resto. L'Angelus sono un paio di minuti nel tigì domenicale, le fiction durano tutto l'anno.
Ha più facile ascolto Platinette che il teologo, ha ben più alti ascolti Luciana Littizzetto che la senatrice Binetti, ha onestamente più appeal Stefano Accorsi che Carlo Giovanardi. Persino le mamme, magari antiche militanti della Coldiretti, forse avrebbero più da ridire sui contributi europei che sull'accasamento del figliolo col figliolo del vicino. Perciò, la consorte del teodem ha l'occhio più lungo - sociologicamente parlando - del marito: il supermercato, come spesso accade, dice più del Transatlantico.
Appunto, il supermercato. Qui non si vuole tracciare una mappa del grande praticare con passione il mondo e del grande appassionarsi con furbizia alla teologia di tanti avversari dei Dico: roba che fa solo vincere, ma fa soprattutto perdere. Piuttosto: quando la massaia al supermercato, qui nel ruolo di "casalinga di Voghera" non meno che di "parrucchiera di Amburgo" - con annessa cassiera, barista sotto casa, sbirro per strada, antico zappatore, mamma e nonna, ogni anfratto televisivo, la pienezza delle redazioni e persino qualche sacrestia - ha cominciato a mutare opinione?
Lo scandalo - e i preti, tra le più elevate forme d'intelligenza politica oggi in circolazione, benissimo lo sanno - è agitato, ma lo scandalo non fa più scandalo. Perché l'immaginario è mutato. E l'uso (persino l'abuso, per molti) del gay nel quotidiano ormai è fatto abituale. Film e canzoni, televisione e politica, libri e giornali: ciò che era deprecato è stato accettato, ciò che era deriso è (un po' più) rispettato.
Prendete la destra che fu fascista. L'altro giorno, sulla prima pagina del Secolo d'Italia, c'era un elogio del politicamente corretto - e ciò che fu maschio insulto ora è coperto da dannazione politica: "Insomma, facciamola finita: per impegnarsi a destra non c'è affatto bisogno che i gay diventino froci". E il giorno prima ancora, stavolta nientemeno su Liberazione, era la vicepresidente di An della Camera, Giorgia Meloni, che bacchettava alcuni arditi giovanotti del suo partito che avevano organizzato un "Eteropride. Questione di pelo.", con tanto di signorina sul manifesto che, onestamente, santa Maria Goretti non pareva, e spettacolo di lap dance in discoteca.
"Pessimo gusto e non certo grande sforzo di iniziativa goliardica", ha fatto sapere la Meloni. Certo, i rischi del politicamente corretto sono quelli che sono, e purtroppo ora sarà difficile rivedere quello strepitoso (e, sia detto, parecchio divertente) Teodoro Buontempo alle prese con una giornalista spagnola che lo intervistava sull'argomento: "Vede, senoritas, los frocios.". Come riconobbe - in fondo era un atto di riconoscimento - pure Mirko Tremaglia con antico impeto: "Povera Europa: i culattoni sono in maggioranza".
Tutto cambia, e dunque la vecchia morale va in affanno. Non meno del percorso compiuto a destra, esemplare ciò che è successo, negli anni, intorno a Muccassassina, locale gay della capitale, frequentatissimo anche da molti etero. Racconta Vladimir Luxuria, deputata di Rifondazione: "Cominciai ad occuparmene nel '93. La gente si vergognava di farsi vedere lì davanti, i vip venivano solo dopo essersi assicurati che non c'erano fotografi. Poi è diventata una cosa figa, e la gente veniva per farsi fotografare". E come le cose totalmente cambiano, dice la parlamentare, glielo ha spiegato anche Silvia Baraldini: "Quando è tornata dall'America ed è stata operata, era piantonata in ospedale dai poliziotti. E mi ha raccontato che sentiva quei poliziotti che si organizzavano la serata: allora venerdì andiamo a ballare a Mucca. E lei neanche sapeva cos'era, 'sta Muccassassina".
Certo, il tempo passa, migliora alcune cose e ne peggiora altre. Così, Franco Grillini ricorda la sua prima volta in televisione, nel '91 a "Aboccaperta", la trasmissione di Gianfranco Funari, "ero bellino, vent'anni fa e venti chili fa": appunto. La vera svolta però forse è avvenuta negli ultimi anni, e soprattutto attraverso la televisione. Merito di quello che magari fa storcere il muso in certi settori del movimento gay, ma che ha prodotto la rivoluzione di costumi che forse è sbarcata persino nell'agreste immaginario andreottiano: la "normalizzazione" dell'omosessualità.
L'omosessuale è il vicino di casa, il commesso del negozio, il poliziotto che raccoglie la tua denuncia, il medico della Asl, tuo fratello, tuo figlio, il tuo amico. Personaggi che non finiscono nel rogo morale, né meglio né peggio degli altri, abiti comuni, lavori comuni, desideri comuni. Storie portate sullo schermo con protagonisti personaggi che erano nell'immaginario degli italiani per tutt'altri motivi, spesso per opposti motivi.
E' il caso di Lino Banfi e di Lando Buzzanca. I due attori, ora vere e proprie icone del mondo gay, venivano da un opposto universo - per dire, "Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio" e "Il merlo maschio" - e a destra avevano il cuore politico. Banfi, che insieme a Nino Manfredi aveva già interpretato un uomo di mezz'età che scopre che suo fratello maggiore è gay, e impara ad accettare e amare, ha dato da fare all'Osservatore Romano, per "Il padre delle spose", la fiction su una figliola lesbica che si sposa nella Spagna di Zapatero, quasi quanto come tutti i Dico messi insieme. Si capisce che, anche in quel frangente, si registrò una meravigliosa dichiarazione della senatrice Binetti: "E' altamente inopportuna una trasmissione che tocca un problema su cui non si è ancora discusso adeguatamente e che comunque non fa parte del programma di governo" - pubblicato, si desume, come inserto di Sorrisi & Canzoni Tv.
Ma si diceva del giornale vaticano, che per ben due volte è sceso in campo contro il comico pugliese. Prima, a commento del "Padre delle spose", reo di far apparire "più che ordinario ciò che antropologicamente ed eticamente non è". Poi, diciamo così, con una critica preventiva per la nuova serie di "Un medico in famiglia", non ancora andata in onda, dove il dottor Oscar, che durante una fugace serata etero ha concepito una bambina, Alice, s'innamora del collega pediatra dottor Max (i nomi, purtroppo, sono quelli che sono).
La bimba sarà quindi educata tanto dalla mamma quanto dalla coppia babbo-pediatra (che, nel caso, fa pure comodo). Ora, nonostante che averne di medici così - sorridenti, gentili, disponibili - nelle Asl nostrane, l'Osservatore accusa la Rai di "rincorrere i gusti più deteriori". Intanto il povero Banfi - fedele di padre Pio, in foto con il Papa che lo accarezza, testimonial a Valencia all'incontro mondiale della famiglia - davvero non sa più a che santo votarsi. "Possibile che a settant'anni suonati io debba per forza recitare un mea culpa? Per cosa? Ubi est mea culpa?". Pensare che persino Pier Ferdinando Casini, un giorno al Quirinale lo salutò così: "Nonno Libero è un genio! Ha rimesso insieme la famiglia.".
Scrivono gli spettatori: "Meno eccessi da Gay Pride e più 'normalità' da inculcare nel quotidiano. Forza Lino!". Ecco, appunto: normalità. E' il grimaldello che ha fatto saltare il vecchio immaginario. Erano "normali", dunque, anche i personaggi messi in scena in "Mio figlio", dove Lando Buzzanca è un commissario che scopre che suo figlio Stefano, poliziotto come lui, è gay. Schiaffo iniziale, rabbia che cova a lungo, infine l'atteggiamento cambia, con tanto di consegna finale al figliolo delle chiavi di casa dove c'è il di lui fidanzato.
"La dignità di un uomo è più importante delle sue scelte sessuali", disse Lando Buzzanca. Commentò piuttosto straniato il Secolo d'Italia, secondo il quale avevano rappresentato "in maniera normale le persone omosessuali, rischiando di legittimare il mondo gay". Riecco la parola: normale, normalità. Come domanda Buzzanca, "significa forse che gli omosessuali sono anormali?", sicuro che alcuni elogiatori della normalità anormali li considerano - e ora questo surreale contrappasso: i normalisti battuti dalla normalizzazione dell'anormalità. S'inpennò nella disputa pure l'Arcigay di Milano, "una denuncia chiarissima contro l'omofobia ingiustificata di una istituzione come la polizia di stato".
Mica vero, poi. Perché se Banfi e Buzzanca hanno dato molto, pure la Ps non si è sottratta. Così nel suo "Distretto di polizia" è stato inserito tra i protagonisti un agente gay, Luca Benvenuto, facendone un personaggio positivo (anzi, nell'insieme, in un contesto dove agli altri ammazzano la moglie o il marito, uccidono padre e madre, massacrano il fidanzato, decisamente meno sfigato), solo qualche filo di curiosità da parte dei colleghi - "Senti, ma com'è?". "Com'è che?". Ed è finita con un pattuglia di impavidi sbirri che hanno sfilato, con la maglietta "Gay in divisa", al Gay Pride tra i complimenti della folla, "una ragazza ci dice: la mia ex è una poliziotta".
Si capisce poi che ogni commissariato è storia a sé, che lo sbirro buono e quello cattivo fanno insieme gli interrogatori e figurarsi se non trovi quello cattivo sul fronte sbagliato, ma un tabù è stato rotto. E si nota la maggior cautela dei carabinieri - pur se il maresciallo Rocca, di fronte al cadavere di un travestito, prova a spiegare al suo capitano, diciamo non proprio di larghissime vedute, che "non abbiamo l'esclusiva dei sentimenti" - ma fra tante serie sulla Benemerita, alla fine qualcosa magari spunterà fuori. Gay pure un commesso della serie "Commesse", prodotta da Edwige Fenech, icona del cinema da doccia spiata dal buco della serratura.
Qualcuno ha protestato - ecco, c'è un gay e che gli fanno fare: il commesso - ma siccome la serie s'intitola "Commesse" che gli dovevano far fare, l'amministratore del condominio? La vittoria culturale dei gay - con annessi Dico - è passata dunque (anche) per questa strada. Una vecchietta si metterebbe tranquillamente nelle mani dell'agente Benvenuto, un anziano si farebbe curare dal dottor Oscar, una mamma affiderebbe il bimbo al dottor Max, e in negozio una ragazza si rivolgerebbe senza problemi a Romeo, il commesso in questione. A riprova, al momento delle polemiche, spiegò Agostino Saccà che la Rai "non può fare a meno di raccontare la verità: dei Pacs, delle unioni omosessuali, si discute nelle famiglie" - pur se la cosa non è prevista dal programma di governo.
Non siamo all'auspicio di Franco Zeffirelli, che invocato per presentarsi nella manifestazione a piazza Farnese, l'ha definita "un corteo di gente in giacca e cravatta con l'impermeabile addosso in caso di pioggia e l'impermeabile sul braccio in caso di sole" (un po' troppo bancaria, forse, la visione), ma paradossalmente neanche solo alle chiappe al vento e al torso nudo del Gay Pride. Intanto tutto si confonde, "in discoteca non riesci più a distinguere chi è gay e chi no", assicura Luxuria, che pure ha un tailleur elegantissimo, calze velate, scarpe con tacco, filo di perle scure.
La conquista della normalità, da parte dei gay, ha seguito strade parallele, a volte percorsi sotterranei, rispetto a quelli della massima visibilità da corteo. Per esempio, i miti canori dei gay non sono stati quasi mai elitari, troppo difficili, troppo raffinati. Il massimo del pop, pure elegante ma pop, tutto sommato per pochi il lacrimare sulla Callas che intona "Casta diva". Personaggi come Mina (anche se Pasolini disse: "Non la sposerei, è troppo borghese"), come Patty Pravo, come Raffaella Carrà ("certo che sono un'icona gay, non so perché. Il bello è che non lo sanno neppure loro"), omaggiate con citazioni, pubblicazioni, pubblici riconoscimenti. "Discutiamo i loro cambi di look come i maschi discutono la partita di calcio", spiega l'onorevole.
Ma la battaglia per la normalizzazione - a spese dei normalizzatori - ha incrociato anche quella per la visibilità, si può dire, più "classica". Un gay, ormai, sbuca in ogni trasmissione, affolla i reality, è indispensabile a ogni palinsesto ben nato. Anche in questo caso, nessun problema d'accettazione. Anzi, essere icona gay è graditissimo riconoscimento. Sere fa, a Markette (già di suo "la trasmissione più cool", e anzi, "siamo circondati di gay e non ci bastano mai!"), Piero Chiambretti dibatteva della faccenda con Marcella Bella, pure in passato candidata di An, "per il sociale", alle elezioni europee.
"Lei è un'icona gay, lo sa?". "Io li adoro e loro mi adorano" - è noto che una specifica sensibilità si fa facilmente conquistare dal dolce ricordo del "coniglio dal muso nero". Certo, molto ha fatto la moda ("E' il cavallo di troia che ha portato l'estetica gay nel mondo etero", certifica "Gay. La guida italiana in 150 voi"), il blabla-bla dello stilismo mischiato al palestrismo che è sfociato infine nel mutandismo, cioè quella pratica di portare il bordo della mutanda fuori dai pantaloni, "io ti faccio vedere un pezzo, tu scopri il resto", che ormai dilaga dappertutto gay o etero o bisex o casti. Certo, alcuni inconvenienti ci sono.
Televisivamente parlando, per esempio, su La 7 c'erano "I fantastici cinque", per l'appunto cinque gay che ti piombavano in casa, e se avevi un alloggio normale te lo trasformavano in una cosa con le palle fucsia alle pareti, ti spennavano a colpi di cerette e infine ti facevano preparare il sushi per la cena con la suocera, chiaro tentativo di mandare a monte il matrimonio naturale, come ben lo definirebbe il cardinal Ruini. Una cosa allarmante. Ma pure fenomeno che non c'è teodem in grado di tenere né prete in grado di contenere. Non è questo il tempo delle mele, e neanche quello di Pera, che generosamente si è buttato nella mischia. Persino a Ceppaloni c'è stata la piccola epica gay del locale parrucchiere, evocato tanto da Clemente Mastella quanto dalla signora Sandra. E' un po' teatrale, quindi, lo scontro in atto. Chi sa che perderà sa anche di aver già vinto, chi vincerà sa di essere condannato alla sconfitta.
E nel teatrino politico, berlusconianamente avanzando, ognuno fa la sua parte. A cominciare dallo stesso Cav., uno che avventatamente ha detto che i gay "stanno tutti dall'altra parte", intesa l'altra parte come sinistra, ma che già un paio di anni fa, tra le nebbie di Bruxelles, aveva generosamente scandito: "In Italia se si vuole essere santificati bisogna essere gay o comunisti", rinunciando così - lui, vispo eterosessuale e turgido anticomunista - a ogni possibile gloria degli altari. Chissà poi dove l'ha trovata, questa faccenda dei gay che sono comunisti, il povero Cav.: gliel'avranno spacciata per un'elaborazione di don Sturzo. Che poi, comunisti. Franco Grillini ricorda spesso quel primo incontro, organizzato negli anni Ottanta a Bologna, dal partito con i lavoratori metalmeccanici.
Quelli arrivano in tuta, dubbiosi; i compagni omosessuali sull'altro lato della sala. Uno di loro interviene, poi un operaio si alza, va al microfono, e non sa bene come affrontare la questione: "Compagni, vorrei dire che sono d'accordo col compagno 'busone' che ha parlato prima.". Si capisce che ora tutto è diverso. Intanto, al cinema i gay sono diventati protagonisti positivi, ma sono tutti bellini, perfettini, borghesini. Hanno case ben messe e pure seconde case, lavori ben retribuiti, turbe amorose ben controllate. Perché quello dei gay, anche economicamente parlando, è un mercato in espansione. Infatti, più che il riconoscimento dei diritti - su cui la gran lagna contro i Dico è stata imbastita - sarà il soldo a mutare la situazione. Ridacchia Luxuria: "Il mercato ci ha scoperto da diverso tempo, adesso tocca alla politica".
La pubblicità si adatta, e mica solo quella della moda, persino del caffè o del mobilio. Gay.tv promosse a suo tempo un'inchiesta tra gli spettatori. Scoprì che il 40 per cento ha cambiato già quattro cellulari (anni fa), che il 54 per cento possiede una carta di credito, contro la media italiana del 21 per cento, che l'87 per cento va al ristorante tre volte a settimana, che il 55 per cento prende l'aereo una volta al mese.
Dove quindi non potranno gli eroici Banfi e Buzzanca, il buon poliziotto o la coppia medica o il mesto commesso, si farà largo lo spirito di Coccolino, il supremo regolatore di tutto. E magari sarà pure possibile, più liberamente, dare dello stronzo a un gay quando è stronzo - che al momento qualche problema ancora si crea. "Fateci caso - annota Luxuria - a Roma, per dire che una cosa è figa già dicono: 'mmazza, quanto è frocia!".
Dagospia 12 Marzo 2007