IL DIABOLICO PIANO MIELI-VELTRONI PER LA CONQUISTA DEL POTERE
FRA 6 MESI AL VOTO, SCONFITTA DA CARICARE SU PRODI, 5 ANNI PER LA RIVINCITA
PANCHINARE RUTELLI-FASSINO A ROMA-TORINO, SBOLOGNARE D'ALEMA ALL'ESTERO

1 - IL PIANO MIELI-VELTRONI PER LA CONQUISTA DEL POTERE
Eccolo, nero su bianco, sbattuto sulla prima pagina del Corriere, il piano Mieli-Veltroni per la presa del potere. In soldini, viene ripreso l'editto di Capri del direttore "Mielig": "Subito, subito al voto". Ovviamente fra 6/8 mesi quando verrà varata una nuova legge elettorale. Naturalmente, il Pidì si presenterà alle urne senza la sinistra radical dei Berti notti-Diliberto-Pecorario e verrà matematicamente sconfitto da Berlusconi (il Cavaliere Trapiantato annuncerà prima del voto che non sarà lui il capo del governo, bensì un Gianni Letta, perché l'aspetta l'alloro supremo del Quirinale).

Una sconfitta che ci può stare per Walter-Pidì: tutti addosseranno la colpa al governo Prodi e con un 20 per cento il veltronico avrà cinque anni di tempo per svezzare il suo partito - suo da cima a fondo. Infatti - come spiega la Meli-Mieli nel pezzo - i boss verranno così smaltiti e impanchinati: a Fassino il comune di Torino, a Rutelli il ritorno al Campidoglio e D'Alema in giro per l'estero. Quindi al prossimo giro, con Berlusconi presidente della Repubblica, Veltroni conquisterà Palazzo Chigi. Scritto, letto e approvato da Mieli Paolo. (A proposito, all'indomani dell'editto di Capri, una telefonata di Walter Pidì raggiunse l'auricolare di Paolino, riempiendolo di complimenti).

2 - E IL PD VUOLE SCRIVERE L'AGENDA DELL'ESECUTIVO
Maria Teresa Meli per il "Corriere della Sera"


È una frase apparentemente buttata lì. Dice Veltroni: «Ai congressi ds e dl hanno votato 350 mila persone: alle primarie dieci volte di più». Come a sottolineare la legittimazione plebiscitaria del segretario del Pd. Quel che è accaduto è chiaro. I veltroniani, ma anche i prodiani, loro malgrado, lo confermano: la plancia di comando dell'Ulivo dal governo è passata al nascituro partito e al suo leader.

Non è un caso, allora, che l'altro ieri sera Veltroni sia stato accolto nella sede dell'Ulivo di Santi Apostoli dalle facce scure del premier e del suo portavoce Silvio Sircana o che il prodiano Mario Barbi, uno dei tre coordinatori dell'Ulivo, abbia annunciato che i votanti erano solo un milione e mezzo, costringendo gli altri suoi due colleghi, il ds Migliavacca e il margheritino Soro alla rettifica. Del resto, anche la lettera che Prodi ha mandato a Veltroni ieri era gentile ma assai fredda. Ed è per questa ragione che il sindaco di Roma ha dato l'annuncio della missiva ma si è guardato bene dal leggerla per intero.

È chiaro che Veltroni non vuole arrivare ai ferri corti con Prodi, tant'è vero che dice e ridice che è pronto a sostenerlo, però lascia intendere che non ci sarà giorno in cui non opererà la sua «sollecitazione riformista sul governo». E a Prodi dà gli otto mesi. Tanti sono quelli che bastano, secondo il sindaco, per mandare in porto la riforma elettorale e quella costituzionale. Dopodiché il voto è inevitabile. A bocce ferme nel 2009. In caso di una precipitazione degli eventi già il prossimo anno.



Del resto, uno dei più stretti collaboratori del sindaco di Roma, il senatore ulivista Giorgio Tonini lo ha detto papale papale: o il governo va avanti, dimezza i ministri, dà segnali di vita o è meglio staccargli la spina. E Goffredo Bettini, che di Veltroni è il braccio destro, non esclude che alla fine della festa il voto anticipato sia la soluzione migliore.

Nel frattempo Veltroni, da politico accorto qual è, sa bene che deve creare un partito che non sia il risultato delle tante correnti retaggio delle vecchie forze politiche. «Non venitemi a chiedere niente», è l'imperativo del sindaco, il quale, ovviamente, non si riferisce ai problemi da risolvere ma alle mille grane che gli ex ds piuttosto che gli ex dl stanno ancora piantando. Ma Veltroni ha capito che per lui è adesso o mai più. Per questa ragione non accetta di creare i nuovi organismi dirigenti del Pd secondo la prassi dei vecchi partiti: niente segreterie e niente direttori. Vi sarà una prima cerchia, quella operativa, che rappresenterà veramente il partito del futuro, e che sarà formata da personaggi come Dario Franceschini, Goffredo Bettini, Anna Finocchiaro, Nicola Zingaretti, Ermete Realacci e altri personaggi che la politica l'hanno vissuta solo di striscio ma che hanno un peso e una rappresentanza nella società italiana.

Nella seconda cerchia più larga entreranno i leader del tempo che fu: Rutelli, Fassino, D'Alema, Marini. Per personaggi come questi il futuro è un altro, non è quello di fare i primi attori del Pd. Fassino potrebbe, gareggiare nel 2011 per la poltrona di sindaco di Torino, Rutelli potrebbe ritentare l'avventura del Campidoglio, e per D'Alema si vocifera di un posto, nel 2009 di "mister Pesc". In poche parole, l'attuale titolare della Farnesina potrebbe prendere il posto di Solana come ministro degli esteri dell'Unione Europea.

Sarebbe un cambiamento epocale e Veltroni avrebbe ragione a dire che dopo la costruzione del "suo" Pd tutto «apparirà inevitabilmente vecchio». Ma è chiaro che si tratta di una scommessa ad altissimo rischio anche per il sindaco di Roma. Le resistenze dei partiti, ex ppi o ex ds che siano, ci sono. Tant'è vero che come sostituto di Franceschini alla guida del gruppo dell'Ulivo si parla di un personaggio come Sergio Mattarella, anche se non si esclude il colpo d'ala: una donna, come la Bindi, o un politico nuovo come Realacci. Eppoi c'è la freddezza di Prodi anche perché il premier ha capito che sul Welfare come su altri temi Veltroni non mollerà la presa della sua «sollecitazione riformista».

Dunque, mentre prima l'Ulivo viveva grazie al governo ora avviene il contrario: è il Pd il soggetto centrale della coalizione, è il Pd che spronerà il governo e ne detterà l'agenda. L'importante è che questo partito sia fatto in tempi rapidi. Infatti i sondaggi non sono troppo favorevoli. La somma di Ds e Margherita nella settimana precedente, nonostante la campagna elettorale delle primarie, è del 27 per cento, una cifra inferiore a quella di Forza Italia. Ora tocca a Veltroni invertire la rotta, dimostrando che discontinuità e innovazione non sono solo parole.


Dagospia 16 Ottobre 2007