ALICAOS - LA MARCIA INDIETRO DEL BLUFFISTA BERLUSCA: "CORDATA? QUALE CORDATA! HA FATTO SOLO UN APPELLO AGLI IMPRENDITORI" - TUTTI D'ACCORDO: IL CASO ALITALIA SI CHIUDE DOPO IL VOTO DEL 14 APRILE.
Ugo Magri per "La Stampa"
La linea del Piave crolla, il 31 marzo non è più la data entro cui si salva Alitalia. E il Palazzo, unanime, respira di sollievo. L'ultimo «giapponese» è il solito Padoa-Schioppa, ma a sera pure lui si arrende, dopo un colloquio con Prodi fa sapere che non si opporrà al rinvio se a chiederlo sarà la compagnia di bandiera. Semmai lui lo vorrebbe breve, il tempo necessario a chiudere la trattativa tra sindacati e Air France.
Ma tutto fa pensare invece che la parola «fine» arriverà dopo il 14 aprile, data delle elezioni. Il rinvio conviene a destra, perché solo se va al governo Berlusconi avrà gli argomenti per mettere in piedi una cordata tricolore. E sforare i termini conviene pure a Veltroni. Perché il tema Alitalia riporta in auge Prodi, il suo governo, le liti tra ministri, e danneggia non poco la campagna elettorale Pd.
Ecco dunque Ermete Realacci, uno dei moschettieri veltroniani, sollecitare apertamente una moratoria sull'argomento: «Che la vicenda Alitalia non debba coincidere con la fase terminale della campagna elettorale, mi sembrerebbe una cosa di buon senso». Di Pietro lo sostiene da tempo, ad «aspettare tre settimane non casca il mondo». La novità è sentir dire da Pierluigi Bersani, ministro in carica, che nuove proposte possono arrivare entro giugno...
Insomma, non c'è più quella fretta indiavolata. L'importante adesso, secondo Veltroni, è «registrare passi avanti nella trattativa tra i sindacati e Spinetta in attesa», si noti la vena ironica, «di quella cordata che, al di là degli annunci fatti dopo le cene e le feste, non si è ancora materializzata».
E difatti, pure il Cavaliere leva il piede dall'acceleratore. Si fa intervistare da «Studio aperto», attacca Walter sulle pensioni, ma da Alitalia si tiene al largo. Idem Bonaiuti, il Portavoce: «Non parlo, perché il silenzio è d'obbligo». Ma come! Berlusconi ha piazzato addirittura i suoi figli tra i potenziali acquirenti... «No, lui ha fatto solo un appello» agli imprenditori italiani, minimizza Bonaiuti.
E già un punto il Cavaliere l'ha messo a segno: Air France pare pronta a modificare l'offerta. Improbabile che domani sera, quando Spinetta sottoporrà ai sindacati la nuova bozza di accordo-quadro, le riserve del Pdl vengano a cadere: resta sempre il nodo Malpensa su cui la Lega non transige e, di conseguenza, il Cavaliere neppure. Però, rispetto ai proclami dei giorni scorsi, si coglie una certa prudenza verbale. Che Gianni Letta, da sempre favorevole all'affare con Air France, sia tornato alla carica? Che Berlusconi voglia dare ascolto a Fini, al quale Franza o Spagna fa poca differenza, purché Alitalia «resti compagnia di bandiera»?
Il vero motivo della cautela berlusconiana è molto concreto. «Non è che una cordata di imprenditori si tira fuori dal taschino», quasi s'arrabbia uno dei consiglieri. Bruno Ermolli, incaricato dal Capo di raccogliere adesioni nella cosiddetta «razza Padana», sta faticando a trovare investitori di peso. In pratica, Berlusconi non ha niente in mano. Ligresti, ad esempio, è tra quanti non puntano su una scommessa, vuole ben altre certezze. Berlusconi può darne solo se torna a Palazzo Chigi, prima è impossibile. E forse anche dopo, avverte Bossi: «Con l'aviazione non si guadagna».
Il diversivo del centrodestra consiste nell'attaccare il governo. Forza Italia e An chiedono un dibattito parlamentare su Alitalia in cui riferisca il premier, o quantomeno Padoa-Schioppa. L'obiettivo è ricordare all'Italia che Prodi sta sempre a Palazzo Chigi, il rinnovamento di Veltroni è solo maquillage. Gli argomenti contro il Professore saranno quelli anticipati da Calderoli: il sospetto di un accordo privilegiato con Air France «è di una gravità assoluta, la vicenda va approfondita».
Giulio Tremonti conferma, «il rapporto con Air France è stato quanto di più volutamente opaco si potesse immaginare». Ma pure il Cavaliere si trova sotto tiro. Del «Wall Street Journal», unico quotidiano finanziario del mondo finora a lui non particolarmente ostile. Che lo accusa di alto tradimento per i «vagheggiamenti» di una cordata nazionale: «Berlusconi si è dimostrato più corporativo che liberale».
Dagospia 26 Marzo 2008
La linea del Piave crolla, il 31 marzo non è più la data entro cui si salva Alitalia. E il Palazzo, unanime, respira di sollievo. L'ultimo «giapponese» è il solito Padoa-Schioppa, ma a sera pure lui si arrende, dopo un colloquio con Prodi fa sapere che non si opporrà al rinvio se a chiederlo sarà la compagnia di bandiera. Semmai lui lo vorrebbe breve, il tempo necessario a chiudere la trattativa tra sindacati e Air France.
Ma tutto fa pensare invece che la parola «fine» arriverà dopo il 14 aprile, data delle elezioni. Il rinvio conviene a destra, perché solo se va al governo Berlusconi avrà gli argomenti per mettere in piedi una cordata tricolore. E sforare i termini conviene pure a Veltroni. Perché il tema Alitalia riporta in auge Prodi, il suo governo, le liti tra ministri, e danneggia non poco la campagna elettorale Pd.
Ecco dunque Ermete Realacci, uno dei moschettieri veltroniani, sollecitare apertamente una moratoria sull'argomento: «Che la vicenda Alitalia non debba coincidere con la fase terminale della campagna elettorale, mi sembrerebbe una cosa di buon senso». Di Pietro lo sostiene da tempo, ad «aspettare tre settimane non casca il mondo». La novità è sentir dire da Pierluigi Bersani, ministro in carica, che nuove proposte possono arrivare entro giugno...
Insomma, non c'è più quella fretta indiavolata. L'importante adesso, secondo Veltroni, è «registrare passi avanti nella trattativa tra i sindacati e Spinetta in attesa», si noti la vena ironica, «di quella cordata che, al di là degli annunci fatti dopo le cene e le feste, non si è ancora materializzata».
E difatti, pure il Cavaliere leva il piede dall'acceleratore. Si fa intervistare da «Studio aperto», attacca Walter sulle pensioni, ma da Alitalia si tiene al largo. Idem Bonaiuti, il Portavoce: «Non parlo, perché il silenzio è d'obbligo». Ma come! Berlusconi ha piazzato addirittura i suoi figli tra i potenziali acquirenti... «No, lui ha fatto solo un appello» agli imprenditori italiani, minimizza Bonaiuti.
E già un punto il Cavaliere l'ha messo a segno: Air France pare pronta a modificare l'offerta. Improbabile che domani sera, quando Spinetta sottoporrà ai sindacati la nuova bozza di accordo-quadro, le riserve del Pdl vengano a cadere: resta sempre il nodo Malpensa su cui la Lega non transige e, di conseguenza, il Cavaliere neppure. Però, rispetto ai proclami dei giorni scorsi, si coglie una certa prudenza verbale. Che Gianni Letta, da sempre favorevole all'affare con Air France, sia tornato alla carica? Che Berlusconi voglia dare ascolto a Fini, al quale Franza o Spagna fa poca differenza, purché Alitalia «resti compagnia di bandiera»?
Il vero motivo della cautela berlusconiana è molto concreto. «Non è che una cordata di imprenditori si tira fuori dal taschino», quasi s'arrabbia uno dei consiglieri. Bruno Ermolli, incaricato dal Capo di raccogliere adesioni nella cosiddetta «razza Padana», sta faticando a trovare investitori di peso. In pratica, Berlusconi non ha niente in mano. Ligresti, ad esempio, è tra quanti non puntano su una scommessa, vuole ben altre certezze. Berlusconi può darne solo se torna a Palazzo Chigi, prima è impossibile. E forse anche dopo, avverte Bossi: «Con l'aviazione non si guadagna».
Il diversivo del centrodestra consiste nell'attaccare il governo. Forza Italia e An chiedono un dibattito parlamentare su Alitalia in cui riferisca il premier, o quantomeno Padoa-Schioppa. L'obiettivo è ricordare all'Italia che Prodi sta sempre a Palazzo Chigi, il rinnovamento di Veltroni è solo maquillage. Gli argomenti contro il Professore saranno quelli anticipati da Calderoli: il sospetto di un accordo privilegiato con Air France «è di una gravità assoluta, la vicenda va approfondita».
Giulio Tremonti conferma, «il rapporto con Air France è stato quanto di più volutamente opaco si potesse immaginare». Ma pure il Cavaliere si trova sotto tiro. Del «Wall Street Journal», unico quotidiano finanziario del mondo finora a lui non particolarmente ostile. Che lo accusa di alto tradimento per i «vagheggiamenti» di una cordata nazionale: «Berlusconi si è dimostrato più corporativo che liberale».
Dagospia 26 Marzo 2008