CONFA, NEI SECOLI FIDEL - WALTER SIMPATICO, CASINI ACIDO - P2, IO "CUSCINETTO" TRA SILVIO E INDRO - CRAXI, PRE-BLAIR - A DE MITA SAREBBE PIACIUTA UNA RETE4 IN MANO A TANZI - SE C'È DA MENARE, MENO.

Raffaella Polato per il "Corriere della Sera"


Trentacinque anni. Vissuti di corsa, sì. E però, dice lui, «non allarghiamoci: io stavo sul sedile di dietro». Pressato, poi, perché va bene il low profile ma lo sanno tutti da quanti fuoripista abbia recuperato quell'auto, Fedele Confalonieri concede: «Va beh, non è che stessi proprio solo a guardare. Ogni tanto la mia la dicevo». Era più che «ogni tanto», naturalmente. E solo «ogni tanto» Silvio Berlusconi non lo stava a sentire. Anche se lui, pure qui, schiva: «Ma mica c'è stata solo quella volta della discesa in campo. Comunque, faceva bene: i fatti hanno sempre dimostrato che aveva ragione lui».

Lo dimostreranno anche adesso, scommette il presidente di Mediaset. «Sposato» professionalmente al Cav. da più tempo di quanto durino molti matrimoni, ossia da quel primo aprile 1973 in cui iniziò a lavorare per l'amico, ne è sicuro: «Non credo agli inciuci, non ce ne saranno. Però vedrete, se Silvio non vi stupirà ancora». Non con una «grande coalizione» al governo, se vincerà («Come penso», ovvio): «Con un diverso rapporto maggioranza- opposizione per fare le riforme di cui il Paese ha bisogno». E sì: grazie anche al fatto che «di là» c'è oggi Walter Veltroni, politico «che stimo, col quale si può dialogare».

Primo aprile '73, dottor Confalonieri. Com'è che un giorno Berlusconi le dice: «Vieni a lavorare con me»?
«Veramente era un po' che ne parlavamo. Io avevo delle attività per conto mio. E lui: "Ma perché stai lì a tribolare?».

Dai e dai, la convince.
«Avevo 35 anni. E nel mezzo del cammin di nostra vita, per dirla con Dante, bisognava cambiare ».

Non siete mai stati soci, però: perché lui non gliel'ha chiesto, o perché lei non ha voluto?
«Perché lui era già Berlusconi. Un imprenditore di successo che stava già finendo Milano 2».

Lei che faceva? Subito braccio destro del capo?
«Di tutto, agli inizi. L'assistente, il responsabile del personale, le relazioni istituzionali.».

Quelle che poi faranno di lei non più Fedele: «Fidel».
«C'era in ballo il piano regolatore di Milano 3. E mi creda: destreggiarsi a Basiglio, 500 anime, non è stato più facile che combattere alla Camera per le leggi tv».

Appunto: Fidel il diplomatico. Da quel dì.
«Ma no, non sono così diplomatico. Se c'è da menare, meno».

Però con stile, dicono tutti: un mediatore nato.
«Nemmeno. Però, evidentemente, allora e dopo ho saputo creare rapporti di fiducia. Legittimando. Facendo capire quanto di positivo c'era nel "prodotto Mediaset" e quanto sarebbe stato negativo per il Paese perderlo».

Lei e Berlusconi agli inizi: i momenti più esaltanti?
«Potrei dirle le cavalcate dei fatturati, all'inizio della Tv: 12 miliardi il primo anno, 70 il secondo, 210 il terzo, poi 500. Roba da new economy, e senza "bolla". Ma c'è stato anche, nel '76, l'ingresso nel Giornale, di cui più tardi sono diventato amministratore delegato. Si ricordi il quadro. Pieno compromesso storico. Tipografi molto sindacalizzati, che consideravano "fascista" il quotidiano e lo boicottavano appena potevano. Berlusconi ha fatto una nuova tipografia e molti investimenti, conservando intorno a Montanelli il meglio dell'intelligenza liberale».

Quante volte ha fatto da «cuscinetto » tra i due?
«In effetti. La prima, direi, è stato con la P2. Montatura tremenda, e Silvio naturalmente voleva un po' di difesa. Indro naturalmente non gliel'ha data. Ammettendo però sempre di non aver mai avuto un editore più liberale di Silvio Berlusconi».

Prima le città. Poi un giornale. Infine il salto: la Tv.
«Il Cavaliere è partito con Galliani, Dell'Utri, Bernasconi. Io sono entrato più tardi: comunicazione e lobbying».



Dai manovali e dai geometri a star e starlette...
«Silvio si era preso un modello da superare: la Rai. Ci è riuscito. Inventandosi un nuovo mercato, un nuovo settore industriale, una nuova ricchezza anche per il Paese. Dicono che l'ha fatto da pirata, da corsaro? Col cavolo: secondo i precetti del vero liberalismo, è consentito quanto non è espressamente vietato. Questo è il reale spartiacque, anche in politica: Berlusconi parla di mercato non perché l'ha letto sui libri, ma perché è stato la sua vita di ogni giorno. Nei cantieri controllava anche il filo d'erba, negli studi le luci, le scene, i costumi, i dialoghi ».

Però un giorno vi «oscurano »: senza Craxi, il mercato.
«La verità? C'era un oggetto del desiderio: Rete4. L'avevamo comprata da Mondadori, che rischiava di fallire in quell'avventura. E tra parentesi: Berlusconi avrebbe potuto aspettarlo, il fallimento, e portarsela via per due lire».

Chi l'avrebbe voluta?
«Non è un mistero: la sinistra dc. A Ciriaco De Mita sarebbe piaciuta una Rete4 in mano a Calisto Tanzi».

Mentre Craxi tifava per voi.
«Craxi non tifava: Craxi è stato un elemento di modernità. Era l'uomo che avrebbe trattato per Moro, che si è smarcato dal compromesso storico, che ha svegliato l'Italia narcotizzata dai consociativismi. Era il pre-Blair».

E questo c'entra, con il decreto anti-oscuramento?
«Certo. Uno, non ci ha regalato niente, anzi. Due, senza quel decreto sarebbe continuato il monopolio Rai. E comunque: qualcuno ricorda che, la prima volta, fu bocciato? Passò solo quando al Pci fu "data" la terza rete. E alla Dc i pieni poteri del già potentissimo Biagio Agnes».

Perché in Spagna e Francia non avete avuto successo?
«La Spagna veramente va benissimo. In Francia. Ci chiamò Mitterrand. Poi vinse Chirac, e smontò tutto».

Se adesso i francesi subissero la legge del contrappasso? Alitalia, Berlusconi, a loro non la vuole proprio dare. Oppure, lo ammetta: è solo campagna elettorale?
«Ammetto che, se lo fosse, sarebbe comunque geniale. Ma non credo lo sia. Silvio si è impegnato, potrebbe stupirci una volta di più. Poi, obiettivamente: si è mai vista una trattativa così? E Berlusconi un successo l'ha già raggiunto: Air France sta migliorando le sue condizioni».

Francese prima, italiano oggi, ma sempre di interventismo pubblico stiamo parlando. Anche con Berlusconi.
«Alt. L'interventismo francese presuppone uno Stato efficiente. Da noi, c'è una sinistra che la macchina dello Stato non l'ha voluta cambiare».

Ma Veltroni l'ha scaricata. E di Veltroni lei ha detto.
«Confermo tutto. Mi è simpatico, lo conosco bene, è capace. E con D'Alema è stato uno dei primi a capire che Mediaset è un patrimonio del Paese».

Elogio da spot: nemmeno un difetto uno?
«Il mercato, per lui, è un concetto studiato sui libri. E qualche retaggio del passato gli rimane. Poi, non capisco perché abbia imbarcato Di Pietro. Resta il pm di "io a quello lo sfascio": parafrasando von Clausewitz, per lui la politica è la prosecuzione di Mani Pulite con altri mezzi».

Le è spiaciuto l'addio di Casini al Pdl?
«Di Casini sono amico, a dispiacermi è la sua acidità. Ma forse si spiega con Freud: uccidi il padre ».

Dice mai a Berlusconi, in questi giorni, «stai esagerando»?
«Ti esagera, in milanese, potrebbe essere il suo motto. Ma negli Usa lo tradurrebbero in think big: pensa in grande. E lui, a differenza di tanti, pensa e fa».

E lei? Dopo 35 anni con S.B., nessuna tentazione di pensione?
«Ma io di Silvio sono solo un Mastro Don Gesualdo onesto. E per tornare a Dante: se il mezzo del cammin di nostra vita erano 35 anni, oggi vogliamo fare almeno 50?».


Dagospia 31 Marzo 2008