CENA CON L'ECO (CHE ROSICA) - ECO FURIOSO CON "L'ESPRESSO": COME VI PERMETTETE PUBBLICARE LE MIE CHIACCHIERE A UNA CENA DA INGE FELTRINELLI? - "E' UN'OFFESA, UNO SFREGIO: FATE AUTOCRITICA!".
1 - QUANDO ECO NON PERDONA.
Mario Baudino per "La Stampa"
La filosofa Hanna Arendt? «Ritengo "Le origini del totalitarismo" un libro ottimo, ancora oggi. Ma non ho mai, dico mai sopportato che scopasse proprio con Heidegger. Oltretutto a guerra finita!». Questo, che l'Espresso definisce «un parere punk» di Umberto Eco, pare abbia divertito Guenter Grass durante una cena molto privata in casa Feltrinelli, a Milano. Come accade a tavola, aiutati da un buon barolo, i due intellettuali hanno scherzato in libertà, soprattutto Eco, che ha per esempio riproposto una sua storica battuta su Salman Rushdie: «Scrisse che Il pendolo di Foucault era "complete bullshit", una grandissima stronzata. Da allora sono costretto a una doppia cordialità, per mostrare che non serbo rancore».
Eco non ha inoltre lesinato amichevoli critiche a Gianni Vattimo per la sua passione per Heidegger. «Heidegger e Wittgenstein. Scrivevano per non farsi capire. Deleteri. E succube la cultura italiana che li ha osannati per decenni». Il tutto, chiosa l'Espresso, «brandendo il bicchiere come Alboino il cranio». Questa la cronaca di Enrico Arosio. Pare che Eco, collaboratore autorevolissimo del settimanale, non abbia gradito.
2 - QUELLA SERA DA INGE.
Umberto Eco per "L'espresso"
Caro Direttore, in una scorsa Bustina di Minerva lamentavo che il numero delle pagine dei quotidiani e dei settimanali obbligasse ormai a pubblicare, oltre alle notizie serie, anche il pettegolezzo. Ma v'è un limite a questo cattivo andazzo del giornalismo e ti sarò grato se vorrai darmi modo di denunciare quanto segue proprio sulle pagine dell'Espresso, inducendolo così a una onesta autocritica - che mi pare faccia parte delle sue migliori tradizioni.
Il 28 aprile scorso c'è stata una amichevole cena da Inge Feltrinelli con Grass a cui partecipavano anche due giornalisti, uno dei quali era il vostro Enrico Arosio, invitato (così ritenevo) non come cronista ma come amico germanofono. Dall'articolo apparso sull'ultimo numero dell'Espresso apprendo invece che Arosio era stato incaricato (non so da chi) di registrare artatamente (e tra l'altro a memoria) le conversazioni ivi intervenute, come un agente dei servizi deviati, per poi farne un lungo articolo di colore in cui si riferivano tutte le battute conviviali che si possono fare tra amici in piena confidenza.
A mio parere l'operazione viola l'etica giornalistica perché chi dà una intervista deve sapere di essere intervistato, e cioè che le sue parole diventeranno pubbliche dichiarazioni. Si può dire a cena tra intimi che si suppone che il tale stia andando fuori di testa, ma non ci si azzarderebbe mai a scriverlo anche perché potremmo essere convinti che in fin dei conti non è vero, e si stava esagerando per esprimere un semplice dissenso.
Ma in ogni caso ciò che è accaduto ha violato le sacre leggi dell'ospitalità, in virtù delle quali non si dà pubblico rapporto di conversazioni confidenziali a cui si è partecipato come attore e non come osservatore.
A maggior ragione la cosa è offensiva quando uno dei partecipanti è collaboratore anziano del giornale e certamente avrebbe diritto al rispetto della propria vita privata. Inoltre, se di una conversazione privata si riportano anche le battute minori, di quelle che si fanno a tavola per ridere un po', ma che non si farebbero in sede pubblica, si precipita al livello di quelle riviste che si trovano solo dai barbieri.
Infine è regola aurea del giornalismo che, se si debbono riprodurre dichiarazioni altrui tra virgolette, si telefona all'interessato, come fanno i giornali anglosassoni, anche quattro volte, per sapere se aveva detto veramente quella cosa o citato quella data.
Capisco che, per parafrasare una battuta di Arbore, 'no, non siam la BBC', ma l'Espresso ha una tradizione di serietà che non può e non deve tradire.
Infine, peggio ancora se il sicofante, come ogni agente di servizi deviati, riporta le battute fuori contesto dandone versioni inesatte, non si sa se per ignoranza, malizia o fretta, facendomi fare pessime figure. Non posso aver detto che Wittgenstein scriveva in modo da non farsi capire perché anche uno studente liceale sa che il linguaggio di Wittgenstein è molto piano (ma è pur vero che Arosio ha studiato alla scuola tedesca dove non si fa filosofia come materia specifica). Non so cosa significhi dire che Ratzinger è un teologo del 1820 (il mio discorso era più sottile, e riguardava la rinascita della polemica ottocentesca dei cattolici reazionari contro l'illuminismo e gli scontri tra gesuiti e anticlericali risorgimentali).
Appare che abbia raccontato una barzelletta razzista sugli svizzeri mentre, rievocando il nostro scomparso amico Filippini, ricordavo divertito che lui (svizzero) raccontava quella barzelletta sugli svizzeri, il che è un poco diverso, e più divertente, come quando uno scozzese racconta una barzelletta sugli scozzesi. Né sono così disinformato da dire che il rapporto sentimentale tra Arendt e Heidegger è cosa del dopoguerra perché è noto lippis et tonsoribus che è avvenuto prima - e caso mai accennavo a una voce diffusa per cui i due si sarebbero rivisti anche dopo la guerra, e scherzavo su un mio legittimo accesso di gelosia perché la Arendt da giovane era una ragazza molto graziosa e mi sentivo a disagio pensandola in compagnia di un vecchio vestito da tirolese.
Ma insomma, sere fa, sempre a cena, a un amico che confessava di non aver letto 'Finnegans Wake' dicevo scherzando che non lo aveva letto neppure Joyce perché all'epoca aveva gravi problemi alla vista. Come battuta ha fatto ridere tutti, ma non andrei certo a dire una sciocchezza del genere in una pubblica conferenza.
Se l'articolo fosse apparso su un fogliaccio che per ragioni ideologiche intendeva diffamarmi, non avrei fatto una piega, e al massimo mi sarei ripromesso di evitare in futuro ogni contatto con Arosio. Ma, fatto dall'Espresso, lo soffro come uno sfregio. Uno sfregio, si badi, non tanto fatto a me o al povero Grass, anche lui vittima inconsapevole, ma a una nozione corretta e civile di giornalismo.
Se vorrete tuttavia pubblicare questa mia lettera di vibrata protesta sarà segno che non tutto è ancora perduto, e sia io che i lettori ascriveremo l'incidente ai disguidi del possibile.
Dagospia 16 Maggio 2008
Mario Baudino per "La Stampa"
La filosofa Hanna Arendt? «Ritengo "Le origini del totalitarismo" un libro ottimo, ancora oggi. Ma non ho mai, dico mai sopportato che scopasse proprio con Heidegger. Oltretutto a guerra finita!». Questo, che l'Espresso definisce «un parere punk» di Umberto Eco, pare abbia divertito Guenter Grass durante una cena molto privata in casa Feltrinelli, a Milano. Come accade a tavola, aiutati da un buon barolo, i due intellettuali hanno scherzato in libertà, soprattutto Eco, che ha per esempio riproposto una sua storica battuta su Salman Rushdie: «Scrisse che Il pendolo di Foucault era "complete bullshit", una grandissima stronzata. Da allora sono costretto a una doppia cordialità, per mostrare che non serbo rancore».
Eco non ha inoltre lesinato amichevoli critiche a Gianni Vattimo per la sua passione per Heidegger. «Heidegger e Wittgenstein. Scrivevano per non farsi capire. Deleteri. E succube la cultura italiana che li ha osannati per decenni». Il tutto, chiosa l'Espresso, «brandendo il bicchiere come Alboino il cranio». Questa la cronaca di Enrico Arosio. Pare che Eco, collaboratore autorevolissimo del settimanale, non abbia gradito.
2 - QUELLA SERA DA INGE.
Umberto Eco per "L'espresso"
Caro Direttore, in una scorsa Bustina di Minerva lamentavo che il numero delle pagine dei quotidiani e dei settimanali obbligasse ormai a pubblicare, oltre alle notizie serie, anche il pettegolezzo. Ma v'è un limite a questo cattivo andazzo del giornalismo e ti sarò grato se vorrai darmi modo di denunciare quanto segue proprio sulle pagine dell'Espresso, inducendolo così a una onesta autocritica - che mi pare faccia parte delle sue migliori tradizioni.
Il 28 aprile scorso c'è stata una amichevole cena da Inge Feltrinelli con Grass a cui partecipavano anche due giornalisti, uno dei quali era il vostro Enrico Arosio, invitato (così ritenevo) non come cronista ma come amico germanofono. Dall'articolo apparso sull'ultimo numero dell'Espresso apprendo invece che Arosio era stato incaricato (non so da chi) di registrare artatamente (e tra l'altro a memoria) le conversazioni ivi intervenute, come un agente dei servizi deviati, per poi farne un lungo articolo di colore in cui si riferivano tutte le battute conviviali che si possono fare tra amici in piena confidenza.
A mio parere l'operazione viola l'etica giornalistica perché chi dà una intervista deve sapere di essere intervistato, e cioè che le sue parole diventeranno pubbliche dichiarazioni. Si può dire a cena tra intimi che si suppone che il tale stia andando fuori di testa, ma non ci si azzarderebbe mai a scriverlo anche perché potremmo essere convinti che in fin dei conti non è vero, e si stava esagerando per esprimere un semplice dissenso.
Ma in ogni caso ciò che è accaduto ha violato le sacre leggi dell'ospitalità, in virtù delle quali non si dà pubblico rapporto di conversazioni confidenziali a cui si è partecipato come attore e non come osservatore.
A maggior ragione la cosa è offensiva quando uno dei partecipanti è collaboratore anziano del giornale e certamente avrebbe diritto al rispetto della propria vita privata. Inoltre, se di una conversazione privata si riportano anche le battute minori, di quelle che si fanno a tavola per ridere un po', ma che non si farebbero in sede pubblica, si precipita al livello di quelle riviste che si trovano solo dai barbieri.
Infine è regola aurea del giornalismo che, se si debbono riprodurre dichiarazioni altrui tra virgolette, si telefona all'interessato, come fanno i giornali anglosassoni, anche quattro volte, per sapere se aveva detto veramente quella cosa o citato quella data.
Capisco che, per parafrasare una battuta di Arbore, 'no, non siam la BBC', ma l'Espresso ha una tradizione di serietà che non può e non deve tradire.
Infine, peggio ancora se il sicofante, come ogni agente di servizi deviati, riporta le battute fuori contesto dandone versioni inesatte, non si sa se per ignoranza, malizia o fretta, facendomi fare pessime figure. Non posso aver detto che Wittgenstein scriveva in modo da non farsi capire perché anche uno studente liceale sa che il linguaggio di Wittgenstein è molto piano (ma è pur vero che Arosio ha studiato alla scuola tedesca dove non si fa filosofia come materia specifica). Non so cosa significhi dire che Ratzinger è un teologo del 1820 (il mio discorso era più sottile, e riguardava la rinascita della polemica ottocentesca dei cattolici reazionari contro l'illuminismo e gli scontri tra gesuiti e anticlericali risorgimentali).
Appare che abbia raccontato una barzelletta razzista sugli svizzeri mentre, rievocando il nostro scomparso amico Filippini, ricordavo divertito che lui (svizzero) raccontava quella barzelletta sugli svizzeri, il che è un poco diverso, e più divertente, come quando uno scozzese racconta una barzelletta sugli scozzesi. Né sono così disinformato da dire che il rapporto sentimentale tra Arendt e Heidegger è cosa del dopoguerra perché è noto lippis et tonsoribus che è avvenuto prima - e caso mai accennavo a una voce diffusa per cui i due si sarebbero rivisti anche dopo la guerra, e scherzavo su un mio legittimo accesso di gelosia perché la Arendt da giovane era una ragazza molto graziosa e mi sentivo a disagio pensandola in compagnia di un vecchio vestito da tirolese.
Ma insomma, sere fa, sempre a cena, a un amico che confessava di non aver letto 'Finnegans Wake' dicevo scherzando che non lo aveva letto neppure Joyce perché all'epoca aveva gravi problemi alla vista. Come battuta ha fatto ridere tutti, ma non andrei certo a dire una sciocchezza del genere in una pubblica conferenza.
Se l'articolo fosse apparso su un fogliaccio che per ragioni ideologiche intendeva diffamarmi, non avrei fatto una piega, e al massimo mi sarei ripromesso di evitare in futuro ogni contatto con Arosio. Ma, fatto dall'Espresso, lo soffro come uno sfregio. Uno sfregio, si badi, non tanto fatto a me o al povero Grass, anche lui vittima inconsapevole, ma a una nozione corretta e civile di giornalismo.
Se vorrete tuttavia pubblicare questa mia lettera di vibrata protesta sarà segno che non tutto è ancora perduto, e sia io che i lettori ascriveremo l'incidente ai disguidi del possibile.
Dagospia 16 Maggio 2008