GATTOSARDO SHOW - MI SENTO L'ASSASSINO DI MORO - DI PIETRO IL PEGGIOR POLITICO, MAI VOTATO IL CAV - I MIEI NEMICI? IL GRUPPO ESPRESSO-REPUBBLICA - SONO AFFEZIONATO AL SOPRANNOME "KOSSIGA BOIA".
Barbara Romano per "Libero"
«Vuole vedere qual è la donna che mi ha fatto cadere?». Francesco Cossiga è in vena di confidenze sentimentali. Ci riceve nel suo studio presidenziale a domicilio invaso di soldatini dell'Arma di ogni uniforme e grado, bandiere da tutto il mondo e portraits di lui con i grandi della Terra, seduto vicino al centralino che lo collega con i punti nevralgici dello Stato. Si fa quindi portare un vecchio album farcito di foto e lettere manoscritte sotto carta velina: è il book monografico del suo grande amore.
Che non è la moglie, della quale qui in casa Cossiga è proibito parlare da quando la Sacra Rota ha reso nullo il vincolo. Ma Erika, una ragazza austriaca per cui il Picconatore perse la testa sessant'anni fa. E che non ha mai dimenticato. «È bella o no?», domanda retorico mostrando la foto d'antan di una moretta tutta ricci in costume salisburghese con in mano un mazzolino di lillà. Inutile chiedergli di fartela pubblicare. «Per due anni sono andato a trovarla a Vienna e a Salisburgo senza dirle una parola», sospira. «Ore e ore vicini a recitare il rosario, fin quando un assistente degli universitari cattolici austriaci ci disse: "Ma voi due perché non vi sposate?"» E voi? «Zitti».
Lui riuscì a rompere il ghiaccio dopo anni, durante il Giubileo del 1950, al termine del lungo pellegrinaggio da Amsterdam a Roma: «Erika, ma tu sei fidanzata?». E lei: «No». «Ti fai suora?», osò lui. «Non ne ho la minima idea», ammiccò lei. A quel punto lui si fece più audace: «Bei cretini sono i tuoi compatrioti». Ma la cosa morì lì. Alla fine Erika (e c'è da capirla) trovò marito e figli altrove, tutti presenti nell'album fotografico, compresa lei oggi ultrasettantenne. «In questa casa non esiste una foto della madre dei miei figli», fa notare Cossiga. Strano. Come mai? «Non esiste», taglia corto, «io ho due figli legittimi, ma non si sa come siano nati. Per partenogenesi, forse...».
E allora parliamo degli altri amori.
«Io ne ho avuti quattro».
Il primo?
«Da ragazzino ero innamorato di Laura Siglienti Berlinguer, figlia di Stefano, il ministro delle Finanze del primo governo Bonomi. Il fratello di Laura, Sergio, che era stato mio compagno di scuola, divenne presidente di Ina e Assitalia».
Torniamo a Laura.
«Questa ragazzina aveva un sacco di corteggiatori e io venivo a Roma a trovarla. Lei poi si sposò, ora è vedova. Ma la cosa divertente è la lettera d'insulti che mi scrisse, perché aveva scoperto che io "frascheggiavo" con sua cugina a Sassari».
Il secondo amore?
«Paola: anche lei, come Laura, apparteneva a una delle più grandi famiglie sassaresi. Poi venne Luisa, alla quale, quando presi la libera docenza, dissi: "Ho deciso di sposarti". E sa cosa mi rispose?».
Cosa?
«"E io no", mi disse. Poi c'è stata Erika, appunto, che era presidente dell'Università delle cattoliche austriache. Siamo rimasti in contatto, anche dopo che si è sposata. Suo marito mi chiamava "eccellenza". Smettila, gli ho detto, conosco tua moglie da così tanti anni. Lui mi ha preso il braccio e mi ha detto: "Lo so, lo so"».
Non ne sta dimenticando una?
«Poi, certo, c'è la donna che ho sposato. Ma questa è meglio non nominarla, perché siccome il matrimonio è stato dichiarato nullo dalla Sacra Rota, i miei figli non gradiscono che se ne parli».
Come rimorchiava le ragazze?
«Veramente, venivo rimorchiato io».
Lei fu innamorato di Nilde Jotti?
«La voce che girava è che avessi un flirt con quella lì», dice indicando la foto di Margaret Thatcher.
E quale delle voci era fondata?
«Nessuna. Nilde mi voleva estremamente bene. Quando il Pci mi mise sotto accusa, prese Berlinguer e gliene disse quattro in mia difesa. E quando il Parlamento mi assolse, lei venne ad abbracciarmi».
Antonio Del Pennino tempo fa disse che lei si stava per sposare.
«Doveva essere Del Pennino in versione postwhisky. Nessuno fino ad allora mi aveva mai detto che non ho la testa sulle spalle».
Che male c'è a sposarsi a 80 anni?
«Nessuno, se si ha la vocazione a diventare cornuti».
Però lei ha una fissazione per il matrimonio. Ha cercato persino di far sposare Marco Pannella.
«Feci di tutto. Mi offrii persino di fargli da testimone. È un rapporto di amore e odio quello tra me e Pannella. Lui apprese della morte di sua madre mentre era nel mio studio e scoppiò a piangere tra le mie braccia».
Lei è stato anche al capezzale di Pannella quando si pensava che stesse per morire. Che rapporto ha lei con la morte?
«In questo io non sono agostiniano. Agostino diceva che ogni cristiano ragionevole deve aver paura della morte. Ma io non ho mai avuto paura fisica di morire, neanche ai tempi delle Br».
Prega spesso?
«Tre volte al giorno, con il libro di preghiere - lodi, vespri e compieta - altrimenti mi distraggo».
Lei è devoto anche al "dio" computer.
«Una fissazione: ho sette portatili».
Vedo che ha anche Sky.
«Sky, Fastweb, digitale terrestre e Alice. Sa quante linee telefoniche ho in casa? Dodici».
Cosa ci fa?
«Ho bisogno di tenere la situazione sotto controllo. Guardi: Quirinale, batteria centrale, batteria del presidente del Consiglio, un numero della rete di Palazzo Chigi, uno della rete del Viminale, uno del comando generale dell'Arma dei Carabinieri, uno della Guardia di Finanza...».
Peggio del Pentagono. Vero che ha otto cellulari?
«Di più! Dodici, nessuno dei quali acquistato. Ciascuno con la sua suoneria: l'inno dell'Unione Sovietica, l'Internazionale, " Deutschland, Deutschland ", l'inno della Marina britannica... Non ho avuto il coraggio di mettere l'inno del Partito nazionalsocialista. Glielo posso cantare?».
Se proprio ci tiene...
« Die Fahne hoch! Die Reihen fest geschlossen!/Sa marschiert mit mutig-festem Schritt/ Kameraden... . Ma non lo potevo mica cantare in casa. Mio padre mi avrebbe fatto volare dalla finestra».
Che rapporto aveva con lui?
«Se mi davano trenta all'Università, mio padre mi chiedeva: "Perché non hai preso la lode?". A casa mia non si dava il bacio della buonanotte».
Neanche sua madre glielo dava?
«Con lei avevo un rapporto molto buono, ma anche lei era una tosta».
Se pensa a lei da piccolo, qual è la prima immagine che le viene in mente?
«Vuole vedere qual è la donna che mi ha fatto cadere?». Francesco Cossiga è in vena di confidenze sentimentali. Ci riceve nel suo studio presidenziale a domicilio invaso di soldatini dell'Arma di ogni uniforme e grado, bandiere da tutto il mondo e portraits di lui con i grandi della Terra, seduto vicino al centralino che lo collega con i punti nevralgici dello Stato. Si fa quindi portare un vecchio album farcito di foto e lettere manoscritte sotto carta velina: è il book monografico del suo grande amore.
Che non è la moglie, della quale qui in casa Cossiga è proibito parlare da quando la Sacra Rota ha reso nullo il vincolo. Ma Erika, una ragazza austriaca per cui il Picconatore perse la testa sessant'anni fa. E che non ha mai dimenticato. «È bella o no?», domanda retorico mostrando la foto d'antan di una moretta tutta ricci in costume salisburghese con in mano un mazzolino di lillà. Inutile chiedergli di fartela pubblicare. «Per due anni sono andato a trovarla a Vienna e a Salisburgo senza dirle una parola», sospira. «Ore e ore vicini a recitare il rosario, fin quando un assistente degli universitari cattolici austriaci ci disse: "Ma voi due perché non vi sposate?"» E voi? «Zitti».
Lui riuscì a rompere il ghiaccio dopo anni, durante il Giubileo del 1950, al termine del lungo pellegrinaggio da Amsterdam a Roma: «Erika, ma tu sei fidanzata?». E lei: «No». «Ti fai suora?», osò lui. «Non ne ho la minima idea», ammiccò lei. A quel punto lui si fece più audace: «Bei cretini sono i tuoi compatrioti». Ma la cosa morì lì. Alla fine Erika (e c'è da capirla) trovò marito e figli altrove, tutti presenti nell'album fotografico, compresa lei oggi ultrasettantenne. «In questa casa non esiste una foto della madre dei miei figli», fa notare Cossiga. Strano. Come mai? «Non esiste», taglia corto, «io ho due figli legittimi, ma non si sa come siano nati. Per partenogenesi, forse...».
E allora parliamo degli altri amori.
«Io ne ho avuti quattro».
Il primo?
«Da ragazzino ero innamorato di Laura Siglienti Berlinguer, figlia di Stefano, il ministro delle Finanze del primo governo Bonomi. Il fratello di Laura, Sergio, che era stato mio compagno di scuola, divenne presidente di Ina e Assitalia».
Torniamo a Laura.
«Questa ragazzina aveva un sacco di corteggiatori e io venivo a Roma a trovarla. Lei poi si sposò, ora è vedova. Ma la cosa divertente è la lettera d'insulti che mi scrisse, perché aveva scoperto che io "frascheggiavo" con sua cugina a Sassari».
Il secondo amore?
«Paola: anche lei, come Laura, apparteneva a una delle più grandi famiglie sassaresi. Poi venne Luisa, alla quale, quando presi la libera docenza, dissi: "Ho deciso di sposarti". E sa cosa mi rispose?».
Cosa?
«"E io no", mi disse. Poi c'è stata Erika, appunto, che era presidente dell'Università delle cattoliche austriache. Siamo rimasti in contatto, anche dopo che si è sposata. Suo marito mi chiamava "eccellenza". Smettila, gli ho detto, conosco tua moglie da così tanti anni. Lui mi ha preso il braccio e mi ha detto: "Lo so, lo so"».
Non ne sta dimenticando una?
«Poi, certo, c'è la donna che ho sposato. Ma questa è meglio non nominarla, perché siccome il matrimonio è stato dichiarato nullo dalla Sacra Rota, i miei figli non gradiscono che se ne parli».
Come rimorchiava le ragazze?
«Veramente, venivo rimorchiato io».
Lei fu innamorato di Nilde Jotti?
«La voce che girava è che avessi un flirt con quella lì», dice indicando la foto di Margaret Thatcher.
E quale delle voci era fondata?
«Nessuna. Nilde mi voleva estremamente bene. Quando il Pci mi mise sotto accusa, prese Berlinguer e gliene disse quattro in mia difesa. E quando il Parlamento mi assolse, lei venne ad abbracciarmi».
Antonio Del Pennino tempo fa disse che lei si stava per sposare.
«Doveva essere Del Pennino in versione postwhisky. Nessuno fino ad allora mi aveva mai detto che non ho la testa sulle spalle».
Che male c'è a sposarsi a 80 anni?
«Nessuno, se si ha la vocazione a diventare cornuti».
Però lei ha una fissazione per il matrimonio. Ha cercato persino di far sposare Marco Pannella.
«Feci di tutto. Mi offrii persino di fargli da testimone. È un rapporto di amore e odio quello tra me e Pannella. Lui apprese della morte di sua madre mentre era nel mio studio e scoppiò a piangere tra le mie braccia».
Lei è stato anche al capezzale di Pannella quando si pensava che stesse per morire. Che rapporto ha lei con la morte?
«In questo io non sono agostiniano. Agostino diceva che ogni cristiano ragionevole deve aver paura della morte. Ma io non ho mai avuto paura fisica di morire, neanche ai tempi delle Br».
Prega spesso?
«Tre volte al giorno, con il libro di preghiere - lodi, vespri e compieta - altrimenti mi distraggo».
Lei è devoto anche al "dio" computer.
«Una fissazione: ho sette portatili».
Vedo che ha anche Sky.
«Sky, Fastweb, digitale terrestre e Alice. Sa quante linee telefoniche ho in casa? Dodici».
Cosa ci fa?
«Ho bisogno di tenere la situazione sotto controllo. Guardi: Quirinale, batteria centrale, batteria del presidente del Consiglio, un numero della rete di Palazzo Chigi, uno della rete del Viminale, uno del comando generale dell'Arma dei Carabinieri, uno della Guardia di Finanza...».
Peggio del Pentagono. Vero che ha otto cellulari?
«Di più! Dodici, nessuno dei quali acquistato. Ciascuno con la sua suoneria: l'inno dell'Unione Sovietica, l'Internazionale, " Deutschland, Deutschland ", l'inno della Marina britannica... Non ho avuto il coraggio di mettere l'inno del Partito nazionalsocialista. Glielo posso cantare?».
Se proprio ci tiene...
« Die Fahne hoch! Die Reihen fest geschlossen!/Sa marschiert mit mutig-festem Schritt/ Kameraden... . Ma non lo potevo mica cantare in casa. Mio padre mi avrebbe fatto volare dalla finestra».
Che rapporto aveva con lui?
«Se mi davano trenta all'Università, mio padre mi chiedeva: "Perché non hai preso la lode?". A casa mia non si dava il bacio della buonanotte».
Neanche sua madre glielo dava?
«Con lei avevo un rapporto molto buono, ma anche lei era una tosta».
Se pensa a lei da piccolo, qual è la prima immagine che le viene in mente?
«Questa». Prende la foto incorniciata della sua classe in prima elementare a Sassari: «Qui c'è un ex presidente della Repubblica (io) e un ex segretario del Pci (Enrico Berlinguer), mio cugino. Era la scuola dei figli degli antifascisti».
Che ricordo ha della guerra?
«Quando suonava l'allarme, mi divertiva moltissimo. Una volta, avevo 16 anni, venne a casa un ufficiale della Luftwaffe a chiedere a mio padre se mi permetteva di fargli da interprete, perché io ho due rami della famiglia tedeschi».
Lei è stato un enfant prodige : il più giovane presidente della Repubblica, sottosegretario alla Difesa, ministro dell'Interno, presidente del Senato...
«Vuole sapere l'origine di tutto qual è?».
Magari.
«Una caduta dalla bicicletta. Ho perduto due mesi di scuola, e siccome mi sono dovuto ritirare per recuperare, studiando ho saltato le classi arrivando a prendere la licenza liceale a 16 anni e la laurea a 19 e mezzo. E questa cosa mi è rimasta. Ma non è che ne vado fiero: non me ne può fregà di meno».
Dove ha fatto il militare?
«In marina. E sono arrivato a capitano di fregata. E sa con quale specialità?».
Non ho idea.
«Indovini. Una persona come me...».
Mi arrendo.
«Commandos. Se vuole, posso far saltare quella porta con il plastico».
Ha mai sparato in vita sua?
«Molte volte».
Ha ucciso?
«Mai. Però ho una collezione di dodici pistole».
Lei è il Picconatore per antonomasia. Qual è la picconata più sonora che ha ricevuto?
«L'attacco del gruppo Repubblica-l'Espresso. L'obiettivo eravamo Craxi, Andreotti e io».
Martedì ha festeggiato cinquant'anni di vita parlamentare. Non sarà ora di andare in pensione?
«Ma come faccio? Non me ne accorgo del tempo che passa. Io so parlare, so scrivere, sono pure diventato giornalista».
Mai avuto il dubbio di aver sbagliato mestiere?
«Sì. Avrei voluto fare il professore universitario. Lo dicevo l'altro ieri a Giuliano Amato. A me piaceva insegnare, perché è un modo di imparare».
Il Picconatore sarà stato un prof da incubo...
«No, ero buono, soprattutto con alcune allieve innamorate di me che mi portavano le caramelle».
Cercavano di corromperla.
Risata. «Una, il padre voleva farmela sposare».
Per i 50 anni di attività parlamentare non ha ricevuto alcun messaggio di auguri né da Giorgio Napolitano, né da Walter Veltroni, né da Massimo D'Alema. C'è rimasto male?
«Assolutamente no, mi meraviglierei se non mi mandassero gli auguri quando compirò 80 anni, il 26 luglio. Inviare un messaggio per i 50 anni di Parlamento, specie dopo quello che ho detto al Senato il giorno della fiducia al governo Berlusconi, significherebbe approvare il mio discorso, ma anche tutto ciò che ho fatto. Questo non lo posso chiedere neanche a persone amiche, come il presidente della Repubblica e Massimo D'Alema».
Quali sono stati per lei gli anni peggiori?
«Quelli al ministero dell'Interno, per il prezzo che ha dovuto pagare la mia famiglia. E poi per le difficili decisioni che ho dovuto prendere. Fisicamente l'esperienza più pesante è stata la presidenza del Consiglio».
La carica più divertente?
«Il presidente del Senato: è un maestro di scuola. Guai se uno si dimostra debole con la scolaresca. La prima settimana, senza motivo, ho preso uno del Msi e l'ho espulso dall'aula».
Dei suoi successori, quale è stato il migliore e quale il peggior presidente del Senato?
«Il peggiore non glielo dirò mai. Il migliore, Giovanni Spadolini».
Com'è abitare al Quirinale?
«Mai vissuto al Quirinale. Quando arrivai lì, dopo il giuramento, venne l'intendente di palazzo e mi chiese in quale degli appartamenti volessi abitare. Gli risposi: "In via Ennio Quirino Visconti 77", la mia abitazione».
Perché non si volle trasferire al Quirinale?
«Perché sarebbe stato diseducativo per i figli. La prima volta che ho chiesto un bicchiere d'acqua è venuto lo staffiere con i guanti bianchi e un vassoio d'argento, dove dentro c'era un piattino di ceramica, un altro d'argento e poi un bicchiere d'acqua. Le volte che ho mangiato da solo al Quirinale, sa da quante persone ero assistito?».
Mai pranzato al Colle.
«Quattro».
Come si mangia al Quirinale?
«Così e così. Allora il Quirinale doveva essere in grado di preparare un pasto per venti persone con due ore d'anticipo anche se c'ero solo io. Chiedevo agli inservienti: "Scusate, ma voi con tutta questa roba che ci fate?". E loro: "Ce la mangiamo noi con le scorte"».
Gli anni migliori della sua vita istituzionale?
«Quando ho fatto il deputato. Conoscevo tutti i trucchi dell'aula. Benché fossi alla mia prima legislatura - avevo 29 anni - Giovanni Leone mi chiamò a far parte della Giunta per il regolamento e divenni l'esperto del regolamento parlamentare della Dc».
Qual è l'impresa politica di cui va più fiero?
«Nessuna. Quando mi dicono che sono stato un uomo di governo e di Stato, mi faccio una risata. I veri uomini di Stato in Italia sono stati Cavour, Giolitti, Mussolini e De Gasperi».
Oggi nessuno?
Allarga le braccia, mentre Stefano Rolando, capo del dipartimento Informazione della presidenza del Consiglio quando Cossiga era al Colle, che ha assistito all'intervista, suggerisce: «Quello là», indicando una cornice con il leader del Psi. «Craxi è stato, con Andreotti, il più grande uomo di governo», dice Cossiga, «e sarebbe diventato un uomo di Stato se non fosse stato bizzoso. Ma è una delle persone cui sono stato più affezionato».
Il peso più grande che porta sulla coscienza?
«La morte di Aldo Moro. Dover tenere la linea della fermezza sapendo come sarebbe andata a finire, mentre gli altri ancora si illudevano...».
Lei sapeva che lo avrebbero ucciso?
«A meno che non si fosse verificato il miracolo di un suo ritrovamento, sapevo che lo avrebbero ucciso. Lei sa che io conosco personalmente tutti quelli che hanno rapito e ucciso Moro?».
Ha voluto incontrarli lei.
«Sì. E se lei li avvicina senza sapere chi siano, non può credere che abbiano fatto una cosa simile. Infatti, questo è il dilemma a cui non riesco a trovare risposta: perché l'hanno fatto? Se oggi dovessi dare i miei denari in custodia, li darei a uno di loro. Con l'aria che tira, se dovessi far accompagnare una mia nipotina, la affiderei ai brigatisti».
Perché proprio a loro?
«Perché è gente di una moralità rigorosissima».
Come ha cambiato la sua vita l'omicidio Moro?
«Prima di tutto i capelli: in un anno sono diventati tutti bianchi. E la pelle mi si è riempita di macchie. Poi la depressione. Per un anno, tutte le notti mi svegliavo gridando: "Ho ammazzato Moro"».
Ancora oggi si sente l'assassino di Moro?
«Oggettivamente, sì. Poi ci pensa la famiglia di Moro a ricordarmelo».
Qual è il peggior politico della Terza Repubblica?
«Antonio Di Pietro».
Il migliore?
«Il miglior premier è stato Giuliano Amato».
Il miglior leader?
«Berlusconi. E sa chi mi ha convinto di ciò? Massimo D'Alema. È stato lui a farmi notare che un uomo che, pur non essendosi mai occupato di politica, riesce in sei mesi a mettere su un movimento che vince le elezioni e a rimanere in sella, dev'essere per forza un grande leader. Adesso il ragazzo si è scafato un po'».
E migliorato?
«Moltissimo. Ma il miglior leader dall'altra parte sa chi è?».
Faccia indovinare: D'Alema?
«Certamente. A chi non lo conosce, riesce antipaticissimo».
Anche perché lui fa di tutto per apparire tale.
«E invece è una persona amabilissima».
Lei non è lucido quando parla di "Baffino", lo ammetta.
«Sì, e le dirò il perché. A D'Alema, che tutti pensano sia affezionato solo alla moglie e ai figli, quando mi vede gli si inumidiscono gli occhi».
Le piacciono le donne del governo Berlusconi?
«Dal punto di vista estetico sono notevoli. Chi mi è molto affezionata è Stefania Prestigiacomo, che non è bella ma bellissima».
Ai tedeschi piace di più Mara Carfagna.
«È molto carina e molto intelligente. L'ha mandata qui a presentarsi il Cavaliere e lei tremava come una foglia».
La più brava?
«Maria Stella Gelmini».
I ministri migliori?
«Tre, tutti socialisti: Giulio Tremonti, Maurizio Sacconi e Franco Frattini, un grande campione di sci a cui voglio molto bene».
L'ultima volta che ha visto Berlusconi, che consiglio gli ha dato qualche consiglio? «Non accetta consigli. Sa, a un ragazzo che fa il cantante e il pianista sulle navi da crociera per pagarsi l'Università e che, figlio di un impiegato di banca, riesce a fare quel che ha fatto lui, che consiglio vuoi dargli? Dia lui qualche consiglio a me».
Com'è con lei il Cavaliere?
«A quattr'occhi è di una gentilezza imbarazzante. D'Alema mi ha confessato che aveva timore ad incontrarlo, perché è di una tale cortesia...».
Che temeva di esserne irretito?
«Gliel'ho detto: Massimo non ha quella freddezza e quel cinismo che gli attribuiscono».
Ma lei che rapporto ha con il Cavaliere?
«Io lo conosco dal 1974, non l'ho mai votato. Quando è diventato presidente del Consiglio l'ho invitato da me e gli ho detto: "Bene, adesso puoi darmi del tu"».
E lui?
«Mi ha risposto: "Ma come faccio". Gli ho consigliato: "La mattina, quando ti fai la barba, ti guardi allo specchio e dici: caro Francesco"».
Non le ha rinfacciato di non averlo votato neanche questa volta?
«No. Due giorni dopo essere stato rieletto, si è autoinvitato a cena qui da me e ha portato il mitico gelato del suo cuoco Michele, che lui mangia in quantità industriale».
Le dispiace che Berlusconi abbia lasciato a bocca asciutta il suo amico Beppe Pisanu?
«Non me ne parli». Però ha fatto suo figlio sottosegretario alla Difesa. «Quello che le posso dire è che con la nomina di mio figlio io non c'entro nulla, anche perché Giuseppe ha detto che io sono comunista».
È vero?
«No. Io sono un liberal riformista».
Nelle più triviali categorie di destra e sinistra, lei dove si colloca?
«A sinistra».
Per questo ha votato Veltroni?
«Io non ho votato Veltroni, ho votato il Pd».
Sta dicendo che Veltroni non è il leader del Pd?
«Formalmente è lui».
In realtà chi è il leader, D'Alema?
«Lui è il capo del governo ombra. Ma Veltroni è molto più furbo di D'Alema. Lei lo sa chi è il più grande ammiratore di Massimo?».
Lei.
«No: Berlusconi».
Gliel'ha confidato lui?
«Si fidi».
Quindi i due si amano segretamente.
«Hanno provato ad amarsi pubblicamente nella Bicamerale e male ha fatto Silvio a farla saltare».
Dev'essere stato un grande sacrificio per uno "di sinistra" come lei dare un figlio a Fi.
«Ma mia figlia Anna è una non militante, cattolica di sinistra, aperta simpatizzante del Pd e di D'Alema».
Quindi è più fiero di sua figlia?
«In casa mia c'è democrazia. Cerco di non far parlare di politica mio figlio e mia figlia sennò arrivano alle mani».
Pensa di essere stato un buon padre?
«Ho trascurato i miei figli. Quando sono stato con loro ho dato il meglio di me, ma so di non essere stato un buon padre: costringere dei ragazzi di 15-16 anni a girare con la scorta...».
Li ha mai picchiati?
«Mio figlio più volte. E sa cosa mi rispondeva? "Tanto non mi hai fatto male". Mia figlia, una sola volta e mi ha ringraziato tutta la vita».
Lei ha avuto vari soprannomi: picconatore, Kossiga, Cossino Assassiga... A quale è più affezionato?
«Kossiga Boia, col "k" e le "ss" runiche. L'ho visto scritto sul Muro di Berlino dalla parte democratica. Ho conosciuto il ragazzo che l'ha inventato, è diventato un grandissimo pubblicitario».
Lei è uno dei pochissimi che conoscono tutti i segreti d'Italia. Li svelerà prima o poi?
«Non ce ne sono più. L'ultimo era Gladio. L'Italia non è un Paese che sa mantenere segreti».
Dagospia 04 Giugno 2008
Che ricordo ha della guerra?
«Quando suonava l'allarme, mi divertiva moltissimo. Una volta, avevo 16 anni, venne a casa un ufficiale della Luftwaffe a chiedere a mio padre se mi permetteva di fargli da interprete, perché io ho due rami della famiglia tedeschi».
Lei è stato un enfant prodige : il più giovane presidente della Repubblica, sottosegretario alla Difesa, ministro dell'Interno, presidente del Senato...
«Vuole sapere l'origine di tutto qual è?».
Magari.
«Una caduta dalla bicicletta. Ho perduto due mesi di scuola, e siccome mi sono dovuto ritirare per recuperare, studiando ho saltato le classi arrivando a prendere la licenza liceale a 16 anni e la laurea a 19 e mezzo. E questa cosa mi è rimasta. Ma non è che ne vado fiero: non me ne può fregà di meno».
Dove ha fatto il militare?
«In marina. E sono arrivato a capitano di fregata. E sa con quale specialità?».
Non ho idea.
«Indovini. Una persona come me...».
Mi arrendo.
«Commandos. Se vuole, posso far saltare quella porta con il plastico».
Ha mai sparato in vita sua?
«Molte volte».
Ha ucciso?
«Mai. Però ho una collezione di dodici pistole».
Lei è il Picconatore per antonomasia. Qual è la picconata più sonora che ha ricevuto?
«L'attacco del gruppo Repubblica-l'Espresso. L'obiettivo eravamo Craxi, Andreotti e io».
Martedì ha festeggiato cinquant'anni di vita parlamentare. Non sarà ora di andare in pensione?
«Ma come faccio? Non me ne accorgo del tempo che passa. Io so parlare, so scrivere, sono pure diventato giornalista».
Mai avuto il dubbio di aver sbagliato mestiere?
«Sì. Avrei voluto fare il professore universitario. Lo dicevo l'altro ieri a Giuliano Amato. A me piaceva insegnare, perché è un modo di imparare».
Il Picconatore sarà stato un prof da incubo...
«No, ero buono, soprattutto con alcune allieve innamorate di me che mi portavano le caramelle».
Cercavano di corromperla.
Risata. «Una, il padre voleva farmela sposare».
Per i 50 anni di attività parlamentare non ha ricevuto alcun messaggio di auguri né da Giorgio Napolitano, né da Walter Veltroni, né da Massimo D'Alema. C'è rimasto male?
«Assolutamente no, mi meraviglierei se non mi mandassero gli auguri quando compirò 80 anni, il 26 luglio. Inviare un messaggio per i 50 anni di Parlamento, specie dopo quello che ho detto al Senato il giorno della fiducia al governo Berlusconi, significherebbe approvare il mio discorso, ma anche tutto ciò che ho fatto. Questo non lo posso chiedere neanche a persone amiche, come il presidente della Repubblica e Massimo D'Alema».
Quali sono stati per lei gli anni peggiori?
«Quelli al ministero dell'Interno, per il prezzo che ha dovuto pagare la mia famiglia. E poi per le difficili decisioni che ho dovuto prendere. Fisicamente l'esperienza più pesante è stata la presidenza del Consiglio».
La carica più divertente?
«Il presidente del Senato: è un maestro di scuola. Guai se uno si dimostra debole con la scolaresca. La prima settimana, senza motivo, ho preso uno del Msi e l'ho espulso dall'aula».
Dei suoi successori, quale è stato il migliore e quale il peggior presidente del Senato?
«Il peggiore non glielo dirò mai. Il migliore, Giovanni Spadolini».
Com'è abitare al Quirinale?
«Mai vissuto al Quirinale. Quando arrivai lì, dopo il giuramento, venne l'intendente di palazzo e mi chiese in quale degli appartamenti volessi abitare. Gli risposi: "In via Ennio Quirino Visconti 77", la mia abitazione».
Perché non si volle trasferire al Quirinale?
«Perché sarebbe stato diseducativo per i figli. La prima volta che ho chiesto un bicchiere d'acqua è venuto lo staffiere con i guanti bianchi e un vassoio d'argento, dove dentro c'era un piattino di ceramica, un altro d'argento e poi un bicchiere d'acqua. Le volte che ho mangiato da solo al Quirinale, sa da quante persone ero assistito?».
Mai pranzato al Colle.
«Quattro».
Come si mangia al Quirinale?
«Così e così. Allora il Quirinale doveva essere in grado di preparare un pasto per venti persone con due ore d'anticipo anche se c'ero solo io. Chiedevo agli inservienti: "Scusate, ma voi con tutta questa roba che ci fate?". E loro: "Ce la mangiamo noi con le scorte"».
Gli anni migliori della sua vita istituzionale?
«Quando ho fatto il deputato. Conoscevo tutti i trucchi dell'aula. Benché fossi alla mia prima legislatura - avevo 29 anni - Giovanni Leone mi chiamò a far parte della Giunta per il regolamento e divenni l'esperto del regolamento parlamentare della Dc».
Qual è l'impresa politica di cui va più fiero?
«Nessuna. Quando mi dicono che sono stato un uomo di governo e di Stato, mi faccio una risata. I veri uomini di Stato in Italia sono stati Cavour, Giolitti, Mussolini e De Gasperi».
Oggi nessuno?
Allarga le braccia, mentre Stefano Rolando, capo del dipartimento Informazione della presidenza del Consiglio quando Cossiga era al Colle, che ha assistito all'intervista, suggerisce: «Quello là», indicando una cornice con il leader del Psi. «Craxi è stato, con Andreotti, il più grande uomo di governo», dice Cossiga, «e sarebbe diventato un uomo di Stato se non fosse stato bizzoso. Ma è una delle persone cui sono stato più affezionato».
Il peso più grande che porta sulla coscienza?
«La morte di Aldo Moro. Dover tenere la linea della fermezza sapendo come sarebbe andata a finire, mentre gli altri ancora si illudevano...».
Lei sapeva che lo avrebbero ucciso?
«A meno che non si fosse verificato il miracolo di un suo ritrovamento, sapevo che lo avrebbero ucciso. Lei sa che io conosco personalmente tutti quelli che hanno rapito e ucciso Moro?».
Ha voluto incontrarli lei.
«Sì. E se lei li avvicina senza sapere chi siano, non può credere che abbiano fatto una cosa simile. Infatti, questo è il dilemma a cui non riesco a trovare risposta: perché l'hanno fatto? Se oggi dovessi dare i miei denari in custodia, li darei a uno di loro. Con l'aria che tira, se dovessi far accompagnare una mia nipotina, la affiderei ai brigatisti».
Perché proprio a loro?
«Perché è gente di una moralità rigorosissima».
Come ha cambiato la sua vita l'omicidio Moro?
«Prima di tutto i capelli: in un anno sono diventati tutti bianchi. E la pelle mi si è riempita di macchie. Poi la depressione. Per un anno, tutte le notti mi svegliavo gridando: "Ho ammazzato Moro"».
Ancora oggi si sente l'assassino di Moro?
«Oggettivamente, sì. Poi ci pensa la famiglia di Moro a ricordarmelo».
Qual è il peggior politico della Terza Repubblica?
«Antonio Di Pietro».
Il migliore?
«Il miglior premier è stato Giuliano Amato».
Il miglior leader?
«Berlusconi. E sa chi mi ha convinto di ciò? Massimo D'Alema. È stato lui a farmi notare che un uomo che, pur non essendosi mai occupato di politica, riesce in sei mesi a mettere su un movimento che vince le elezioni e a rimanere in sella, dev'essere per forza un grande leader. Adesso il ragazzo si è scafato un po'».
E migliorato?
«Moltissimo. Ma il miglior leader dall'altra parte sa chi è?».
Faccia indovinare: D'Alema?
«Certamente. A chi non lo conosce, riesce antipaticissimo».
Anche perché lui fa di tutto per apparire tale.
«E invece è una persona amabilissima».
Lei non è lucido quando parla di "Baffino", lo ammetta.
«Sì, e le dirò il perché. A D'Alema, che tutti pensano sia affezionato solo alla moglie e ai figli, quando mi vede gli si inumidiscono gli occhi».
Le piacciono le donne del governo Berlusconi?
«Dal punto di vista estetico sono notevoli. Chi mi è molto affezionata è Stefania Prestigiacomo, che non è bella ma bellissima».
Ai tedeschi piace di più Mara Carfagna.
«È molto carina e molto intelligente. L'ha mandata qui a presentarsi il Cavaliere e lei tremava come una foglia».
La più brava?
«Maria Stella Gelmini».
I ministri migliori?
«Tre, tutti socialisti: Giulio Tremonti, Maurizio Sacconi e Franco Frattini, un grande campione di sci a cui voglio molto bene».
L'ultima volta che ha visto Berlusconi, che consiglio gli ha dato qualche consiglio? «Non accetta consigli. Sa, a un ragazzo che fa il cantante e il pianista sulle navi da crociera per pagarsi l'Università e che, figlio di un impiegato di banca, riesce a fare quel che ha fatto lui, che consiglio vuoi dargli? Dia lui qualche consiglio a me».
Com'è con lei il Cavaliere?
«A quattr'occhi è di una gentilezza imbarazzante. D'Alema mi ha confessato che aveva timore ad incontrarlo, perché è di una tale cortesia...».
Che temeva di esserne irretito?
«Gliel'ho detto: Massimo non ha quella freddezza e quel cinismo che gli attribuiscono».
Ma lei che rapporto ha con il Cavaliere?
«Io lo conosco dal 1974, non l'ho mai votato. Quando è diventato presidente del Consiglio l'ho invitato da me e gli ho detto: "Bene, adesso puoi darmi del tu"».
E lui?
«Mi ha risposto: "Ma come faccio". Gli ho consigliato: "La mattina, quando ti fai la barba, ti guardi allo specchio e dici: caro Francesco"».
Non le ha rinfacciato di non averlo votato neanche questa volta?
«No. Due giorni dopo essere stato rieletto, si è autoinvitato a cena qui da me e ha portato il mitico gelato del suo cuoco Michele, che lui mangia in quantità industriale».
Le dispiace che Berlusconi abbia lasciato a bocca asciutta il suo amico Beppe Pisanu?
«Non me ne parli». Però ha fatto suo figlio sottosegretario alla Difesa. «Quello che le posso dire è che con la nomina di mio figlio io non c'entro nulla, anche perché Giuseppe ha detto che io sono comunista».
È vero?
«No. Io sono un liberal riformista».
Nelle più triviali categorie di destra e sinistra, lei dove si colloca?
«A sinistra».
Per questo ha votato Veltroni?
«Io non ho votato Veltroni, ho votato il Pd».
Sta dicendo che Veltroni non è il leader del Pd?
«Formalmente è lui».
In realtà chi è il leader, D'Alema?
«Lui è il capo del governo ombra. Ma Veltroni è molto più furbo di D'Alema. Lei lo sa chi è il più grande ammiratore di Massimo?».
Lei.
«No: Berlusconi».
Gliel'ha confidato lui?
«Si fidi».
Quindi i due si amano segretamente.
«Hanno provato ad amarsi pubblicamente nella Bicamerale e male ha fatto Silvio a farla saltare».
Dev'essere stato un grande sacrificio per uno "di sinistra" come lei dare un figlio a Fi.
«Ma mia figlia Anna è una non militante, cattolica di sinistra, aperta simpatizzante del Pd e di D'Alema».
Quindi è più fiero di sua figlia?
«In casa mia c'è democrazia. Cerco di non far parlare di politica mio figlio e mia figlia sennò arrivano alle mani».
Pensa di essere stato un buon padre?
«Ho trascurato i miei figli. Quando sono stato con loro ho dato il meglio di me, ma so di non essere stato un buon padre: costringere dei ragazzi di 15-16 anni a girare con la scorta...».
Li ha mai picchiati?
«Mio figlio più volte. E sa cosa mi rispondeva? "Tanto non mi hai fatto male". Mia figlia, una sola volta e mi ha ringraziato tutta la vita».
Lei ha avuto vari soprannomi: picconatore, Kossiga, Cossino Assassiga... A quale è più affezionato?
«Kossiga Boia, col "k" e le "ss" runiche. L'ho visto scritto sul Muro di Berlino dalla parte democratica. Ho conosciuto il ragazzo che l'ha inventato, è diventato un grandissimo pubblicitario».
Lei è uno dei pochissimi che conoscono tutti i segreti d'Italia. Li svelerà prima o poi?
«Non ce ne sono più. L'ultimo era Gladio. L'Italia non è un Paese che sa mantenere segreti».
Dagospia 04 Giugno 2008