VISCO, MORSI DI DRACULA - VELTRONI HA PERSO LE ELEZIONI "RIMUOVENDO" IL GOVERNO PRODI - IL LEADER DEL PD? È LUI, PER ORA - SE MI FOSSI VOLUTO RICANDIDARE, NON POTEVANO IMPEDIRMELO - FACCIO PILATES.

Barbara Romano per "Libero"

Ma quale sangue. "Dracula" è ghiotto di cioccolatini. Gianduiotti, praline, fondenti, al latte, alla nocciola, al caffè... Uno tira l'altro per tutta l'intervista, che avviene nella sua tana, il Nens (l'associazione Nuova economia nuova società fondata con Pier Luigi Bersani), al cospetto di ben due angeli custodi pronti a far scattare l'obiezione quando la domanda si fa insidiosa.

Lui, però, è molto più mansueto dei suoi "rottweiler" e insolitamente incline ad aprirsi. Scopriamo così che "Dracula" è un tipo simpatico, sorridente, autoironico, dal sarcasmo facile come ogni dalemiano, belloccio da giovane ma un po' sfigato con le ragazze, romanista sfegatato. E fa pure pilates, la ginnastica per i muscoli posturali che va tanto di moda adesso.

Lei ci fa o ci è?
«Io sono una persona timida, quindi sembro scontroso. Non ho il carattere ottimista di uno sempre contento che dove lo metti sta e ride. Per chi fa politica è un difetto, perché significa comunicare male. Se uno sembra antipatico ma non lo è, fa la fine di Hillary Clinton. Io amo divertirmi, scherzare e non di rado sono anche spiritoso. Però sono una persona seria, non sono un politico di professione».

Sta dicendo che i politici non sono persone serie?
«Quello che voglio dire è che non sono uno che cerca il consenso. Io penso che la politica sia leadership, e se uno la riduce a mediazione sbaglia e non fa l'interesse del Paese. Poi, io mi sono occupato dell'aspetto più impopolare nel rapporto tra politica e cittadini, che è quello del prelievo obbligatorio delle tasse in situazioni di stress finanziario. Ho dovuto fare due volte il risanamento».

Ogni volta riducendo in mutande gli italiani. Questo le ha procurato epiteti non proprio edificanti.
«Ma noi le tasse le abbiamo ridotte e il gettito è aumentato. Comunque questo è un mestieraccio, ti condanna a fare sempre la parte del cattivo».

Visco detto "carta vetrata".
«Perché non liscio la gente per il verso del pelo. Ma l'epiteto più ricorrente è "Dracula"».

Infatti: «Dare le Finanze a Visco è come dare l'Avis a Dracula». Tremonti dixit.
«Sono rimasto molto sorpreso quando l'ha detto. Fino agli anni Novanta, quando per la prima volta divenni ministro delle Finanze, ero un economista liberale di sinistra, senza rigidismi di sorta. Dopodiché, fu costruito il mostro a tavolino. Con un'operazione mediatica micidiale, io divenni il nemico numero uno».

Come mai tutto questo "amore" con Tremonti?
«Ci siamo conosciuti quando avevamo trent'anni, siamo stati anche amici».

Visco e Tremonti amici?
«Certo».

Nel senso che andavate a cena e in vacanza insieme?
«Siamo stati spessissimo a cena assieme, anche al bar e in birreria. Lavoravamo tutti e due con Franco Reviglio quando era ministro delle Finanze».

E poi che è successo?
«Lui ha incominciato ad attaccarmi. A un certo punto sembrava che vivesse solo per entrare in polemica con me».

Secondo lei, perché?
«È una questione di carattere».

Che giudizio ha di Tremonti?
«Persona notevole, colta, intelligente, adeguata tecnicamente. Quando ci frequentavamo andavamo pure d'accordo sul piano politico, perché eravamo tutti e due di sinistra».

Lo considera un bravo ministro dell'Economia?
«Aspetto di vedere la sua nuova reincarnazione».

Lei ha l'aria di sentirsi molto a suo agio nei panni di Dracula.
«Non mi piace per niente. Mi sarebbe piaciuto essere ricordato come uno che teneva alla giustizia e alla legalità».

Invece, grazie a lei, il governo Prodi sarà ricordato come quello che ha tassato di più gli italiani.
«Questa è l'immagine che avete dato voi. Noi le tasse le abbiamo ridotte. E il mio sogno era ridurle ulteriormente e farne pagare di più agli evasori».

E da bambino cosa sognava?
«Di diventare una persona importante. La politica è sempre stata fondamentale a casa mia. Mio padre, che si chiamava Sabato, co-fondò il Partito d'azione, fece la resistenza, collaborò con alcuni ministri nel dopoguerra. Era repubblicano».

E sua madre?
«Mia madre Egeria era una bravissima ed energica professoressa di lettere».

Fratelli o sorelle?
«Due sorelle».

Che rapporto aveva con loro?
«Litigavo con la maggiore e andavo d'accordo con la minore».

Doveva essere il cocco di mamma.
«Mica tanto. Le donne in casa mia sono sempre state considerate molto protette ed ero io quello che doveva andare a comprare il latte e a fare tutte le commissioni».

A cosa giocava?
«Agli indiani, alla guerra, con i soldatini, anche a pallone».

In che ruolo?
«In porta o in difesa. Oggi mi limito a tifare per la Roma. Ho giocato anche a pallacanestro ed ero pure bravino, solo che ero basso».

Lei è nato a Foggia, il 18 marzo del 1942.
«Per caso. A due anni venni a Roma. Mio padre era in guerra, dopo l'8 settembre viveva in clandestinità. Con mia madre, io e mia sorella maggiore, sfollammo ad Avellino. E rimanemmo lì fin quando si scoprì che mio padre era ancora vivo».

Cosa ricorda della sua infanzia romana?
«Mi mandarono all'asilo a quattro anni e c'erano quelle maledette monache che, mentre gli altri bambini giocavano, a me insegnavano a leggere e a scrivere, perché sembravo il più sveglio».

Un secchione coatto.
«Io sono stato il primo della classe fino alla terza media. Poi, al liceo classico, cercavo di raggiungere il massimo risultato con il minimo studio. A quell'età pensavo a divertirmi».

Che musica ascoltava a 18 anni?
«Rock 'n roll e i Beatles. Allora si ballava in casa: lenti, non lenti, il ballo della mattonella...».

Un timido come lei sarà stato un disastro con le ragazze.
«Di solito ci pensavano loro, almeno fino a quando avevo 17 anni».

Ricorda la prima fidanzata?
«Era una compagna dell'università. Al liceo erano stati più dei tentativi andati a vuoto. Erano tempi di costumi molto morigerati. E c'erano alcuni molto più bravi di me nel rimorchiare le ragazze».

Quando ha conosciuto sua moglie?
«All'università. Dopo tre anni ci siamo sposati. Nel frattempo ero andato a studiare all'estero».



Quando nasce la passione per le tasse?
«La mia specializzazione era la finanza pubblica. Il mio maestro era Cesare Cosciani, il massimo esperto di politica fiscale del dopoguerra. Nessuno dei suoi allievi si occupava di tassazione. Cominciai io, con il tema della redistribuzione del reddito. Da lì alle tasse il passo è breve».

Come mai le piacciono tanto?
«No, quello è Padoa-Schioppa. Dato che le tasse ci devono essere, il mio scopo è sempre stato di fare in modo che siano fatte bene. Il mio è un interesse professionale, non estetico, né passionale».

Come sono i suoi rapporti con Padoa Schioppa?
«Siamo amici di famiglia da trent'anni. Io non avevo nessuna intenzione di entrare nel governo. Accettai perché tutti mi dicevano che ero l'unico in grado di occuparmi di Finanze. Quindi sono entrato come viceministro, che non era il massimo per uno che ha fatto il ministro del Tesoro».

E perché ha accettato?
«Perché avevo una delega chiarissima con cui godevo di tutti i poteri del ministro delle Finanze e non c'erano interferenze di sorta».

A via XX Settembre raccontano che ci furono scontri con Padoa sulla riforma del regolamento ministeriale, perché lei rivendicava più poteri alle Finanze.
«Ci fu un tentativo del Tesoro di prendersi dei pezzi di competenza delle Finanze, ma io mi opposi e non se ne fece nulla».

A lei non è mai capitato di eludere una tassa, neanche per sbaglio?
«Qualche errore l'ho fatto anch'io, mi è capitato di sbagliare qualche calcolo e poi sono stato multato, una quindicina di anni fa, quando facevo ancora la dichiarazione dei redditi da solo. Ma poca roba, io non ho mai avuto grandi redditi».

È stato lei o no a far pubblicare on line i 730 degli italiani?
«L'iniziativa è partita dall'amministrazione, che è tenuta a rendere pubblici i redditi per legge. Quando ne fui informato, chiesi se c'erano problemi di privacy e mi assicurarono di no».

Se è così favorevole alla trasparenza, perché denunciò i finanzieri che analizzarono i dati delle dichiarazioni dei redditi di Prodi e consorte?
«Perché lì ci fu una violazione dell'anagrafe tributaria».

Il Cocer della Gdf l'ha accusata di usare due pesi e due misure.
«I redditi di Prodi e della moglie sono visibili on line . Ed era stato lui stesso a voler rendere pubblici gli accessi alle sue posizioni. Ma in quel caso si trattava di indagini più invasive, su compravendite e proprietà, fatte ad hoc su un uomo politico, e questo è vietato. La legge autorizza solo la pubblicazione del reddito. Inoltre c'era il reato dei funzionari, che sono tenuti al segreto».

La mossa di mettere i redditi on line è sembrata l'ultimo colpo di coda del governo Prodi contro chi aveva punito il centrosinistra alle urne, cioè gli elettori, e contro chi lo aveva rimosso in campagna elettorale, cioè Veltroni.
«Sulla pubblicazione di quei dati c'era un obbligo di legge. E da Veltroni non ho avuto nessuna reazione».

Su lei e sul governo Prodi si è abbattuta la damnatio memoriae del Pd. È la prima volta che il vertice di un governo viene rimosso in toto: né lei, né il premier, né il ministro dell'Economia siete stati candidati.
«Se io avessi voluto essere messo in lista, sarebbe stato difficile non ricandidarmi. Non l'ho fatto per scelta».

Sua o altrui?
«Mia. Ma certo, era abbastanza evidente che c'era imbarazzo da parte di Veltroni nei confronti di una strategia politica che si era interrotta bruscamente senza produrre i frutti sperati. E probabilmente nel Pd c'era una diffusa opinione negativa sull'operato del governo Prodi. La situazione era schizofrenica: tutti erano contenti che ci fossero gli extragettiti, ma li avrebbero voluti senza far pagare tasse. Veltroni, però, ha sempre difeso la lotta all'evasione e tutte le sue dichiarazioni pubbliche e private sono state di apprezzamento per la nostra politica fiscale».

Però vi ha nascosto in campagna elettorale come se si vergognasse di voi.
«Sì, è vero, e penso sia stato un errore politico, perché se uno ha un governo e non lo difende è più facile che perda. Se uno va in campagna elettorale e dice che il suo premier ha sbagliato tutto, non è che rafforzi la sua posizione. Secondo me, è stato anche per questo che ha perso le elezioni».

E lei non ritiene di avere alcuna responsabilità nella sconfitta del Pd?
«No, io ritengo di aver fatto il risanamento e di aver tenuto il governo in piedi da solo per due anni. Senza i miei extragettiti non si andava da nessuna parte».

Non è un caso, però, che l'ex comandante della Gdf, Roberto Speciale, considerato da molti la sua "vittima sacrificale", abbia fatto guadagnare tre parlamentari al Pdl nella "rossa" Umbria dove lui era candidato.
«Comunque, Speciale fu dimissionato dal Consiglio dei ministri e l'"elogio" del suddetto fu fatto da Tommaso Padoa Schioppa in Senato».

È vero che fu lei a scrivere quell'intervento dell'allora ministro del Tesoro?
«Lo chieda a lui. Padoa Schioppa è uno che scrive molto bene».

Il caso fu archiviato per insufficienza di prove dal gip di Roma che ha giudicato il suo comportamento non illecito, ma illegittimo. Si ritiene soddisfatto dell'esito dell'inchiesta?
«Ritengo che il mio comportamento fosse assolutamente legittimo, non ci fu forzatura di alcun genere».

Lei non esercitò pressioni e minacce su Speciale, come lui sostiene, perché sostituisse gli ufficiali milanesi della Gdf impegnati nell'inchiesta Unipol-Bnl? «Questa è l'unica cosa che è stata esclusa in modo tassativo dai magistrati e dagli ufficiali interrogati. L'inchiesta Unipol non stava a Milano, ma a Roma».

Allora perché volle trasferire quegli ufficiali?
«Perché stavano lì da troppo tempo».

Ma i magistrati hanno contestato questa sua spiegazione, come quella secondo cui quei finanzieri non erano efficaci contro la lotta all'evasione ed erano una lobby a disposizione di Tremonti.
«Nessuna delle mie spiegazioni è stata contestata. Semmai, sono state considerate insufficienti...».

Prodi alla fine le ha tolto la delega delle Finanze. Si è sentito scaricato dal governo?
«No, ho rinunciato io alla delega, che mi sarebbe stata restituita appena conclusa la vicenda, se non fosse caduto il governo».

Lei che fu membro del governo ombra di Achille Occhetto, nel 1989, che giudizio dà del "shadow cabinet" di Veltroni?
«Non può funzionare, perché c'è una contraddizione: il governo ombra esiste istituzionalizzato solo in Inghilterra, Australia e Nuova Zelanda, dove c'è un sistema bipartitico. Non a caso, i partiti minori in Parlamento sono contrari al governo ombra, quindi c'è un problema di assetto istituzionale. Quello è stato un modo per dare la responsabilità di certi settori a delle persone».

Quelli cui Veltroni aveva promesso un ministero in caso di vittoria.
«No, perché in quel caso ci sarebbe stato D'Alema e probabilmente ci sarei stato anch'io».

Sta dicendo che se il Pd avesse vinto le elezioni lei sarebbe tornato al governo?
«Non lo escludo affatto».

È proprio sicuro che, dopo averla nascosta, Veltroni l'avrebbe riassunta alle Finanze?
«Ho motivo di ritenere di sì».

Come le sembra il Pd venuto fuori dalle urne?
«Sono stato in Parlamento dal 1983 e il livello della rappresentanza politica ha subìto un deterioramento sempre peggiore anche nel centrosinistra, perché la selezione della classe dirigente è diventata meno rigorosa».

Secondo lei, Veltroni sarà in grado di portare il Pd fuori dal pantano?
«Mi auguro per lui di sì».

D'Alema, però, sta facendo di tutto per creare una struttura alternativa. Chi è più titolato dei due a guidare il Pd?
«Il Pd non è un partito con un comando centrale, ci sarà un'articolazione sulle posizioni, non ci trovo nulla di strano».

Per lei chi è il vero leader del centrosinistra?
«Al momento Veltroni, e nessuno lo mette in discussione. Poi si vedrà».

Quando era ministro ha mai usato uomini e mezzi della Gdf a scopo personale? «Nella maniera più assoluta».

Neanche per andare a Pantelleria?
«Io a Pantelleria sono sempre andato con aerei di linea. Può capitare che, per ragioni di servizio, i ministri delle Finanze usino mezzi della Gdf».

In ambienti vicini alla Gdf, invece, circola voce che ci siano ancora finanzieri che fanno la guardia alla sua villa di Pantelleria e che continuino a scortarla con una Bmw blindata.
«Ha a che vedere con il regime di ordine e sicurezza pubblica che riguarda gli ex ministri, che durerà ancora qualche mese. Continuo a ricevere minacce, insulti, pallottole e pallini. Suppongo che le misure di sicurezza derivino da questo».

Come trascorre il suo tempo libero quando non va a Pantelleria?
«Faccio pilates, ho una bravissima personal trainer che mi fa fare degli addominali tostissimi. L'ho scoperto tre anni fa, quando non era ancora di moda. Ti cambia il fisico, ti ringiovanisce di dieci anni. Non trova?».


Dagospia 09 Giugno 2008