OMBRE SUL CARLETTO - BRUNO BEATRICE, EX CALCIATORE MORTO DI LEUCEMIA A 39 ANNI. MAZZONE ERA IL SUO ALLENATORE: AVREBBE "SPINTO" PER UNA CURA RIVELATASI LETALE - I NAS INDAGANO, CHIAMANDOLO IN CAUSA.
Alessandro Gilioli per "L'espresso" in edicola domani
Carletto Mazzone è sempre stato un tipo simpatico. Carattere schietto, lessico vernacolare e una vita spesa sulle panchine di mezza Italia: da Ascoli a Bologna, da Catanzaro a Brescia. Ma è sui tre anni trascorsi alla Fiorentina, dal '75 al '78, che l'allenatore romano dovrà dare spiegazioni ai giudici secondo quanto emerge dall'indagine dei Nas di Firenze sulla morte di Bruno Beatrice, il calciatore viola morto nel 1987, a 39 anni, di leucemia mieloide.
Una malattia provocata dall'eccesso di raggi Roentgen a cui il giocatore fu sottoposto perché guarisse più in fretta dalla pubalgia che lo teneva lontano dai campi di gioco: «Un approccio terapeutico omicida», scrivono nel rapporto i carabinieri, «spinto da logiche di sfruttamento dell'atleta, considerato più alla stregua di animale da reddito che di essere umano». E la responsabilità secondo i Nas va attribuita proprio a Mazzone perché l'allenatore avrebbe «sottratto la gestione dei problemi fisici di Beatrice allo staff medico del club prendendola in mano direttamente e attraverso un uomo di sua fiducia».
I fatti si riferiscono alla stagione 1975-76: in campionato la Fiorentina ciondola a metà classifica, ma punta a vincere la coppa Italia bissando il successo dell'anno prima. Nella rosa ci sono giocatori di livello, come il giovane Antognoni e il trequartista Merlo. Poi c'è un mediano che non avrà i piedi fatati ma come grinta non lo batte nessuno: si chiama Bruno Beatrice detto "il Mastino", un fisico d'acciaio che gli permette di correre per tre.
Lo ha preso dalla Ternana nel '73 l'allenatore Gigi Radice e, quando Mazzone arriva a Firenze, è già titolare da due anni. Probabilmente lo sarebbe anche il terzo se, durante l'inverno, una pubalgia non lo avesse fermato. Dopo le prime cure, lo staff della Fiorentina decide di farlo visitare a Roma da un luminare del settore, Lamberto Perugia, che gli prescrive «riposo, impacchi, elettroterapia e una cauta massoterapia». In altre parole, tempi di guarigione molto lunghi.
A quel punto Beatrice torna a Firenze, dove i consigli del professor Perugia sono disattesi e il giocatore viene spedito in un ospedale di Fiesole, Villa Camerata. Qui lo sottopongono per tre mesi (dal marzo al giugno del '76) a quotidiani trattamenti di raggi Roentgen, senza che sia tenuta alcuna cartella clinica. Obiettivo: recuperare il calciatore per la fase finale della stagione, quando i viola devono giocarsi la Coppa Italia contro Milan, Sampdoria e Napoli.
La Fiorentina detiene il trofeo e il giovane Mazzone - alla sua prima panchina importante dopo la gavetta di Ascoli - non vuole sfigurare rispetto al suo famoso predecessore Nereo Rocco. è così, scrivono i carabinieri, che prevale «un approccio terapeutico ove predomina la componente del recupero a ogni costo». E «la messa a riposo del calciatore non coincideva con questa esigenza. Quindi si ricorre al fai-da-te, alla terapia spinta e nascosta, approfittando dell'ingenuità e dello zelo dell'atleta».
Ed «è Mazzone a trovare il metodo magico», cioè appunto la radioterapia selvaggia. Una strategia concordata, secondo i Nas, tra lo stesso allenatore e un suo collaboratore che non apparteneva allo staff della Fiorentina: Ivo Micucci, fisioterapista dell'Ascoli, con cui Mazzone avrebbe continuato a consultarsi privatamente anche a Firenze. Sarebbero stati loro due a decidere di mandare Beatrice a Villa Camerata, per la riservatezza che un primario di questo ospedale, Inson Rosati, garantiva a Mazzone e al club.
Sentito nel corso dell'indagine, secondo i carabinieri Mazzone avrebbe mentito su diversi punti, «dichiarando tutto il contrario di quello che l'evidenza dei fatti ha dimostrato», in particolare quando ha sostenuto di non essersi «mai intromesso nella gestione sanitaria dei calciatore». In conclusione, i Nas hanno ipotizzato che Mazzone e Micucci siano responsabili di omicidio preterintenzionale, perché sarebbero stati coscienti - anche secondo i protocolli medici dell'epoca - che i loro comportamenti avrebbero potuto portare alla morte di Beatrice.
Ora il pm Luigi Bocciolini dovrà decidere se chiedere il rinvio a giudizio. I famigliari di Beatrice sperano che finalmente sia fatta giustizia su un caso divenuto metaforico del doping senza scrupoli degli anni Settanta. Grazie a loro - e all'avvocato Odovisio Lombardo che li assiste - è nata l'Associazione vittime del doping. Primo obiettivo: dedicare un memorial a Bruno Beatrice, il generoso mediano morto con la schiuma alla bocca e il corpo ricoperto di piaghe. L'attuale patron della Fiorentina, Diego Della Valle, ha promesso che si farà entro agosto.
Dagospia 19 Giugno 2008
Carletto Mazzone è sempre stato un tipo simpatico. Carattere schietto, lessico vernacolare e una vita spesa sulle panchine di mezza Italia: da Ascoli a Bologna, da Catanzaro a Brescia. Ma è sui tre anni trascorsi alla Fiorentina, dal '75 al '78, che l'allenatore romano dovrà dare spiegazioni ai giudici secondo quanto emerge dall'indagine dei Nas di Firenze sulla morte di Bruno Beatrice, il calciatore viola morto nel 1987, a 39 anni, di leucemia mieloide.
Una malattia provocata dall'eccesso di raggi Roentgen a cui il giocatore fu sottoposto perché guarisse più in fretta dalla pubalgia che lo teneva lontano dai campi di gioco: «Un approccio terapeutico omicida», scrivono nel rapporto i carabinieri, «spinto da logiche di sfruttamento dell'atleta, considerato più alla stregua di animale da reddito che di essere umano». E la responsabilità secondo i Nas va attribuita proprio a Mazzone perché l'allenatore avrebbe «sottratto la gestione dei problemi fisici di Beatrice allo staff medico del club prendendola in mano direttamente e attraverso un uomo di sua fiducia».
I fatti si riferiscono alla stagione 1975-76: in campionato la Fiorentina ciondola a metà classifica, ma punta a vincere la coppa Italia bissando il successo dell'anno prima. Nella rosa ci sono giocatori di livello, come il giovane Antognoni e il trequartista Merlo. Poi c'è un mediano che non avrà i piedi fatati ma come grinta non lo batte nessuno: si chiama Bruno Beatrice detto "il Mastino", un fisico d'acciaio che gli permette di correre per tre.
Lo ha preso dalla Ternana nel '73 l'allenatore Gigi Radice e, quando Mazzone arriva a Firenze, è già titolare da due anni. Probabilmente lo sarebbe anche il terzo se, durante l'inverno, una pubalgia non lo avesse fermato. Dopo le prime cure, lo staff della Fiorentina decide di farlo visitare a Roma da un luminare del settore, Lamberto Perugia, che gli prescrive «riposo, impacchi, elettroterapia e una cauta massoterapia». In altre parole, tempi di guarigione molto lunghi.
A quel punto Beatrice torna a Firenze, dove i consigli del professor Perugia sono disattesi e il giocatore viene spedito in un ospedale di Fiesole, Villa Camerata. Qui lo sottopongono per tre mesi (dal marzo al giugno del '76) a quotidiani trattamenti di raggi Roentgen, senza che sia tenuta alcuna cartella clinica. Obiettivo: recuperare il calciatore per la fase finale della stagione, quando i viola devono giocarsi la Coppa Italia contro Milan, Sampdoria e Napoli.
La Fiorentina detiene il trofeo e il giovane Mazzone - alla sua prima panchina importante dopo la gavetta di Ascoli - non vuole sfigurare rispetto al suo famoso predecessore Nereo Rocco. è così, scrivono i carabinieri, che prevale «un approccio terapeutico ove predomina la componente del recupero a ogni costo». E «la messa a riposo del calciatore non coincideva con questa esigenza. Quindi si ricorre al fai-da-te, alla terapia spinta e nascosta, approfittando dell'ingenuità e dello zelo dell'atleta».
Ed «è Mazzone a trovare il metodo magico», cioè appunto la radioterapia selvaggia. Una strategia concordata, secondo i Nas, tra lo stesso allenatore e un suo collaboratore che non apparteneva allo staff della Fiorentina: Ivo Micucci, fisioterapista dell'Ascoli, con cui Mazzone avrebbe continuato a consultarsi privatamente anche a Firenze. Sarebbero stati loro due a decidere di mandare Beatrice a Villa Camerata, per la riservatezza che un primario di questo ospedale, Inson Rosati, garantiva a Mazzone e al club.
Sentito nel corso dell'indagine, secondo i carabinieri Mazzone avrebbe mentito su diversi punti, «dichiarando tutto il contrario di quello che l'evidenza dei fatti ha dimostrato», in particolare quando ha sostenuto di non essersi «mai intromesso nella gestione sanitaria dei calciatore». In conclusione, i Nas hanno ipotizzato che Mazzone e Micucci siano responsabili di omicidio preterintenzionale, perché sarebbero stati coscienti - anche secondo i protocolli medici dell'epoca - che i loro comportamenti avrebbero potuto portare alla morte di Beatrice.
Ora il pm Luigi Bocciolini dovrà decidere se chiedere il rinvio a giudizio. I famigliari di Beatrice sperano che finalmente sia fatta giustizia su un caso divenuto metaforico del doping senza scrupoli degli anni Settanta. Grazie a loro - e all'avvocato Odovisio Lombardo che li assiste - è nata l'Associazione vittime del doping. Primo obiettivo: dedicare un memorial a Bruno Beatrice, il generoso mediano morto con la schiuma alla bocca e il corpo ricoperto di piaghe. L'attuale patron della Fiorentina, Diego Della Valle, ha promesso che si farà entro agosto.
Dagospia 19 Giugno 2008