WALTERLOO ALLO SPIEDO - D'ALEMA E RUTELLI: SULLA GIUSTIZIA LA SUA LINEA È DISASTROSA, DEVE SMARCARSI DA DI PIETRO - BAFFINO & CICCIODDURO PIÙ VICINI ALLE POSIZIONI DI CASINI CHE A WALTERLOO.
Francesco Verderami per il "Corriere della Sera"
L'incontro all'aeroporto di Bari, la scorsa settimana, fu casuale. Non lo fu affatto la battuta con cui il ministro Fitto salutò il vicecapogruppo democratico Latorre: «Caro Nicola, ricordo quando voi foste in difficoltà e noi non ne approfittammo. Anzi, vi difendemmo per tener fede ai nostri princìpi». Al senatore d'opposizione non servirono ulteriori parole, intuì a cosa si riferisse l'esponente del governo, ai giorni difficili del caso Unipol, con i vertici della Quercia presi di mira. E rispose così: «Caro Raffaele, non penserai che uno come me, o uno come D'Alema, siano di punto in bianco diventati giustizialisti. Ehh, sapessi amico mio che problema abbiamo...».
Il «problema» al quale fece riferimento Latorre è lo stesso analizzato da D'Alema in un recente colloquio con il leader dell'Udc Casini: tra un ragionamento sulla riforma elettorale e un ammiccamento sulla possibilità di costruire un'alleanza, il discorso è finito sul tema infuocato della giustizia e sul posizionamento del Partito democratico in materia. Nell'occasione il capo dei centristi non solo ha avuto la conferma che all'ex ministro degli Esteri piace il modello tedesco, ma anche che non gli piace la linea di Veltroni sulla giustizia.
E lo ha riferito riservatamente agli amici di partito: «Massimo mi ha detto che si tratta di una linea disastrosa, perché il Pd è finito nel gioco di Di Pietro. Solo che lui non può farne cenno in pubblico. Già sostengono che voglia fare le scarpe a Walter, così entrerebbe in rotta di collisione con un pezzo dell'elettorato democratico». Ma se D'Alema non parla in pubblico, ciò non significa che eviti di farlo in privato. E le sue considerazioni sono simili a quelle di un altro rappresentante di spicco del Pd, Rutelli. Anche l'ex vicepremier di Prodi ha discusso con Casini di sistema tedesco e di giustizia.
Anche a lui piace il tedesco, mentre non piace «la deriva forcaiola che stiamo subendo a opera di Di Pietro». Ed è approfittando di questa situazione che ieri - in un'intervista al Corriere - il capo dei centristi ha spiegato come la linea dell'ex pm sia diventata «una polizza a vita per Berlusconi», perché «se l'opposizione al premier è questa, è la dimostrazione che il Cavaliere non ha alternativa»: «Anzi, diciamoci la verità, così come siamo messi, non siamo un'alternativa credibile a Berlusconi».
Insomma, attraverso Casini è possibile interpretare D'Alema, perché la linea di Casini sulla giustizia piace a D'Alema più di quella sviluppata nelle ultime esternazioni da Veltroni. E Il punto è politico ovviamente: l'ex segretario della Quercia - raccontano quanti lo hanno sentito - teme che dallo scontro abbiano a guadagnarci solo Berlusconi e Di Pietro, perciò avrebbe preferito che «in quelle paginate di interviste» di Veltroni ci fosse una parola, «almeno una», contro il tribuno dell'Idv.
Sarà un caso ma ieri pomeriggio - davanti all'assemblea dei deputati del Pd - Veltroni «una parola» l'ha detta contro l'ex pm: «Penso che Di Pietro stia facendo un regalo al presidente del Consiglio. Certi toni di contrapposizione e non di opposizione, aiutano la destra». Chissà se in questo modo avrà convinto quei parlamentari dalemiani che una settimana fa in Transatlantico ironizzavano sul suo conto: «Singolare Walter. Sostiene che lo scudo per le alte cariche può andar bene. Ma che debba entrare in vigore dalla prossima legislatura. Come dalla prossima? Se va bene, va subito... O no?».
«Il fatto è - spiegava ieri il senatore democratico Villari - che Veltroni corre sul filo. La linea sulla giustizia equivale alla linea da scegliere sulla collocazione europea del Pd». Su questo non ci sono dubbi. E come sulla collocazione europea si consuma l'ennesimo strappo con D'Alema, «sebbene entrambi - a giudizio di Andrea Romano - siano responsabili del disastro».
Dice l'editorialista della "Stampa" - autore del libro "Compagni di scuola", dove si racconta anche la storia di Massimo e Walter che «se D'Alema ha una maggiore diffidenza verso i giudici, Walter ha una maggiore furbizia nel lisciare i giustizialisti in modo da tenerli a bada. Ma le loro colpe sono evidenti. Perché Walter - dopo la rupture con la sinistra radicale - non andò fino in fondo rompendo anche con Di Pietro, che oggi altrimenti non starebbe in Parlamento? Perché Walter sa di avere i giustizialisti in casa? E perché oggi Massimo lo critica dopo avergli dato carta bianca sulle alleanze? Perché pensa di sedersi sulla riva del fiume in attesa di vedere come la corrente si porta via il segretario? La verità è che sulla giustizia, la sinistra prima e il Pd ora non hanno mai sciolto il nodo».
È un nodo che può diventare scorsoio. C'è il rischio infatti che l'offensiva girotondina non si limiti a colpire Berlusconi. Il timore avvertito nel Pd è che anche il Quirinale venga preso di mira. «Napolitano - diceva domenica Di Pietro - valuti se il decreto con le norme salva-premier possiede i requisiti di necessità e urgenza, o lo rimandi alle Camere. Altrimenti ci penseranno la Consulta o i cittadini con i referendum».
Questa dichiarazione, unita ad altre sortite, hanno fatto scrivere ieri al direttore del "Riformista", Polito, su «intimidazioni sgradevoli e pericolose verso il capo dello Stato». E allora, cosa accadrebbe se alla manifestazione girotondina dell'8 luglio si levassero fischi verso Napolitano? «Speriamo di no, speriamo di no», sussurrava giorni fa Minniti. Ma il rischio c'è. Lo si capisce da una battuta di Follini: «Il motto dei giustizialisti è diventato "molti nemici molto onore". Spero non arrivino a considerare nemiche le istituzioni».
Dagospia 01 Luglio 2008
L'incontro all'aeroporto di Bari, la scorsa settimana, fu casuale. Non lo fu affatto la battuta con cui il ministro Fitto salutò il vicecapogruppo democratico Latorre: «Caro Nicola, ricordo quando voi foste in difficoltà e noi non ne approfittammo. Anzi, vi difendemmo per tener fede ai nostri princìpi». Al senatore d'opposizione non servirono ulteriori parole, intuì a cosa si riferisse l'esponente del governo, ai giorni difficili del caso Unipol, con i vertici della Quercia presi di mira. E rispose così: «Caro Raffaele, non penserai che uno come me, o uno come D'Alema, siano di punto in bianco diventati giustizialisti. Ehh, sapessi amico mio che problema abbiamo...».
Il «problema» al quale fece riferimento Latorre è lo stesso analizzato da D'Alema in un recente colloquio con il leader dell'Udc Casini: tra un ragionamento sulla riforma elettorale e un ammiccamento sulla possibilità di costruire un'alleanza, il discorso è finito sul tema infuocato della giustizia e sul posizionamento del Partito democratico in materia. Nell'occasione il capo dei centristi non solo ha avuto la conferma che all'ex ministro degli Esteri piace il modello tedesco, ma anche che non gli piace la linea di Veltroni sulla giustizia.
E lo ha riferito riservatamente agli amici di partito: «Massimo mi ha detto che si tratta di una linea disastrosa, perché il Pd è finito nel gioco di Di Pietro. Solo che lui non può farne cenno in pubblico. Già sostengono che voglia fare le scarpe a Walter, così entrerebbe in rotta di collisione con un pezzo dell'elettorato democratico». Ma se D'Alema non parla in pubblico, ciò non significa che eviti di farlo in privato. E le sue considerazioni sono simili a quelle di un altro rappresentante di spicco del Pd, Rutelli. Anche l'ex vicepremier di Prodi ha discusso con Casini di sistema tedesco e di giustizia.
Anche a lui piace il tedesco, mentre non piace «la deriva forcaiola che stiamo subendo a opera di Di Pietro». Ed è approfittando di questa situazione che ieri - in un'intervista al Corriere - il capo dei centristi ha spiegato come la linea dell'ex pm sia diventata «una polizza a vita per Berlusconi», perché «se l'opposizione al premier è questa, è la dimostrazione che il Cavaliere non ha alternativa»: «Anzi, diciamoci la verità, così come siamo messi, non siamo un'alternativa credibile a Berlusconi».
Insomma, attraverso Casini è possibile interpretare D'Alema, perché la linea di Casini sulla giustizia piace a D'Alema più di quella sviluppata nelle ultime esternazioni da Veltroni. E Il punto è politico ovviamente: l'ex segretario della Quercia - raccontano quanti lo hanno sentito - teme che dallo scontro abbiano a guadagnarci solo Berlusconi e Di Pietro, perciò avrebbe preferito che «in quelle paginate di interviste» di Veltroni ci fosse una parola, «almeno una», contro il tribuno dell'Idv.
Sarà un caso ma ieri pomeriggio - davanti all'assemblea dei deputati del Pd - Veltroni «una parola» l'ha detta contro l'ex pm: «Penso che Di Pietro stia facendo un regalo al presidente del Consiglio. Certi toni di contrapposizione e non di opposizione, aiutano la destra». Chissà se in questo modo avrà convinto quei parlamentari dalemiani che una settimana fa in Transatlantico ironizzavano sul suo conto: «Singolare Walter. Sostiene che lo scudo per le alte cariche può andar bene. Ma che debba entrare in vigore dalla prossima legislatura. Come dalla prossima? Se va bene, va subito... O no?».
«Il fatto è - spiegava ieri il senatore democratico Villari - che Veltroni corre sul filo. La linea sulla giustizia equivale alla linea da scegliere sulla collocazione europea del Pd». Su questo non ci sono dubbi. E come sulla collocazione europea si consuma l'ennesimo strappo con D'Alema, «sebbene entrambi - a giudizio di Andrea Romano - siano responsabili del disastro».
Dice l'editorialista della "Stampa" - autore del libro "Compagni di scuola", dove si racconta anche la storia di Massimo e Walter che «se D'Alema ha una maggiore diffidenza verso i giudici, Walter ha una maggiore furbizia nel lisciare i giustizialisti in modo da tenerli a bada. Ma le loro colpe sono evidenti. Perché Walter - dopo la rupture con la sinistra radicale - non andò fino in fondo rompendo anche con Di Pietro, che oggi altrimenti non starebbe in Parlamento? Perché Walter sa di avere i giustizialisti in casa? E perché oggi Massimo lo critica dopo avergli dato carta bianca sulle alleanze? Perché pensa di sedersi sulla riva del fiume in attesa di vedere come la corrente si porta via il segretario? La verità è che sulla giustizia, la sinistra prima e il Pd ora non hanno mai sciolto il nodo».
È un nodo che può diventare scorsoio. C'è il rischio infatti che l'offensiva girotondina non si limiti a colpire Berlusconi. Il timore avvertito nel Pd è che anche il Quirinale venga preso di mira. «Napolitano - diceva domenica Di Pietro - valuti se il decreto con le norme salva-premier possiede i requisiti di necessità e urgenza, o lo rimandi alle Camere. Altrimenti ci penseranno la Consulta o i cittadini con i referendum».
Questa dichiarazione, unita ad altre sortite, hanno fatto scrivere ieri al direttore del "Riformista", Polito, su «intimidazioni sgradevoli e pericolose verso il capo dello Stato». E allora, cosa accadrebbe se alla manifestazione girotondina dell'8 luglio si levassero fischi verso Napolitano? «Speriamo di no, speriamo di no», sussurrava giorni fa Minniti. Ma il rischio c'è. Lo si capisce da una battuta di Follini: «Il motto dei giustizialisti è diventato "molti nemici molto onore". Spero non arrivino a considerare nemiche le istituzioni».
Dagospia 01 Luglio 2008