HOTEL VASA VASA - SECONDA PUNTATA DELL'INCREDIBILE STORIA DELL'ALBERGO DI PALERMO DI PROPRIETÀ DI TOTÒ CUFFARO (E SOCI), MENTRE ERA GOVERNATORE - LO STRANO CONTENZIOSO CON SVILUPPO ITALIA.
Gian Antonio Stella per il "Corriere della Sera"
Sostiene Pier Ferdinando Casini che «Vasa Vasa» è «perseguitato dalla giustizia» e Gianfranco Rotondi che si tratta di «un giovane cattolico che ha rappresentato il rinnovamento della Sicilia ed è stato portato alla gogna». Sarà. Ma la storia che abbiamo raccontato la settimana scorsa sui rapporti societari tra l'allora governatore isolano e il proprietario del Grand Hotel Federico II, rispettivamente Totò Cuffaro e Cuffaro Totò, è ancora più sconcertante di come pareva.
Riassunto della prima puntata. Coi finanziamenti a fondo perduto della legge 488 del 1992 Totò Cuffaro (non ancora governatore ma lanciatissimo) insieme coi fratelli Giuseppe e Silvio e i fratelli Fabio e Giacomo Hopps (eredi del «re del Marsala» Joseph Hopps) comprano e ristrutturano un lussuoso albergo palermitano, il Federico II. Fa loro da «spalla» nel 2000, mettendo 824 milioni di lire per tenersi il 46% delle quote, un socio pubblico, Itainvest Sicilia, «erede » della vecchia Gepi e destinato ad essere assorbito da Sviluppo Italia.
Trascorrono due anni e nel settembre 2002 Cuffaro, alla guida della Regione, firma con Sviluppo Italia una intesa per riportare a Palermo un pacco di milioni di euro di «proprietà» siciliana parcheggiati da una decina di anni a Roma nelle casse della ex-Gepi. Ma si sa come vanno queste faccende: sono lente lente. Ed è così che si arriva al 2007 quando, contrattualmente, la società del Tesoro potrebbe esercitare il «Put». Che costringerebbe i soci privati, già abbastanza aiutati, a comperare la quota del socio pubblico e andare avanti da soli.
Bene: al contrario di quanto ci risultava, Sviluppo Italia lo esercitò davvero, il «Put». Esattamente l'11 maggio 2007, con cinque mesi di anticipo sulla scadenza del 30 settembre. Solo che ai Cuffaro e agli Hopps faceva evidentemente comodo tenersi quel socio pubblico di minoranza. Nessuna risposta. La società del Tesoro, forse imbarazzata ad avere come socio il Presidente della Regione, non molla. E il 18 luglio torna alla carica con una diffida nella quale lamenta l'assenza di ogni cenno di risposta, intima i Cuffaro & Hopps a procedere come previsto dai contratti precedenti e chiede la «tempestiva indicazione del notaio davanti al quale stipulare l'atto».
Ma i cinque fratelli non rispondono ancora. E mentre l'incartamento girato da Sviluppo Italia al Ministero per le Attività Produttive passa di tavolo in tavolo, il tempo trascorre e la scadenza del 30 settembre decade. Il giorno dopo (il giorno dopo!) Totò il governatore e i fratelli Giuseppe e Silvio ci vanno sul serio, dal notaio. Ma per rilevare le quote dei fratelli Hopps e diventare così i soci di maggioranza dell'hotel, col 54% contro il 46% di Sviluppo Italia.
Ancora poche settimane e il 29 novembre la Regione saldamente nelle mani di «Vasa Vasa», che si dimetterà per la nota condanna a cinque anni solo il 26 gennaio 2008, si mette d'accordo con Sviluppo Italia per far rientrare quei famosi soldi da Roma il prima possibile. Finché il 9 aprile 2008 arriva l'atto finale dove, con l'annotazione che è «indispensabile accelerare», Sviluppo Italia passa la sua quota nell'albergo alla Regione Sicilia. Che da quel momento diventa socia del suo ex-presidente.
Domanda: una storia simile potrebbe accadere in un altro paese?
Dagospia 06 Agosto 2008
Sostiene Pier Ferdinando Casini che «Vasa Vasa» è «perseguitato dalla giustizia» e Gianfranco Rotondi che si tratta di «un giovane cattolico che ha rappresentato il rinnovamento della Sicilia ed è stato portato alla gogna». Sarà. Ma la storia che abbiamo raccontato la settimana scorsa sui rapporti societari tra l'allora governatore isolano e il proprietario del Grand Hotel Federico II, rispettivamente Totò Cuffaro e Cuffaro Totò, è ancora più sconcertante di come pareva.
Riassunto della prima puntata. Coi finanziamenti a fondo perduto della legge 488 del 1992 Totò Cuffaro (non ancora governatore ma lanciatissimo) insieme coi fratelli Giuseppe e Silvio e i fratelli Fabio e Giacomo Hopps (eredi del «re del Marsala» Joseph Hopps) comprano e ristrutturano un lussuoso albergo palermitano, il Federico II. Fa loro da «spalla» nel 2000, mettendo 824 milioni di lire per tenersi il 46% delle quote, un socio pubblico, Itainvest Sicilia, «erede » della vecchia Gepi e destinato ad essere assorbito da Sviluppo Italia.
Trascorrono due anni e nel settembre 2002 Cuffaro, alla guida della Regione, firma con Sviluppo Italia una intesa per riportare a Palermo un pacco di milioni di euro di «proprietà» siciliana parcheggiati da una decina di anni a Roma nelle casse della ex-Gepi. Ma si sa come vanno queste faccende: sono lente lente. Ed è così che si arriva al 2007 quando, contrattualmente, la società del Tesoro potrebbe esercitare il «Put». Che costringerebbe i soci privati, già abbastanza aiutati, a comperare la quota del socio pubblico e andare avanti da soli.
Bene: al contrario di quanto ci risultava, Sviluppo Italia lo esercitò davvero, il «Put». Esattamente l'11 maggio 2007, con cinque mesi di anticipo sulla scadenza del 30 settembre. Solo che ai Cuffaro e agli Hopps faceva evidentemente comodo tenersi quel socio pubblico di minoranza. Nessuna risposta. La società del Tesoro, forse imbarazzata ad avere come socio il Presidente della Regione, non molla. E il 18 luglio torna alla carica con una diffida nella quale lamenta l'assenza di ogni cenno di risposta, intima i Cuffaro & Hopps a procedere come previsto dai contratti precedenti e chiede la «tempestiva indicazione del notaio davanti al quale stipulare l'atto».
Ma i cinque fratelli non rispondono ancora. E mentre l'incartamento girato da Sviluppo Italia al Ministero per le Attività Produttive passa di tavolo in tavolo, il tempo trascorre e la scadenza del 30 settembre decade. Il giorno dopo (il giorno dopo!) Totò il governatore e i fratelli Giuseppe e Silvio ci vanno sul serio, dal notaio. Ma per rilevare le quote dei fratelli Hopps e diventare così i soci di maggioranza dell'hotel, col 54% contro il 46% di Sviluppo Italia.
Ancora poche settimane e il 29 novembre la Regione saldamente nelle mani di «Vasa Vasa», che si dimetterà per la nota condanna a cinque anni solo il 26 gennaio 2008, si mette d'accordo con Sviluppo Italia per far rientrare quei famosi soldi da Roma il prima possibile. Finché il 9 aprile 2008 arriva l'atto finale dove, con l'annotazione che è «indispensabile accelerare», Sviluppo Italia passa la sua quota nell'albergo alla Regione Sicilia. Che da quel momento diventa socia del suo ex-presidente.
Domanda: una storia simile potrebbe accadere in un altro paese?
Dagospia 06 Agosto 2008