PROFUMO NON VOLA ALITALIA: "AVREMO UN SERVIZIO PEGGIORE E PREZZI PIÙ ALTI"
COLANINNO JR O 'VOLANINNO' SR? STAVOLTA IL "CONFLITTO DI INTERESSI" È DEL PD
IL MIRACOLO BERLUSCONIANO: COSTI PUBBLICI, PRIVATE VIRTÙ E PIÙ TASSE PER TUTTI

1 - PROFUMO: COSÌ PREZZI MAGGIORI E SERVIZI PEGGIORI
f. fub.per il Corriere della Sera - Unicredit non entrerà nella cordata Alitalia e, secondo Alessandro Profumo: «Alla fine della vicenda credo che avremo un servizio peggiore e prezzi più alti». Profumo ricorda il caso spagnolo: «Iberia è stata venduta a British Airways senza che si sia sollevato questo polverone». E Lorenzo Bini Smaghi (Bce) di rimando: «Volano più turisti verso la Spagna di quanti ne porti Alitalia nel nostro Paese - e precisa -. Evitiamo che ognuno inizi a sussidiare le sue compagnie, altrimenti lo fa anche Parigi con Air France e via di seguito».

2 - STAVOLTA IL "CONFLITTO DI INTERESSI" È PD
Laura Cesaretti per Il Velino.it

Stavolta il "conflitto di interessi" è il Pd ad averlo in casa, e un po' di imbarazzo c'è e si percepisce. Tanto che Walter Veltroni, che è a Denver ad inebriarsi col debutto di Obama, ieri pomeriggio ha sentito il bisogno di intervenire con un comunicato molto duro sull'operazione Alitalia ("Una soluzione confusa che non fa gli interessi del paese") e con uno slogan ben riuscito: "Compagnia di bandierina". Il guaio è che il suo ministro ombra dello Sviluppo economico (ossia proprio colui cui compete il giudizio politico sull'operazione, e le controdeduzioni del Pd) è Matteo Colaninno, ossia proprio il figlio di quel Roberto Colaninno che guida la cordata patriottica messa sul piatto dal Cavaliere.

Lo stesso Colaninno che guidava i "capitani coraggiosi" di D'Alema ai tempi di Telecom, e che oggi si ritrova intervistato nientemeno che dal direttore di REPUBBLICA Ezio Mauro nelle prime due pagine del giornale: "Sono di sinistra ma non potevo dire di no, era un dovere accettare questa sfida", spiega. Per Colaninno junior è una bella gatta da pelare avere il papà in prima fila nella cordata azzurra, e infatti negli ultimi giorni ha evitato di intervenire sulla questione, prendendo tempo.

Oggi lo stana il CORRIERE DELLA SERA, e l'intervista è comprensibilmente imbarazzata visto che gli tocca da un lato difendere il genitore e dall'altro criticare l'iniziativa industriale di cui fa parte. Ma per la quale "non si possono certo biasimare gli imprenditori, che hanno risposto ad un impulso di mercato", sorvolando sull'impulso berlusconiano. Sull'altro versante, un giornale autonomo ma non certo nemico di Berlusconi come il Foglio lascia trapelare più di una perplessità del "pastiche Alitalia", come lo definisce ironicamente l'editoriale ferrariano. Non nasconde che "sul riverbero dell'operazione sui conti pubblici non c'è da prendersi in giro", cioè sarà pesante; la "filosofia" sottostante è quella "che combina costi pubblici e private virtù".

In un intervento sulle stesse pagine l'economista Carlo Stagnaro fa a pezzi lo "spregiudicato" salvataggio voluto dal governo, che ha addirittura "sospeso le norme anti-trust" per far rientrare AirOne. Ma per Ferrara si tratta comunque di "un capolavoro". Magari non tanto dal punto di visto economico ed imprenditoriale, ma di un capolavoro politico e "di establishment", che testimonia "l'avvenuta maturazione del berlusconismo come fenomeno centrale del gioco dei poteri forti italiani e internazionali": Berlusconi, insomma, non è più un "corpo estraneo" rispetto alla grande finanza. Anzi, stavolta è lui che ne tesse i giochi. "Fosse vivo, anche Gianni Agnelli direbbe chapeau".

3 - L'IMBROGLIO DI SILVIO
Stefano Cappellini per "Il Riformista"

Il destino di tutte le lune di miele è quello di esaursirsi nel tran tran quotidiano. E quanto più la luna di miele è stata intensa, tanto più il ritorno alla realtà è duro. Vale anche in politica, e Silvio Berlusconi conosce bene questa verità per averla già sperimentata da presidente del Consiglio. Dopo aver vivificato i suoi primi cento giorni a palazzo Chigi col "miracolo" della sparizione della monnezza napoletana, ora il premier deve confrontarsi con le promesse inevase della campagna elettorale e con i dossier più delicati: tasse, economia, grandi riforme, costruzione del Pdl. Ma l'autunno non promette bene, a giudicare dalle premesse agostane.

CHI PAGA
«Avevamo il dovere di intervenire e siamo intervenuti. Lo abbiamo fatto con rapidità, con concretezza. E ci siamo riusciti». Così ieri Berlusconi sul piano di salvataggio Alitalia varato dal Consiglio dei ministri. Se il successo rivendicato dal premier consiste nell'aver evitato l'approdo dei libri in tribunale, si può concordare. Se il metro di giudizio è la soddisfazione degli azionisti della newco che ha ereditato flotta e rotte di Alitalia e incassato ieri la disponibilità di Air France come alleato strategico, anche. Da tutti gli altri punti di vista, quelli della stragrande maggioranza dei cittadini, è difficile considerare l'operazione un successo.

Le cifre e i fatti parlano chiaro. I debiti di cui si sono sgravati i capitani (presunti) coraggiosi della cordata nazionale - oltre un miliardo di euro - restano sul groppone della bad company commissariata. Cioè, in sostanza, di contribuenti, azionisti e creditori. I primi continueranno nei prossimi mesi e anni a pagare pro-quota il risanamento della società. E, peraltro, non rivedranno un euro dei 300 milioni stanziati dal Tesoro per garantire ad Alitalia di sopravvivere dopo la rottura della trattativa di primavera con Air France.

Anche l'orizzonte dei risparmiatori è grigio: saranno indennizzati - così promette il decreto legge approvato ieri dal Cdm - con i fondi recuperati dai conti bancari dormienti. Il che significa che lo Stato - dopo essersi appropriato con discutibile operazione di risparmi privati, sebbene inutilizzati (opera del precedente esecutivo, non smentito da quello in carica) - li utilizza per "coprire" l'interferenza sul mercato azionario e quella sul mercato tout court, dato che l'altra conferma di giornata è la sospensione delle norme antitrust affinché sia garantito alla nuova «compagnia di bandierina» il monopolio dei cieli nazionali e soprattutto della lucrosa tratta Roma-Milano.

Un combinato non male per un premier che si considera campione di liberismo e liberalismo. E i creditori della compagnia? Per loro l'unica garanzia è contenuta in un passaggio della bozza del ddl di legge delega in cui si assicura che le eventuali procedure liquidatorie decise dal commissario straordinario cercheranno di «non avvilire le attese dei creditori». Dalla vicenda Alitalia discende un altro capitolo nero. Degli esuberi di personale si è parlato finora soprattutto per sottolineare il saldo negativo tra quelli previsti oggi, 6 mila, e i circa 2 mila contemplati dal piano Spinetta lo scorso marzo.



E già la differenza, più del triplo, non è poca cosa. Ma si affaccia un'altra questione: che fine faranno questi lavoratori? «Nessuno resterà a casa», giurava due giorni fa il ministro Altero Matteoli. Il primo a non esserne troppo convinto è il sindaco di Roma, e compagno di partito del ministro, Gianni Alemanno, che ieri ha chiesto un incontro urgente col governo. «Richiesta corretta», ha dato man forte lo stesso Matteoli. Per circa 3 mila dipendenti Alitalia l'ipotesi è di essere assorbiti nella pubblica amministrazione.

Ma un altro ministro, Renato Brunetta, fresco insignito dall'Economist dell'etichetta di «vero thatcheriano», non ne vuol sapere. Matteoli prende atto e parla di non meglio precisati «sbocchi in aziende private lombarde». Lo Stato le obbligherà ad assumere? Altro che colbertismo... Sarebbe del resto a dir poco stravagante se, dopo aver sbarrato il passo ai precari postali con una norma ad hoc, il governo imbarcasse ora nell'azienda steward e hostess. Ma se non nei ministeri, dove? Si parla di Fintecna, società controllata dal ministero dell'Economia. Il criterio d'assunzione non sarebbe il merito o competenza ma almeno gli esuberi riabbraccerebbero Maurizio Prato, presidente di Fintecna come già di Alitalia.

LE TASSE
Qui non c'è interpretazione che tenga: la diminuzione delle tasse era una delle voci principali del programma elettorale del Pdl e non ne se ne parla nemmeno più. L'unica realizzazione del governo, l'abolizione integrale dell'Ici sulla prima casa (realizzata per metà dal governo Prodi) è compensata per il 2008 da un aumento delle imposte pari a circa 2,2 miliardi di euro. E nel 2010, grazie a un aumento pari a 5,5 miliardi, l'aggravio netto del carico fiscale sarà di 3,6 miliardi. Non lo dice l'opposizione.

Lo dicono le stime del Dpef approvato in giugno dal Parlamento sulle cui basi è stata costruita e varata la manovra finanziaria triennale. Eppure il secondo capitolo del programma del Pdl parla di «graduale e progressiva diminuzione della pressione fiscale sotto il 40 per cento del Pil». Un proposito letteralmente rimosso dall'agenda di governo, insieme all'introduzione del quoziente familiare e all'abrogazione dell'Irap sul costo del lavoro.

CERCASI PDL
Alla vecchia maggioranza di centrosinistra si rimproverava giustamente di parlare con troppe voci. Ma lo spettacolo nell'attuale maggioranza rispetto alle riforme in calendario per l'autunno non è meno variopinto. Con la differenza che l'Unione doveva far quadrare i conti di dodici partiti e qui, in teoria, dovrebbero mettersi d'accordo in due, Lega e Pdl: quest'ultimo, però, un partito molto poco unico.

Sul federalismo, dove reclamano voce anche gli autonomisti siciliani di Lombardo, si è prodotto l'incidente più grave: per il ministro Calderoli bastano tre anni per mandare a regime la riforma federale, per Lombardo ne occorrono dieci. Va da sé che i sette anni in più di rodaggio, col loro inevitabile aggravio di spesa per lo Stato, sarebbero di nuovo a carico del contribuente. Intanto la bozza Calderoli è già alla terza versione. Non va meglio sulla riforma
dell'ordinamento giudiziario: in questo caso un testo non c'è, ci sta lavorando il ministro Alfano. Intorno a lui, molta confusione.

L'obbligatorietà dell'azione penale, da pietra dello scandalo che era, è diventata - parola del forzista Niccolò Ghedini - «un valore che consente di avere certezze». Filippo Berselli, presidente aennino della commissione Giustizia della Camera, giura che la vera chiave è depenalizzare i reati del giudice di pace. Roberto Cota, capogruppo della Lega alla Camera, vorrebbe l'elezione diretta dei pm. Maurizio Gasparri no. Alla fine deciderà Berlusconi, a modo suo. Come è probabile che accada anche sulla costruzione del Pdl. An vuole le tessere, Forza Italia no.

An vuole organi dirigenti legittimati dal basso. Forza Italia no. An immagina un reggente (oltre il leader naturale), Forza Italia no. Per ora - quando mancano sei mesi dalla data di nascita ufficiale: febbraio 2009 - il Pdl è realtà virtuale: esiste solo dal notaio. E l'impressione è che basterebbe un altro salto del Cavaliere sul predellino per archiviarlo come non se ne fosse mai nemmeno parlato.




Dagospia 29 Agosto 2008