I MORALIZZATORI DE NOANTRI - SE PRODI, CAPO DEL GOVERNO, PARLA CON I COLLABORATORI E COINVOLGE I MINISTRI PER IL VANTAGGIO DEI PARENTI, MAGARI NON INTACCA LA FEDINA PENALE, MA INTACCA LA REPUTAZIONE.
Mattia Feltri per La Stampa
C'erano tre cose che Romano Prodi - da ex premier e da storico rivale di Silvio Berlusconi - doveva fare dopo la pubblicazione su Panorama dei colloqui telefonici in cui lo si sente indaffarato a intercedere per nipoti e consuoceri.
La prima era di mantenere un profilo istituzionale, e cioè di non gridare all'attentato contro la privacy violata sin nel cuore di Palazzo Chigi; la seconda di mantenere un profilo di dignità, e cioè di non denunciare d'attentato il presidente del consiglio, editore del settimanale autore dello scoop; la terza di agguantare un profilo di rigore, e ammettere che dalla poltrona dell'esecutivo non ci si dovrebbe occupare delle grane di famiglia. Due cose le ha fatte, l'ultima no.
Molti in Italia segnalano l'abuso delle intercettazioni nelle procure e sui giornali. Non lo ha mai sostenuto Prodi, e con coerenza non lo ha sostenuto stavolta; semmai, vorrebbe divulgarle tutte per dimostrare la sua innocenza. E siccome non è uno sprovveduto, il Professore si è guardato dal tirare in ballo il conflitto d'interessi di Berlusconi, perché era troppo facile e perché le sue telefonate dimostrano quanto è facile cascare negli abusi d'ufficio anche se non si posseggono tre reti televisive.
Prodi si è conservato la misura e la fierezza che - specialmente al tramonto del suo potere, quando irriducibile assistette in Parlamento alla sua esecuzione - gli hanno fatto guadagnare il rispetto, se non la simpatia, pure di chi mai lo votò. E agevolmente non è cascato nel giochetto di prestigio di Berlusconi, il quale ha offerto solidarietà all'offeso e invitato le Camere a mettere mano alla questione.
La grandezza di Berlusconi risiede anche nella sua capacità di sostenere qualsiasi tesi senza perdere di credibilità. Ma stavolta non gli è riuscito. Giudicare una mascalzonata quella di Panorama e appellarsi ai parlamentari perché vi pongano rimedio, è un'enormità insostenibile persino per uno estroso come lui, al quale basterebbe una telefonata, magari alla figlia Marina, gran capo della Mondadori, per suggerire soluzioni più rapide.
E allora, fin qui due a zero secco per Prodi. Peccato, però, che si sia risparmiato il filotto. Lui e tutti i suoi sodali del Partito democratico hanno impegnato gran parte della giornata per avvalorare l'inconsistenza penale del contenuto delle conversazioni. Questo lo valuteranno i magistrati e gli osservatori abituati a pesare il mondo in base alle prescrizioni e alle aggravanti.
Se Antonio Di Pietro acquista in saldo la Mercedes da un indagato, non violerà la legge ma si offre a un giudizio morale. Se Prodi, intanto che guida l'esecutivo, parla con i collaboratori e coinvolge i ministri per il vantaggio dei parenti, magari non intacca la fedina penale, ma intacca la reputazione.
Sarebbe stato sufficiente offrire la spiegazione più accettata dagli italiani: anche io tengo famiglia. E piuttosto numerosa. E afflitta da qualche pena, animata da qualche aspirazione, pure un pochino petulante. Sarebbe stato sufficiente dire ho ceduto, mi dispiace, chiedo scusa, ma garantisco di non aver sconfinato nell'illegalità. E nessun galantuomo avrebbe avuto più nulla da ridire.
Dagospia 30 Agosto 2008
C'erano tre cose che Romano Prodi - da ex premier e da storico rivale di Silvio Berlusconi - doveva fare dopo la pubblicazione su Panorama dei colloqui telefonici in cui lo si sente indaffarato a intercedere per nipoti e consuoceri.
La prima era di mantenere un profilo istituzionale, e cioè di non gridare all'attentato contro la privacy violata sin nel cuore di Palazzo Chigi; la seconda di mantenere un profilo di dignità, e cioè di non denunciare d'attentato il presidente del consiglio, editore del settimanale autore dello scoop; la terza di agguantare un profilo di rigore, e ammettere che dalla poltrona dell'esecutivo non ci si dovrebbe occupare delle grane di famiglia. Due cose le ha fatte, l'ultima no.
Molti in Italia segnalano l'abuso delle intercettazioni nelle procure e sui giornali. Non lo ha mai sostenuto Prodi, e con coerenza non lo ha sostenuto stavolta; semmai, vorrebbe divulgarle tutte per dimostrare la sua innocenza. E siccome non è uno sprovveduto, il Professore si è guardato dal tirare in ballo il conflitto d'interessi di Berlusconi, perché era troppo facile e perché le sue telefonate dimostrano quanto è facile cascare negli abusi d'ufficio anche se non si posseggono tre reti televisive.
Prodi si è conservato la misura e la fierezza che - specialmente al tramonto del suo potere, quando irriducibile assistette in Parlamento alla sua esecuzione - gli hanno fatto guadagnare il rispetto, se non la simpatia, pure di chi mai lo votò. E agevolmente non è cascato nel giochetto di prestigio di Berlusconi, il quale ha offerto solidarietà all'offeso e invitato le Camere a mettere mano alla questione.
La grandezza di Berlusconi risiede anche nella sua capacità di sostenere qualsiasi tesi senza perdere di credibilità. Ma stavolta non gli è riuscito. Giudicare una mascalzonata quella di Panorama e appellarsi ai parlamentari perché vi pongano rimedio, è un'enormità insostenibile persino per uno estroso come lui, al quale basterebbe una telefonata, magari alla figlia Marina, gran capo della Mondadori, per suggerire soluzioni più rapide.
E allora, fin qui due a zero secco per Prodi. Peccato, però, che si sia risparmiato il filotto. Lui e tutti i suoi sodali del Partito democratico hanno impegnato gran parte della giornata per avvalorare l'inconsistenza penale del contenuto delle conversazioni. Questo lo valuteranno i magistrati e gli osservatori abituati a pesare il mondo in base alle prescrizioni e alle aggravanti.
Se Antonio Di Pietro acquista in saldo la Mercedes da un indagato, non violerà la legge ma si offre a un giudizio morale. Se Prodi, intanto che guida l'esecutivo, parla con i collaboratori e coinvolge i ministri per il vantaggio dei parenti, magari non intacca la fedina penale, ma intacca la reputazione.
Sarebbe stato sufficiente offrire la spiegazione più accettata dagli italiani: anche io tengo famiglia. E piuttosto numerosa. E afflitta da qualche pena, animata da qualche aspirazione, pure un pochino petulante. Sarebbe stato sufficiente dire ho ceduto, mi dispiace, chiedo scusa, ma garantisco di non aver sconfinato nell'illegalità. E nessun galantuomo avrebbe avuto più nulla da ridire.
Dagospia 30 Agosto 2008