GERONZI ACCETTI NAGEL COME AMMINISTRATORE E NAGEL ACCETTI GERONZI PADRONE
"NAGEL RIMUOVA GLI OSTACOLI AL FLUSSO DELLE INFORMAZIONI TRA DIRIGENZA E SOCI"
"NON HO SENSIBILITÀ POLITICA?, SE BISOGNA SEMPRE DIRE DI SÌ, SENSIBILE NON SONO"

Massimo Mucchetti per il Corriere della Sera


L'amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo: «Sulla governance di Mediobanca, o si resta con il dualistico rimuovendo gli ostacoli al flusso delle informazioni tra dirigenza e soci, o si torna al tradizionale chiarendo bene i ruoli dei soci e del management. Il patto di sindacato serve per esprimere un voto coeso in assemblea, non a gestire l'azienda in dialettica con il management». Che cosa dirà Unicredit nel patto di sindacato di Mediobanca sulla governance? «Di non procedere per imposizioni».

Dice Alessandro Profumo: «Mediobanca è un unicum che sta diventando un'anomalia ». E' da qui che bisogna partire per capire la posizione di Unicredit, primo socio di Mediobanca con l'8,6%, nella battaglia per il potere che si sta combattendo in piazzetta Cuccia tra il management guidato da Alberto Nagel e Renato Pagliaro e il presidente del consiglio di sorveglianza, Cesare Geronzi. Il 28 luglio il consiglio di sorveglianza di Mediobanca aveva stabilito, anche con il voto di Unicredit, di abbandonare il regime dualistico, adottato un anno fa, per tornare a quello tradizionale, dove i poteri esecutivi sono condivisi tra management e soci. Una riforma della riforma che dovrebbe essere scritta entro il 18 settembre così da andare in assemblea il 28 ottobre. Ma nei giorni scorsi a Cortina l'amministratore delegato di Unicredit ha detto che la questione è aperta. E ieri il comitato strategico, unanime, ha confermato la linea.

Dottor Profumo, avete cambiato idea?
«No. Sulla governance, comunque sia, c'è un ripensamento di tutti. Stiamo alla sostanza. Tocca al management fare proposte spiegando a che cosa servono le innovazioni, e come incidono sul destino di Mediobanca. I soci valuteranno. Quello che conta è il prodotto finito. O si resta con il dualistico rimuovendo gli ostacoli al flusso delle informazioni tra dirigenza e soci o si torna al tradizionale chiarendo bene i ruoli dei soci e del management».

Che cosa vuol dire?
«I soci scelgono il management, ne decidono le remunerazione, stabiliscono il profilo generale di rischio e approvano il piano strategico sulla base delle proposte del management. E lo fanno in consiglio e assemblea, che sono gli organi del governo societario».

Ma Mediobanca ha un patto di sindacato...
«Che serve ai soci che lo formano per esprimere un voto coeso in assemblea. Non a gestire l'azienda in dialettica con il management».

Che cosa dirà Unicredit nel patto di sindacato di Mediobanca sulla governance?
«Di non procedere per imposizioni».

In effetti, la Borsa ha bocciato il cambio della governance.
«I mercati hanno temuto che l'autonomia del management fosse troppo ridimensionata».

Se Nagel chiedesse la maggioranza del comitato esecutivo per la dirigenza?
«Non commento le voci né spezzoni di proposta. ».

Ma in Unicredit come funziona?
«Le decisioni in materia creditizia le prende il management. Le decisioni strategiche le prende il consiglio su proposta del management che le prepara discutendone prima nei diversi comitati. Quando, in Mediobanca, ci verrà presentato un testo compiuto, lo valuteremo con tutto il tempo che ci vorrà».

Il 18 settembre non è una scadenza?
«Se entro quella data ci sarà un accordo sulla proposta del management, Unicredit darà la sua approvazione. Diversamente, bisognerà discutere ancora».

Fonti vicine alla presidenza di Mediobanca dicono che non si capirebbero i motivi di un rinvio né a chi gioverebbe.
«Non capisco la fretta. Se domani qualche azionista di Unicredit volesse cambiare il ruolo e i poteri dell'amministratore delegato, dovrebbe o assumersi la responsabilità di licenziarlo subito oppure coinvolgerlo seriamente.
Se ci fosse una forzatura in Mediobanca, Unicredit non darebbe la sua approvazione».



Il patto di sindacato vincola il voto dei partecipanti a maggioranza qualificata.
«Saggezza vorrebbe che non si arrivasse ai voti. Ma Unicredit intende proteggere il valore del suo investimento».

In attesa di vendere?
«Il patto scade a fine 2009. Poi per noi tutto è possibile».

Nel 2003 l'allora capo di Mediobanca, Vincenzo Maranghi, venne defenestrato con un'operazione che non sarebbe stata possibile senza Unicredit. Volevate modernizzare la finanza italiana, si disse. Obiettivo raggiunto?
«Il 2003 fu il primo tempo di un film al quale non è seguito il secondo: lo scioglimento del legame tra Mediobanca e Generali, un passaggio cruciale per la crescita industriale di entrambe. Dovessi indicare una soluzione ideale, vedrei una Mediobanca banca d'affari pura che trasferisce le partecipazioni in un fondo chiuso quotato. Questo fondo le potrebbe tenere magari per un arco temporale lungo, ma con lo scopo, dopo averle accompagnate nello sviluppo, di venderle bene...».

E invece?
«Invece Mediobanca aveva due partecipazioni strategiche, Generali e Rcs, e adesso ne ha tre: è arrivata Telecom».

Dove Unicredit non è voluto entrare.
«Non ne vedevamo la convenienza e il mercato ci sta dando ragione».

Sciogliere il legame Mediobanca-Generali avrebbe tranquillizzato Intesa e il suo presidente, Giovanni Bazoli.
«Certo. Ma Intesa non aveva ugualmente alcuna ragione di temere che Unicredit, tramite Mediobanca, influenzasse le Generali».

Ma è realistico allentare quello storico legame tra piazzetta Cuccia e il Leone di Trieste?
«Non troppo realistico. Ma ci si potrebbe arrivare, magari gradualmente, se le Generali facessero un'acquisizione o una fusione tali da diluire la partecipazione di Mediobanca».
O con una fusione tra le due società per dar vita al terzo polo della finanza italiana.
«In teoria tutto è possibile. In pratica, sta ai manager di Mediobanca e delle Generali prendere iniziative ».

Lei declinò l'invito di Bazoli a entrare in Rcs, perché ritiene, in linea con il presidente Ciampi, che banche ed editoria debbano restare separate. Però Unicredit è il primo azionista di Mediobanca primo azionista di Rcs.
«Credo che anche questo legame vada superato tenendo conto dei legittimi interessi dei soci, ma temo di rimanere inascoltato. Vittorio Colao, ricordo, ci stava provando con iniziative di sviluppo. ».

Per Bazoli e Geronzi Intesa Sanpaolo e Mediobanca sono banche di sistema.
«Fatico a capire. La Costituzione italiana, all'articolo 47, tutela il risparmio e fa bene. Le banche gestiscono e finanziano il futuro dei loro clienti. Per questo sono sottoposte a una forte regolazione, e di questo, semmai, bisognerebbe parlare. Le banche hanno anche bisogno di legittimazione sociale: la qualità del loro lavoro deve essere ed essere percepita come valida per le comunità all'interno delle quali le banche operano. Solo sulla base di queste premesse il profitto diventa valore, ovvero profitto sostenibile nel tempo. Diverso, invece, è il caso di una banca che obbedisce a interessi estranei a quelli degli stakeholders ».

Se proponessero a voi o a Mediobanca una partecipazione in Alitalia?
«In Mediobanca deciderebbe il management. Da noi lo stesso, ma nessuno ci ha mai fatto vedere una carta».

Mediobanca è un coacervo di conflitti d'interesse con le banche azioniste e i clienti che partecipano al controllo. Cuccia e Maranghi lo risolvevano negando di fatto ai soci il diritto d'intervento. E adesso?
«L' Italia era diversa: vigeva la legge bancaria del 1936, che impediva alle banche commerciali di avere partecipazioni nelle imprese, e lo Stato imprenditore era fortissimo. E comunque quello stile non reggeva più da tempo. Oggi la legge regola i rapporti con le parti correlate. La Consob avrà un ruolo importantissimo. Vedremo».

Nell'intervista di inizio agosto al Sole 24 Ore, Geronzi ha speso parole di apprezzamento per Intesa e per il ministro Tremonti con il quale, anni fa, c'erano stati forti contrasti. Un triangolo di ferro. Unicredit rischia l'isolamento?
«Questo modo di ragionare è sbagliato. Unicredit non si preoccupa di triangoli e quadrilateri, che, peraltro, cambiano al cambiare delle convenienze. A chi sussurra: Profumo non ha sensibilità politica, rispondo che, se per essere riconosciuti sensibili bisogna sempre dire di sì, sensibile non sono. La mia stella polare è un'altra: la creazione di valore. Quando il Credito Italiano, progenitore di Unicredit, venne privatizzato, operava solo in Italia, valeva 1,7 miliardi di euro e dava un ritorno sul capitale dell'1,2%. Non fu regalato. Valeva poco. Adesso, lavora in 22 Paesi, capitalizza 50 miliardi e dà un ritorno del 14%. E questo è anche frutto di una buona governance».


Dagospia 02 Settembre 2008