NESSUN CAZZO E' DURO COME LA VITA
SIMBOLO AVARIATO DI TUTTE LE BANANE, DA SBUCCIARE E GETTARE VIA
(ESSERE O PENESSERE? QUESTO E' IL PROBLEMA.)

Laura Maragnani per Panorama



Parla «lui». E le donne ridono. Oh, come ridono! Sganasciandosi scomposte sulla poltrona, a piccoli guaiti, a ululati, ridono con la lacrima che scorre giù dall'angolo dell'occhio; e nell'apice convulso della risata, uh, ah, danno di gomito ai maschi. In quanto ai maschi, sorridono. Fanno uno di quei sorrisi un po' tirati, quasi perché si deve, in fondo non è mica Shakespeare, dicono, e il livello in scena è così così. La buttano sulla recensione critica, ecco tutto. Applaudono con educazione; ma si vede lontano un miglio che la risata gli è andata di traverso.

 

«E tutte le sere è così» giura Francesco Feletti, attore che, dal palcosce­nico romano del Teatro dei Satiri, il pubblico lo studia davvero bene. Le donne ridono, i maschi meno. E va co­sì dal 3 ottobre, dalla prima di Le confidenze del pene, serata-happening con Francesco Paolantoni, Neri Marcorè e Gioele Dix, tutti nobilmente im­pegnati a rivestire i panni del miglior amico dell'uomo. E a dargli voce. Voce querula, voce lamentosa, narrazio­ne eroicomica di smarrimenti e disfatte, con qualche raro soprassalto d'orgoglio; come se tra gli autori, età media quarant'anni, ci fosse stato un passaparola. Un: attenti, laggiù, nel buio delle vostre mutande, il povero pisello se la passa male.

 

Se la passa male anche a Londra, per la verità, dov'è in scena con Talking Cock di Richard Herring. E male in Spagna e male in Argentina, dove si recitano Le confessioni del pene di José Montero. Sulla Francia al momento non si sa, perché lo spettacolo è ancora in allestimento. Ma c'è da scom­mettere che anche lì verrà testimoniato il disastro. Perché, per dirla con Paolo Aleandri, ex direttore di Cuore e autore di uno dei monologhi romani, «questa è l'aria che tira: l'uomo è in crisi dappertutto. E tra lui e il suo pisello lo stato è di profondo malessere».

 

Il che non è una grande novità, direte. Sono già passati 31 anni da quando Alberto Moravia testimoniò, con Io e lui, la titanica lotta tra Federicus Rex e il suo sventurato portatore Rico, oppresso da un affare, eroticamente iperattivo, del peso esatto dì due chili e mezzo. E 25 anni ci separano dalla parodia che ne fece Luigi Malerba, con il protagonista, ossia Lui, in eterno litigio con il suo Capoccia. Ma sulla scena odierna non c'è più traccia di sfide colossali. Il Capoccia, il Mister, il Mana­ger, al sesso non pensa quasi più. E Lui, ormai familiarmente ridotto al rango inoffensivo di Pisello («E pisellino, e pistolino: ma è il modo di svilire il padre dei vostri figli?» s'indigna il regista Vincenzo Salemme, novello autore di Sogni e bisogni, Mondadori, romanzo di un pene che divorzia dal proprietario sessualmente morto) inutilmente dà segni di vita, il poveretto, là in basso. A giudicare dai segnali che dà il teatro, non c'è più nessuno che lo ascolti.

Ora, avrà anche ragione Massimo Fini, autore di un cult come il Di(zion)ario erotico (Marsilio), quando sostiene che così va la cultura occidentale: «Verso il totale trionfo dell'apollineo sul dionisiaco, del razionale sull'istinto, del cervello sul pene». Ma è un trionfo amarissimo. Il 30 per cento dei lettori che scrivono a Men's Health «hanno paura di averlo piccolo, o che gli funzioni male. L'ansia da prestazione e l'ossessione della misura sono ormai diffusissime e assolutamente devastanti» giura il direttore, Andrea Biavardi.

 

E tra coloro che decidono di tentare l'operazione di allungamento, come testimonia una ricerca della clinica urologica di Careggi, appena presentata a Firenze, ben il 37,3 per cento è convinto dalla visione di film pornografici, e il 62,7 per cento dal confronto con altri maschi durante l'adolescenza, di avere un pene al di sotto di quello che Lella Costa definì «il minimo sindacale». Ammette il comico Dario Vergassola: «La prima volta che ho visto un film pomo l'invidia del pene è venuta a me».

 

Per la cronaca: sette su dieci hanno rinunciato all'intervento dopo aver scoperto che la lunghezza media del pene italico, in stato di riposo, è di 9 centimetri. «Ma hai un bel sapere che 9 centimetri bastano a soddisfare sessualmente una donna. Le dimensioni contano anche a livello simbolico. Io sono contento di averlo lungo. Lo dico sempre volentieri. Il guaio è che sembra di cattivo gusto» ride lo scrittore milanese Raul Montanari, autore dì storie sessualmente estreme come Che cosa hai fatto (Baldini & Castoldi). Fallocentrico, fallolalico, grande ammiratore di Moravia, Montanari è orgogliosissimo della sua «bacchetta da rabdomante», che considera «una sonda che il maschio manda per il mondo, sperando di trovarlo umido e accogliente». Ma è uno dei pochi, in questi tempi grami, che gioiosamente rivendica «il diritto del pene alla gioia selvaggia, al suo essere animale che corre per la foresta».

 

Perché, altrimenti, è il trionfo dell'inquietudine. Dei: «Io ho sempre vissuto quest'appendice come una bestia irrequieta, un animale molto difficile da tenere sotto controllo» come confessa il comico Natalino Balasso, celeberrimo pornoattore sul palcoscenico di Zelig, ora scrittore con Balasciò (Rizzoli). O di: «È una repressione continua. Meno male che con gli anni ho imparato a tenerlo sotto controllo, perché se lo stessi sempre a senti­re forse sarei un maniaco sessuale. Più felice, forse? Chissà» come s'interroga il dj Albertino.

 

No, non c'è da farsi imbrogliare dall'apparente sdoganamento del pisello, dal suo ammiccare semiturgido nelle pubblicità di Gucci o di Sisley, o dal suo risplendere in totale nudità per il lancio dell'ultimo profumo di Yves Saint Laurent, sulle pagine francesi di Elle. «Anche se il pisello è diventato una merce come tutte le altre» garantisce un osserva­tore del costume nazionale come Roberto D'Agostino, nella realtà di tutti i giorni siamo sempre lì, ai tempi di Moravia: «L'uomo è ancora totalmente scisso in due, la testa da una parte e il pene dall'altra». E non sempre c'è un dialogo.

 

O soddisfazione. O facilità di rap­porto. Per uno stilista come Roberto Cavalli, che allegramente rivela a Panorama che «col mio pippo ho un rapporto me-ra-vi-glio-so», e che volentieri lo presenta alle amiche, «ché non mi ha mai fatto fare una brutta figura», c'è un Massimo Fini che giura: «Ogni volta ho il timore che non si presenti all'appuntamento». L'attore Francesco Paolantoni, addirittura, narra di «una lotta infinita, una infinita ricerca di compromessi»: «Quello viaggia totalmente per fatti suoi e non vuole sentire ragioni. Lo attirano sempre donne che intellettualmente non mi interessano». Come no? «Lui è poco selettivo, si fa sedurre dagli artifici. Ma se una donna non mi attira anche di testa, io a letto con lei non ci vado. E non importa se Lui protesta» sospira virtuoso il giornalista Francesco Giorgino.

 

Altro che animali che fremono nella foresta! Perfino Paolo Beldì, il regista che tanto generosamente indaga scollature e cosciame delle ospiti di Quelli che il calcio, timidamente confessa che a guidarlo nel suo guardonismo catodico è la testa, più che il pisello. Perché l'eros è nella testa, dice. E quanto al pene... «Ah, il guaio, con Lui, è che non sempre ci innamoriamo delle stesse donne». Leggero imbarazzo. «Io m'in­namoro del carattere, lui del carattere se ne infischia. Gli va bene tutto».

 

Evviva la sincerità, finalmente. Forse è per questo che applaudono le donne, quando cala il sipario al Teatro dei Satiri, e i tre attori vestiti di bianco, smarriti Piselli del nostro tempo, salutano la sala con un inchino. I maschi le prendono per il gomito, con grande cavalleria, e le accompagnano verso la notte; ma sorridono poco, i poveretti. E anche abbastanza male.




Dagospia.com 25 Ottobre 2002