CIAK, MI GIRA - VENEZIA PERVESTITA - LA MAMMA RUMENA DI DE HADELN - SCOLA-PIATTI - TITOLI A ROTOLI - ORSACCHIOTTO ROSA E LEONE D'ORO.
Michele Anselmi per Il Giornale
Tutti in sandali al Lido. Pure il direttore Moritz de Hadeln e il giurato Stefano Accorsi: il primo, però, li accompagna a dei calzini scuri, il secondo, più opportunamente, li abbina a jeans scoloriti. Vero è che ieri a mezzogiorno, dentro il rinnovato e pur elegante spazio della Terrazza Martini, non si respirava proprio. Sole a picco, giurati boccheggianti (specialmente il quasi novantenne Mario Monicelli, stanco di dare interviste nelle quali dice sempre le stesse cose, e cioè che, in caso di equilibrio sul Leone d'oro, farà vincere il film italiano), fotografi e giornalisti madidi di sudore, il presidente della Biennale impeccabile nel suo completo blu, il microfono che funzionava a tratti, Aurelio De Laurentiis irriconoscibile in tenuta yé-yé (giubbetto jeans beige con strappi mirati sulla schiena, t-shirt nera, scarpe da ginnastica e occhiali quadrati alla moda).
Strano modo di presentare alla stampa la sessantesima Mostra. Va bene essere informali, ma qui si esagera. L'anno scorso, almeno, si stava al chiuso, sferzati dall'aria condizionata. Ma dev'essere il nuovo look della Biennale. Vista l'arsura, tutto s'è concluso nel giro di pochi minuti. De Hadeln, dopo aver chiamato sul palco le due giurie (concorso e Controcorrente) per le fotografie di rito, ha spiegato che "se i film sono brutti si prende tutta la responsabilità, se sono belli il merito va a tutta la commissione", Bernabè ha ribadito che non ci sono polemiche col sindaco di Venezia (oddìo questa sembra grossa), che squadra che vince non si cambia (insomma il direttore resta per altri due anni), che per la Mostra, a causa della situazione della finanza pubblica, si possono pensare solo "miglioramenti incrementali e non rivoluzionari". C'era anche uno spot da mostrare, ma "la sorpresa" non se l'è filata nessuno. Tutti si sono fiondati sul bar, in cerca d'acqua fresca, alla faccia del Martini.
ANGLO-SVIZZERO? Finalmente s'è capito, grazie al primo numero di "Ciak in Mostra", quotidiano ufficiale del festival curato dal mensile "Ciak", di che nazionalità è de Hadeln. C'è chi lo vuole tedesco, chi svizzero, chi inglese, chi apolide, come Adamo. Il direttore sarebbe un Von Hadeln se il padre, inglese, sposato con una pittrice rumena emigrata in Francia, non avesse mutato il cognome nel lontano 1939. Aggiunge l'interessato: "Sono nato in Inghilterra, battezzato in Irlanda del nord da un pope ortodosso, cresciuto a Firenze, passaporto svizzero dal 1986".
LA VENDETTA DI SCOLA. Snobbato alla Mostra, che non sapeva proprio dove sistemare "Gente di Roma", film-omaggio alla Capitale girato in digitale e coprodotto dall'Istituto Luce, Ettore Scola ha deciso di fare un regalo a Felice Laudadio, che fu direttore in quota centrosinistra prima di Alberto Barbera. Il film aprirà il festival Europa-Cinema di Viareggio, il prossimo 20 settembre. Si chiude così la piccola vertenza che aveva movimentato gli ultimi giorni di luglio. De Hadeln ha spiegato al "Giornale" che "Scola è un grande maestro": "Purtroppo non s'è trovata la collocazione giusta per il film, essendo stato visto all'ultimo momento". Piccola bugia. "Gente di Roma" proprio non è piaciuto. Né a De Hadeln né ai suoi collaboratori. Capita.
GAY PRIDE. La sortita del direttore su un eventuale premio gay-lesbo da istituzionalizzare a Venezia, sul modello del Teddy Bear creato a Berlino, è stata lasciata cadere da molti quotidiani. Chissà perché. Ma qui al Lido tutti si chiedono che avesse in testa davvero il direttore: voleva lanciare una provocazione laica o prefigurare un outing come ha maliziato Dagospia? Su "Film Tv Daily", l'altro quotidiano della Mostra, il critico Fabio Bo, nella sua spiritosa rubrichetta "In & Out" su chi sale e chi scende, scrive in rosso "Orsacchiotto rosa" e in nero "Leone d'oro".
TITOLI. Ha proprio ragione "Il Gazzettino di Venezia". Nella sua rubrica "Schiocchezzaio" ha sfotticchiato la pessima abitudine italiana di ritoccare i titoli alterandone il senso. Oddio, quasi sempre pecchiamo di scarsa fantasia, sicché si preferisce lasciare il titolo originale in inglese, anche quando appare astruso o di difficile pronuncia. Ma nel caso del nuovo film dei fratelli Coen, accolto tra i fuori concorso, s'è esagerato al contrario. Che senso ha trasformare "Intolerable Cruelty" in "Prima ti sposo poi ti rovino"? Trattasi di una commedia acida e cattiva sui ricchi di Los Angeles, e la presenza di George Clooney e Catherine Zeta-Jones promette brividi di perfidia. Per cortesia non torniamo ai vecchi tempi, quando "Domicile Conjugal" di Truffaut poteva essere ribattezzato "Non drammatizziamo è solo questione di corna".
Dagospia.com 28 Agosto 2003
Tutti in sandali al Lido. Pure il direttore Moritz de Hadeln e il giurato Stefano Accorsi: il primo, però, li accompagna a dei calzini scuri, il secondo, più opportunamente, li abbina a jeans scoloriti. Vero è che ieri a mezzogiorno, dentro il rinnovato e pur elegante spazio della Terrazza Martini, non si respirava proprio. Sole a picco, giurati boccheggianti (specialmente il quasi novantenne Mario Monicelli, stanco di dare interviste nelle quali dice sempre le stesse cose, e cioè che, in caso di equilibrio sul Leone d'oro, farà vincere il film italiano), fotografi e giornalisti madidi di sudore, il presidente della Biennale impeccabile nel suo completo blu, il microfono che funzionava a tratti, Aurelio De Laurentiis irriconoscibile in tenuta yé-yé (giubbetto jeans beige con strappi mirati sulla schiena, t-shirt nera, scarpe da ginnastica e occhiali quadrati alla moda).
Strano modo di presentare alla stampa la sessantesima Mostra. Va bene essere informali, ma qui si esagera. L'anno scorso, almeno, si stava al chiuso, sferzati dall'aria condizionata. Ma dev'essere il nuovo look della Biennale. Vista l'arsura, tutto s'è concluso nel giro di pochi minuti. De Hadeln, dopo aver chiamato sul palco le due giurie (concorso e Controcorrente) per le fotografie di rito, ha spiegato che "se i film sono brutti si prende tutta la responsabilità, se sono belli il merito va a tutta la commissione", Bernabè ha ribadito che non ci sono polemiche col sindaco di Venezia (oddìo questa sembra grossa), che squadra che vince non si cambia (insomma il direttore resta per altri due anni), che per la Mostra, a causa della situazione della finanza pubblica, si possono pensare solo "miglioramenti incrementali e non rivoluzionari". C'era anche uno spot da mostrare, ma "la sorpresa" non se l'è filata nessuno. Tutti si sono fiondati sul bar, in cerca d'acqua fresca, alla faccia del Martini.
ANGLO-SVIZZERO? Finalmente s'è capito, grazie al primo numero di "Ciak in Mostra", quotidiano ufficiale del festival curato dal mensile "Ciak", di che nazionalità è de Hadeln. C'è chi lo vuole tedesco, chi svizzero, chi inglese, chi apolide, come Adamo. Il direttore sarebbe un Von Hadeln se il padre, inglese, sposato con una pittrice rumena emigrata in Francia, non avesse mutato il cognome nel lontano 1939. Aggiunge l'interessato: "Sono nato in Inghilterra, battezzato in Irlanda del nord da un pope ortodosso, cresciuto a Firenze, passaporto svizzero dal 1986".
LA VENDETTA DI SCOLA. Snobbato alla Mostra, che non sapeva proprio dove sistemare "Gente di Roma", film-omaggio alla Capitale girato in digitale e coprodotto dall'Istituto Luce, Ettore Scola ha deciso di fare un regalo a Felice Laudadio, che fu direttore in quota centrosinistra prima di Alberto Barbera. Il film aprirà il festival Europa-Cinema di Viareggio, il prossimo 20 settembre. Si chiude così la piccola vertenza che aveva movimentato gli ultimi giorni di luglio. De Hadeln ha spiegato al "Giornale" che "Scola è un grande maestro": "Purtroppo non s'è trovata la collocazione giusta per il film, essendo stato visto all'ultimo momento". Piccola bugia. "Gente di Roma" proprio non è piaciuto. Né a De Hadeln né ai suoi collaboratori. Capita.
GAY PRIDE. La sortita del direttore su un eventuale premio gay-lesbo da istituzionalizzare a Venezia, sul modello del Teddy Bear creato a Berlino, è stata lasciata cadere da molti quotidiani. Chissà perché. Ma qui al Lido tutti si chiedono che avesse in testa davvero il direttore: voleva lanciare una provocazione laica o prefigurare un outing come ha maliziato Dagospia? Su "Film Tv Daily", l'altro quotidiano della Mostra, il critico Fabio Bo, nella sua spiritosa rubrichetta "In & Out" su chi sale e chi scende, scrive in rosso "Orsacchiotto rosa" e in nero "Leone d'oro".
TITOLI. Ha proprio ragione "Il Gazzettino di Venezia". Nella sua rubrica "Schiocchezzaio" ha sfotticchiato la pessima abitudine italiana di ritoccare i titoli alterandone il senso. Oddio, quasi sempre pecchiamo di scarsa fantasia, sicché si preferisce lasciare il titolo originale in inglese, anche quando appare astruso o di difficile pronuncia. Ma nel caso del nuovo film dei fratelli Coen, accolto tra i fuori concorso, s'è esagerato al contrario. Che senso ha trasformare "Intolerable Cruelty" in "Prima ti sposo poi ti rovino"? Trattasi di una commedia acida e cattiva sui ricchi di Los Angeles, e la presenza di George Clooney e Catherine Zeta-Jones promette brividi di perfidia. Per cortesia non torniamo ai vecchi tempi, quando "Domicile Conjugal" di Truffaut poteva essere ribattezzato "Non drammatizziamo è solo questione di corna".
Dagospia.com 28 Agosto 2003