Luca Beatrice per “Libero quotidiano”
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Ridurre ciò che Gilles Deleuze definiva "image-mouvement" a un elemento sintetico e statico, rappresenta l'ostacolo più evidente per la difficile realizzazione di mostre dedicate al cinema. Come sintetizzare il tempo dinamico delle due ore, poco meno o poco più, necessarie alla visione di un film attraverso una serie di inquadrature feticcio, oggetti di scena, frammenti di set che estirpati dal contesto per il quale erano nati rischiano di non funzionare?
Probabilmente attraverso due modalità: l'invenzione di un nuovo linguaggio espositivo e comunque la scelta di autori particolarmente visivi, la cui poetica regga le nostre abitudini di pubblico che di solito si confronta con immagini bidimensionali e piatte. Nel caso del cinema, un frame funziona soprattutto da detonatore di ricordi, così la mente può vagare alla ricerca di sensazioni che appartengono al nostro vissuto.
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Non sono molti i registi di fiction che riescono a oltrepassare la linea di demarcazione tra cinema e arte. I nomi sono sempre gli stessi - Fellini, Greenaway, Cronenberg, Lynch, Anderson - e dalla spiccata autorialità. Nel genere, però, possiamo scovare sorprese e rivelazioni, ed è questo mi pare il primo motivo per il quale Dario Argento funziona meglio di tanti altri. Il suo modo di fare cinema, oltre ad aver imposto negli anni migliori una vera e propria firma stilistica, risulta fortemente legato al culto dell'immagine e non sono estranee le ragioni familiari: suo padre Salvatore era produttore cinematografico, sua madre Elda sorella del famoso fotografo Elio Luxardo.
MAGIA BIANCA E NERA
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Nato a Roma, Argento è però molto legato a Torino, città misteriosa, incrocio tra magia bianca e magia nera, tra Liberty e modernismo. Quando ancora non andava troppo di moda usarla come set, Argento vi girò sequenze de L'uccello dalle piume di cristallo l'omicidio ambientato alla Galleria d'Arte Moderna-, una casa nel quartiere Crocetta e il cimitero monumentale ne Il gatto a nove code, i giardini Lamarmora in Quattro mosche di velluto grigio, l'ex Galleria "La Bussola di via Po" ne La terza madre.
Tuttavia, il suo film più torinese resta Profondo rosso, tra Villa Scott ai piedi della collina, un bar ricostruito in piazza CLN sul modello della pittura di Edward Hopper, il Teatro Carignano, l'utilizzo dei dipinti di Enrico Colombotto Rosso del gruppo Surfanta per il carattere spaventevole e orrorifico, cui aggiungere l'intuizione della colonna sonora affidata ai Goblin, semplicemente immortale.
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Sembrano ragioni sufficienti perché sia proprio il Museo del Cinema di Torino a celebrare Dario Argento in una grande mostra che si intitola semplicemente The Exhibit curata dal direttore Domenico De Gaetano e dal critico Marcello Garofalo, aperta da oggi fino al 16 gennaio 2023. Il nucleo fondante, dal punto di vista della rarità, è costituito dai memorabilia tra oggetti di scena, bozzetti scenografici, fotografie, macchine per gli effetti speciali, costumi - e tra questi i vestiti di Jennifer Connelly disegnati da Giorgio Armani per Phenomena. Oltre agli schermi che proiettano sequenze in loop e la riproposta della copia ristrutturata di Suspiria, altro capolavoro.
ATTACCHI D'ANSIA
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Dario Argento è un maestro della paura e tutto il suo stile è finalizzato a provocare veri e propri attacchi d'ansia e di terrore al povero spettatore che continua a spaventarsi anche se Profondo rosso lo ha visto dieci volte, scivolando nel meccanismo della falsa soggettiva- l'assassino che spunta da tutt' altra parte dell'inquadratura dopo averci fatto credere che il suo sguardo coincideva con il nostro punto di vista.
Questa consacrazione museale conferma l'idea che Argento sia considerato un autore e non solo un esperto di horror ai limiti del bMovie, proprio per la sofisticatezza e la cura nel trattare le immagini. Adorato dalla critica francese colta e snob, anche in Italia vanta schiere di fan e cultori che conoscono a memoria i suoi film. Vero è che la parte migliore del suo cinema rimane tra anni '70 e '80, eppure anche nei lavori più recenti e indubbiamente meno belli, prima o poi arriva la zampata del vecchio leone capace di aggiustarti storie strampalate con un bel coltellaccio intriso nel sangue, una gola sgozzata, l'odore della morte.
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