Roberta Scorranese per Futura – Corriere della Sera
Da corriere.it
dario argento
La testa mozzata di Oloferne nella Giuditta di Rubens al massimo gli strappa un sorriso divertito. Così come non fa una piega davanti alle crocifissioni più splatter del Trecento, alcune con rivoli di sangue zampillanti dal costato di Cristo. Ma quando arriviamo in una saletta in penombra della Galleria degli Uffizi e ci avviciniamo alla testa di Medusa di Caravaggio, be’ allora anche Dario Argento si fa silenzioso. Osserva quell’intrico di serpenti, terrore e urlo muto. Che cosa darebbe per aver inventato lui quella cosa.
Chissà che filmone ne sarebbe nato.
«Eh, ma per fare cose così devi avere paura sul serio».
E lei non ha paura?
«Altroché. Ho paura di tutte le paure che negli anni ho coltivato».
Lo guardo e cerco tracce di antichi demoni, gli stessi che mi tormentavano quando, negli anni ‘90, in tv, passavano «Profondo Rosso» o «Suspiria». Macché. Quello che ho davanti è un affabile e colto signore di 78 anni che ha quasi l’aria di scusarsi per tutte le notti insonni che ha disseminato nel mondo.
Certo che a causa sua, dall’America al Giappone tanta gente ancora oggi, rientrando in casa, ha paura di vedere una bambola impiccata.
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«Quello che ancora non mi spiego è questa popolarità trasversale. Mi dedicano decine di retrospettive dalla Francia alla Corea. In Giappone hanno persino aperto un ristorante che si chiama “Suspiria”e ha gli arredi ispirati al film. Però io un’idea me la sono fatta: ho raccontato le paure più profonde, che sono quelle di tutti. Cose che non hanno lingua né latitudine».
Un sussulto: siamo arrivati davanti a una cosa che mozza il fiato, l’incredulità di san Tommaso, copia da Caravaggio. Due dita nella carne. Punto.
«Sta tutto nella luce, guardi qua. Chiarore alto, fuoco nel dettaglio», dice con piglio professionale, come se avesse appena suggerito all’aiuto regista di spostare un po’ quel brandello di pelle.
Il suo primo film, «L’uccello dalle piume di cristallo», è del 1970, «Suspiria» è del 1977. I suoi lavori più famosi lei li ha fatti nel decennio terribile della storia italiana recente.
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«Sì, negli Anni di Piombo. Me ne sono accorto dopo, ma in fondo io raccontavo a modo mio quella stagione irrequieta. Solo che non lo facevo con i film impegnati, pieni di parole e di piani sequenza. L’ho fatto con il genere horror, di fatto aprendo la strada in Italia. All’inizio la critica mi ha distrutto».
D’altra parte lei veniva dal giornalismo di sinistra, faceva il critico cinematografico a «Paese Sera».
«Non me l’hanno mai perdonato, sa? Pensi che persino quando osai fare una critica positiva ai film di Sergio Leone venni rimbrottato. Dicevano che era robaccia. La critica ha massacrato Leone fino a “C’era una volta in America”. Non so se era una battuta, ma Sergio diceva sempre che suo figlio a scuola raccontava di avere un padre becchino. Tutto pur di non dire la verità».
Camminiamo lentamente. Passiamo davanti a resurrezioni, assunzioni in cielo, trasfigurazioni. Si materializza una domanda.
Dario, lei è credente?
«Vado in chiesa ogni domenica, faccio pure le letture, se potessi servirei messa».
Non lo avrei mai detto.
«Sono un credente di ritorno. Ho studiato dagli Scolopi e da bambino ero devoto, poi sono diventato ateo. Quando è morto mio padre, però, è successo qualcosa. Sono entrato in una chiesa, mi sono messo a parlare con una monaca anziana. Da allora sono cambiato. Oggi senza la fede sarei perso».
E perché?
«Perché ho accumulato tante cose. Tante cose brutte dentro. Il litigio con mio fratello, per dire, mi ha fatto molto male. Ho anche avuto un amministratore che mi ha depredato. Ma al di là di questo, io ho indagato in cose che forse avrei dovuto lasciar stare».
Davanti a noi, una bellissima donna del Bronzino. Sono quasi tutte uguali le donne del Bronzino, ma questa è più elegante. Più distante. Più astratta.
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Che cosa ha visto che avrebbe preferito non vedere?
«Ho voluto studiare da vicino i riti pagani dei vudù, per esempio. Ho fatto lunghi viaggi solitari ad Haiti, Martinica, Guadalupa. Ho visto con i miei occhi una donna diventare un serpente, muoversi come un serpente, aggredire un uovo come un serpente. Ho visto gli zombi. Sembravano addormentati. Erano drogati. Li ho raccontati a George Romero, mio grande amico, pace all’anima sua. Così come ne ho parlato a un altro mio amico, John Carpenter».
Che trio. (Paura, eh?)
«Sa quante volte amici registi e produttori mi hanno invitato a trasferirmi in America? Ma io questa decisione non l’ho mai voluta prendere perché lì i produttori hanno il final cut, ti massacrano i film. “Opera”me lo hanno tagliato di venti minuti buoni. E meno male che non era lungo».
Perché lei viaggia da solo?
«Perché sono un uomo solo. Non riesco a dormire con qualcuno, a meno che io non conosca bene questa persona. Ho sempre paura che di notte possa svegliarsi, e...»
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Ha paura di ritrovarsi in un suo film?
«Ho bisogno di tempo per fidarmi. Ma ora sto bene da solo. In fondo, sono stato un papà affettuoso sia con Asia che con Fiore. Ad ogni separazione dalle loro mamme, le ragazze sono venute a stare con me. Credo che Asia abbia sofferto molto per quello che le è successo in Italia di recente. La ammiro per questa sua battaglia. Così come ammiro Fiore. Sono due donne coraggiose».
Una pala d’altare. È la pala dello Spedalingo di Rosso Fiorentino, con i santi che sembrano demoni, occhi spiritati.
Lei si interessa ancora di occulto?
«Sì, ogni tanto vado a trovare un sensitivo che si chiama Proverbio. Anche Fellini era appassionato dell’occulto. Raccontava che una volta Julius Evola gli mostrò la gamba paralizzata e gli disse, un po’ scherzando e un po’ no: colpa di tutto l’occulto che ho studiato. Fellini si mise una paura matta».
E Pasolini com’era?
«Fu molto sgarbato con me. Lo invitai a un convegno dove moderavo gli interventi di diversi intellettuali ma a malapena mi rivolse la parola».
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È vero che lei ha girato in lungo e in largo l’India da solo?
«Sì perché volevo fare un film ambientato lì. Poi non se ne fece nulla, troppi problemi, per esempio con la censura. Però in quegli anni lì di santoni ne trovavi quanti ne volevi. Mi fa sorridere che oggi si parli tanto di fake news: all’epoca tutti, intellettuali compresi, si bevevano di quelle str...ate. Si credeva a tutto».
Droghe?
«Ne ho provate diverse, sì. Per anni sono stato dipendente da hashish e marjuana, poi mi è venuta l’asma bronchiale e ho smesso».
asia argento alla manifestazione wetoo
E come vive la sua celiachia?
«Bene, anche se me tocca mangià ‘na pasta che ve la raccomando (ride, ndr). Ma la cosa curiosa è che, come per la fede, anche per il cibo sono uno che ha fatto un cammino a ritroso: vegetariano per molti anni, sono tornato a mangiare carne. Mi cadevano i denti, mi si rompevano facilmente le ossa».
Siamo arrivati nel corridoio con le statue antiche. C’è una bella luce. Niente qui potrebbe far paura.
Dario, ma ce lo dice di che cosa ha davvero paura lei?
«Forse della morte. Perché tutto sommato la vita è divertente».
asia e dario argento
Questa «passeggiata» agli Uffizi con Dario Argento è stata possibile grazie al direttore della Galleria, Eike Schmidt, in occasione della presentazione di Horror (Mondadori) libro di racconti firmato dal regista, uno dei quali è ambientato proprio nel museo fiorentino.
DARIO E ASIA ARGENTO GABRIELE LAVIA IN INFERNO DI DARIO ARGENTO DARIO ARGENTO DARIO ARGENTO DARIO ARGENTO DARIO ARGENTO DARIO ARGENTO DARIO ARGENTO DARIO ARGENTO