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    TE LO DO IO IL RATING! - SE IL PM MICHELE RIGGIERO RIUSCIRÀ A DIMOSTRARE I SUOI SOSPETTI DIVENTERÀ EROE NAZIONALE: PER LA PROCURA DI TRANI, L’AGENZIA DI RATING S&P AVREBBE DIFFUSO NOTIZIE “ESAGERATE E TENDENZIOSE SULLA TENUTA DEL SISTEMA ECONOMICO-FINANZIARIO E BANCARIO ITALIANO CONCRETAMENTE IDONEE A PROVOCARE UNA SENSIBILE ALTERAZIONE DEL PREZZO DI STRUMENTI FINANZIARI” - LE “TEMPISTICHE SOSPETTE” FANNO PENSARE A UN ATTACCO PREMEDITATO ALL’EURO…


     
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    Roberto Sommella per "Milano Finanza"

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    Se gli operai della Fiat si troveranno un giorno a lavorare in America lo si dovrà non solo alle mosse di Sergio Marchionne. L'uomo dal maglione nero ha certamente compiuto una scelta di campo, spostando una buona parte della produzione negli States, ma le sue strategie finanziarie e il destino di migliaia di dipendenti sono stati influenzati da una sciagurata quanto inopportuna invasione di campo di alcuni attori della finanza mondiale: gli stregoni del rating, che hanno recluso l'Italia nel club della tripla B, inevitabilmente hanno anche sospinto l'amministratore delegato della casa torinese ad andare dove il denaro in banca costa meno.

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    No, non è un capitolo di una spy story. È lo scenario clamoroso e inedito di cause ed effetti che sta emergendo dalle nuove carte dell'inchiesta della Procura di Trani sulle agenzie di rating e in particolar modo su Standard & Poor's, il colosso americano che a inizio anno ha appunto abbassato a freddo e senza motivazioni concrete il voto al debito sovrano italiano.

    Il magistrato Michele Ruggiero ha appena depositato la notifica della chiusura indagini nei confronti di S&P, preludio di una richiesta di rinvio a giudizio (che potrebbe scattare anche per Fitch e Moody's, anch'esse sotto inchiesta). L'accusa nei confronti dei manager dell'azienda è pesantissima: manipolazione dei mercati, con l'aggravante del grave nocumento nei confronti del debito e dell'economia del Belpaese.

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    Ma se finora era noto perché la magistratura avesse messo nel mirino le sorelle del voto ai bilanci che dal 2010 imperversano con i loro giudizi sui mercati internazionali, colpendo una volta gli Stati Uniti, un'altra volta Roma e tutti i Paesi dell'eurozona con le conseguenze che ben si conoscono in questi mesi in tutto il Vecchio continente, quello che ancora non si sapeva e che MF-Milano Finanza è in grado di anticipare, sono i nuovi risvolti che emergerebbero anche dalle indagini disposte negli ultimi mesi dai magistrati.

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    Il quadro che si ricava, che ovviamente andrà tutto provato in sede di dibattimento, se ci si arriverà (Standard & Poor's ha sempre ribadito la correttezza del suo operato), getta una nuova luce sui fatti economici e politici che hanno interessato l'Italia e il suo governo a partire dall'estate del 2011, quando Silvio Berlusconi ha cominciato pericolosamente a perdere colpi e a imbarcare l'acqua che gli sarebbe stata fatale nel novembre successivo, con l'avvento dell'esecutivo tecnico guidato da Mario Monti.

    La data clou, secondo la procura, è proprio quella del 1° luglio dello scorso anno, quando Standard & Poor's emise un report fortemente critico sulla manovra anti-crisi varata dal ministro dell'economia dell'epoca, Giulio Tremonti, ancor prima che venisse illustrata e poi pubblicata in Gazzetta Ufficiale. Come in altri casi, quel venerdì nero innescò una serie di vendite a Piazza Affari, un copione già visto in altre occasioni.

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    La domanda fondamentale, alla quale pare che Ruggiero abbia trovato risposta, è un'altra: le agenzie di rating, e in particolar modo S&P, sono rimaste arbitri dello scacchiere finanziario o hanno agevolato in qualche modo, insieme ai movimenti diplomatici e non targati Berlino, un cambio nella guida politica del nostro Paese? Secondo quanto sta venendo a galla da un'inchiesta che rischia di terremotare gli equilibri stessi del capitalismo mondiale, diviso tra chi specula, chi perde e chi emette rating e report, le mosse di S&P sarebbero (il condizionale è d'obbligo) state in qualche modo concertate da un capo all'altro delle sue sedi Milano, Londra e New York.

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    Tanto che anche nei confronti del nuovo ceo del colosso dei voti, Douglas Peterson, Trani ha notificato la chiusura delle indagini, così come per il suo predecessore Deven Sharma (finito sotto il tiro dell'amministrazione di Barack Obama dopo il taglio maldestro del rating degli Usa nell'agosto 2011) e per l'ad per l'Italia, Maria Pierdicchi. Su di loro pende un'accusa pesante, in quanto responsabili dell'attività di rating effettuata dai loro analisti che «elaboravano e diffondevano» nei mesi di maggio, giugno e luglio 2011, notizie non corrette «dunque false in parte» e comunque, si legge nel capo d'imputazione, «esagerate e tendenziose sulla tenuta del sistema economico-finanziario e bancario italiano concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari».

    Silvio BerlusconiSilvio Berlusconi

    La novità degli ultimi giorni è però che, sulla base delle nuove carte in mano alla procura pugliese, proprio quel termine «falso» attribuito all'attività, comunque non perseguibile per le leggi americane, si sarebbe trasformato da un'opinione a un'azione in qualche modo «falsata». Una bella differenza, che ha fatto scattare la perseguibilità americana per le persone oggetto d'indagine e anche il possibile utilizzo della Legge 231 sulla responsabilità giuridica delle imprese, una normativa che punisce le società ree di manipolazioni di mercato non con la custodia cautelare, ma con sanzioni pecuniarie che potrebbero arrivare anche a 250 milioni di euro.

    Che carte ha in mano il pm Ruggiero? La procura di Trani tiene ben coperti i suoi assi che verranno sfoderati ai primi di luglio, ma sembra che dalle ulteriori indagini effettuate con l'ausilio della Guardia di finanza, quel report di luglio e soprattutto il downgrading del debito italiano di gennaio al livello BBB potrebbero essere frutto non di una svista o di un'attività di analisi, ma di un pilotaggio delle informazioni sullo stato dell'economia italiana che avrebbe fatto scattare i report che punivano l'Italia, in momenti topici: la presentazione di una manovra (luglio, quella di Berlusconi), dicembre (il varo del decreto salva-Italia di Monti) e gennaio 2012, quando a essere bocciati furono nove Paesi, Italia compresa, dell'eurozona.

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    Secondo l'accusa, si tratta di azioni lecite che però messe insieme svilupperebbero il reato di manipolazione dei mercati e le stesse intercettazioni dimostrerebbero che tali giudizi, peraltro non condivisi da alcuni alti dirigenti di S&P, sarebbero stati emessi e diffusi oltre le 12 ore previste dal Regolamento Ue sulle agenzie di rating, con un timing sospetto che colpiva il Belpaese quando gli avrebbe fatto più male. Insomma, il dubbio che sta prendendo corpo in una vera e propria accusa è che S&P sia andata ben oltre la libertà di opinione sancita dalla costituzione americana, ordendo con artifizi informativi qualcosa che Berlusconi potrà derubricare in un complotto contro il suo esecutivo, ma che forse sarebbe meglio definire un vero intrigo internazionale che aveva come obiettivo non una persona ma una moneta: l'euro.

     

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