Pierluigi Panza per Corriere.it
Aridateci Zeffirelli, rivogliamo gli elefanti è la prima sensazione che emerge dopo aver osservato per un atto intero la gigantesca scatola d’imballaggio che la persiana a stelle&strisce Shrin Neshat ha messo in scena nell’”Aida” di Salisburgo.
Aida 2017 - Francesco Meli Riccardo Muti Shirin Neshat Anna Netrebko Luca Salsi
L’opera non veniva qui rappresentata dal 1979, con Karajan (ripresa nell’80). Coraggiosamente, l’intendant Markus Hinterhäuser, che ha sostituito Alexander Pereira, l’ha rimessa in cartellone nell’ottica del Festival di Salisburgo, ovvero l’ottica opposta a quella dell’Arena di Verona, pur in genere popolata da austro-tedeschi in vacanza sul Gardasee.
Shirin Neshat
Su Riccardo Muti e i Wiener i presenti in sala non hanno dubbi: solo applausi sin dall’inizio. Anche il cast celebra un’ancora ottima Netrebko variamente affiancata dal sempre bravo Francesco Meli, con Roberto Tagliavini (molto bene) e Luca Salsi e con Daniela Barcellona ed Ekaterina Semenchuk, sulla quale i critici si sono divisi.
Aida 2017 - Francesco Meli Riccardo Muti Shirin Neshat Anna Netrebko Luca Salsi
Sulla regia, ovvero sull’interpretazione dell’opera, diradata la prima sensazione subentra una maggiore gradevolezza estetica accompagnata, però, dalla necessità di un’ampia riflessione critica.
Shrin Neshat ha costruito una carriera di artista e videoartista rivendicando – da lontano, molto lontano – i diritti per le donne iraniane. E’ celebre per i suoi ritratti di corpi di donne interamente ricoperti da scritte calligrafiche o con una pistola tra i piedi.
Questa primavera, in occasione della Biennale, al Museo Correr di Venezia aveva allestito una sala con questi corpi di donna calligrafati disposti intorno a un crocefisso (“The Home of My Eyes”); cose già viste ma di effetto. Anche in questa “Aida” i sacerdoti appaiono interconfessionali, forse cristiani copti ma anche musulmani e ciò a testimoniare la chiusura ideologica di tutte le fedi.
Aida 2017 - Francesco Meli Riccardo Muti Shirin Neshat Anna Netrebko Luca Salsi
Ma quel che manca, all’inizio, è il pathos. Va bene una “Aida” non pompeux, asciutta, forse intimista… ma, come riportato dal “New York Times” all’inizio non c’è invenzione: stanno tutti fermi davanti a una grande scatola di polistirolo.
L’Egitto antico è, naturalmente, bandito come qualcosa di esteticamente e culturalmente improponibile. Tanto che noi, a priori, ci aspettiamo che la Neshat, imbevuta di testi ideologici come “Orientalismi” di Edward Said (tanto amato da Barenboim), metta in scena l’ormai solita - solita nei posti che contano per il contemporaneo come Salisburgo, Kassel, Basilea, New York, Venezia… - tiritera antioccidentale.
Shirin Neshat The Home of My Eyes
Aida 2017 - Francesco Meli Riccardo Muti Shirin Neshat Anna Netrebko Luca Salsi
Un po’ di questo c’è, specie nei costumi di vaga ispirazione ottomana (mentre l’abbigliamento delle schiere egizie è prussiano) e negli etiopi vestiti da migranti. Tuttavia non è su questo che l’artista punta. Il tentativo è quello di collocare l’opera in una sorta di purismo visionario che decolla dal secondo atto e culmina nella prima scena del quarto con la proiezione dal vivo dei sacerdoti dentro la scatola, contro la quale Amneris urla la sua disperazione (e qui la Semenchuk è riuscita bene).
Ci sono poi poco comprensibili lampade anni Settanta che scendono dalle graticce e resta un sostanziale immobilismo rotto solo dalle azioni coreografiche.
Aida 2017 - Francesco Meli Riccardo Muti Shirin Neshat Anna Netrebko Luca Salsi
Alcuni ipercritici su Muti sostengono che il direttore sia un po’ un “mangiaregisti”: per lui la musica è “sopra ogni cosa” (citazione da Valery): non solo le parole seguono la musica, ma la regia ancora di più. Inoltre, se si chiama una videoartista, è chiaro che tenda a costruire immagini piuttosto che a far muovere i personaggi per raccontare un’azione. Ma che obiettivi vuole raggiungere tutto ciò?
Shirin Neshat -Women-of-Allah
L’opera resta affidata alla bellezza delle note, anch’esse eseguite accentuando l’intimismo e spogliando “Aida” da trionfalismi, marce e memnoni... Sebbene – ricordiamolo - quest’opera fu composta con Mariette praticamente per l’inaugurazione di Suez, il canale che per primo l’ingegnere Le Pere al seguito di Napoleone in Egitto pensò di aprire. Era il 1798 e l’imperatore sognava un passaggio verso l’India che mettesse in scacco la potenza inglese. Nel libretto di sala, il musicolo di Heidelberg Anselm Gerhard fornisce una spiegazione che sta alla base di tutta questa messa in scena. Ma è una spiegazione che, a nostro avviso, combatte l’ideologia con una ideologia.
netrebko e meli in aida
Gerhard evidenzia che esiste in Verdi una lettura antitrionfalistica e antiegizia di “Aida”. Verdi paragonava gli egizi al militarismo prussiano degli anni Settanta, che il compositore detestava. Pertanto, la marcia trionfale del secondo atto non è da intendersi se non come una forma di arroganza del vincitore, così come una aberrazione dovevano apparire a Verdi le conquiste europee in Africa di quel tempo.
L’opera, pertanto, sarebbe da interpretare quasi come un j’accuse alle potenze vincitrici e un “oratorio” a favore degli oppressi e va sottratta alla semplificazione Egizi=bianchi=europei=buoni contro Etiopi=neri=africani=cattivi.
anna netrebko in aida
Credo che in questa lettura ( “la storia è sempre contemporanea” come diceva Croce, troppo contemporanea a Salisburgo) una nuova ideologia ci metta il suo zampone per combattere la precedente: basta leggere i diari di viaggio e le relazioni degli ambasciatori dal Levante di fine Settecento per capire con quale afflato le potenze europee, specie la Francia, occuparono progressivamente i territori dell’Impero Ottomano, marcio al suo interno, arretrato, spesso feroce, con l’idea di portarvi veramente la libertà.
NESHAT 8
Se l’idea di “esportare la democrazia” risulta oggi inattuale, non lo era due secoli fa al suo svilupparsi, basta leggere Pocqueville e Hobhouse e, prima di loro, Volnay… Dunque, se da un lato Gerhard fa bene a prendere le distanze dalla posizione iperideologica di Said per il quale tutta la cultura europea dell’Ottocento è “Orientalista”, ovvero costruisce una idea d’Oriente che favorisce l’avventura coloniale, dall’altro cade a suo volta nella contemporanea lettura ideologica dettata dal politically correct.
AIDA 3
Per ottemperare alla quale si va a cercare nell’opera qualcosa di non peculiare per sottrarla dal novero delle produzioni culturali ritenute da Said “Orientaliste”. Lasciamo pure, invece, che agli occhi dell’ideologo Said “Aida” continui a restare un’opera orientalista. Non è una parolaccia. Su questo bisogna lavorare!
Gli europei avevano glorificato da sempre la “prisca sapienza egiziana” origini di tutte le culture sino al XVIII secolo quando i filoelleni riuscirono a spostare nella Grecia la patria di origine delle civiltà (si veda Martin Bernal).
aida
NESHAT 6
Allora si riteneva questa “prisca sapienza” obliata a causa della devastante oppressione ottomana, dal cui “giogo” i liberatori europei volevano affrancare i popoli di quelle terre. Questo è il contesto della nascita del canale di Suez, di “Aida”… Lasciamo l’opera qui, senza cospargerci il capo di cenere. Non c’è bisogno di nascondere la polvere sotto un tappeto persiano.