Simonetta Sciandivasci per “la Stampa”
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Arisa è sempre nuova, diversa, mascherata. Più si traveste e più si scopre; più si trucca e più si svela.
Quando è entrata nelle nostre vite, 13 anni fa, cantava Sincerità intabarrata in una tenuta da educanda, gonnellone, golfino, occhiali da bibliotecaria, ed era già capace di mostrare che l'autenticità non c'entra niente con la semplicità, la trasparenza, la modestia, ma c'entra tutto con la ricerca, e che la naturalezza, come ogni cosa, è un progetto, un costume.
Da allora, è stata tutte o quasi tutte le donne possibili, tutte le identità canoniche e non canoniche. Quando canta Arisa, sembra sempre che possa succedere di tutto, che lei possa da un momento all'altro cascare o volare: è in questo che è autentica, nel non avere mai protezione, nel portare sempre scritto sul viso una specie di sconvolgimento, lo stupore che le dà guardarsi attorno. Nel 2014, vinse Sanremo con Controvento, Matteo Renzi aveva appena inaugurato il suo governo, e quando chiese la fiducia alla Camera, disse: «Noi siamo qui controvento, con il gusto di rischiare». Quando le chiesero che effetto le avesse fatto venire citata dal Primo ministro rispose: «Non capisco niente di queste cose».
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Della politica la accende soltanto la battaglia per i diritti civili: è da sempre vicina alla comunità Lgbtq+, l'anno scorso è stata la madrina del gay pride di Napoli e quest' anno di quello di Padova. Il 20 giugni è stata incoronata «Queen of music» al Mix Festival, il più importante di cinema Lgbtq+. «Con la comunità queer mi sento a casa, perché è fatta di persone che accettano quello che sono e sono rimaste a lungo con loro stesse per fare una cosa difficilissima: capirsi».
Si può davvero scegliere chi essere?
«Non è necessario decidere: è sufficiente vivere chi siamo, chi ci sentiamo di essere in quel dato momento. E non è affatto facile farlo: ci vogliono calma e moltissima pace, nessuna distrazione. L'identità è un fatto creativo e la creatività è una strada solitaria, lungo la quale puoi unirti a chi condivide i tuoi intenti, ma sei principalmente da solo, soprattutto all'inizio, quando per capirti devi evitare ogni condizionamento».
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Lei è libera dai condizionamenti?
«La libertà, se riesci a conquistarla, si acquisisce con il tempo, e poco alla volta, non so se completamente. Io sto crescendo e di certo mi sento più libera ora rispetto a dieci anni fa».
Per questo ha prodotto da sola il suo ultimo disco, Ero romantica?
«L'ho fatto perché me la musica è un impulso spontaneo, e quando lavori con delle major, o una struttura che comprende tante teste e tante decisionalità, è difficile rendere la tua emozione di quel momento in quel momento, perché devi sempre programmare l'uscita. Ma una canzone è frutto di un'urgenza, non puoi vincolarla a una tabella di marcia».
Davvero non è più romantica?
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«Penso di più a me stessa. La gente in giro si tutela moltissimo, prima di stare con te ci pensa un sacco, rispetta i suoi tempi, si prende i tuoi, calcola, valuta pro e contro. Per me, invece, è sempre stato più semplice, ho sempre dato per scontato che se ci si vuole bene e ci si piace, si sta insieme. Mi sono buttata tra le braccia di chi amavo da subito, senza valutare le conseguenze, come un cantante che si lancia dal palco e non sa se il pubblico sotto lo prenderà. Ora vorrei provare a fare come gli altri: aspettare, capire. Vorrei, per una volta, dare ascolto a una cosa che mi ha sempre detto mio padre: prima di conoscere una persona, ci devi mangiare un quintale di sale insieme».
Insomma si vuole tutelare.
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«Diciamo che voglio scegliere con più attenzione. Tutti meritiamo che gli altri vogliano davvero passare del tempo con noi: non voglio più sopportare i sé e i ma degli altri. C'è la guerra, c'è stata la pandemia: non ho più giorni da perdere dietro ai titubanti. Amare è la cosa più semplice di tutte: basta ascoltare il cuore, che parla sempre chiaro. So che nella vita ci sono molte dinamiche, complicazioni, tempi che non coincidono, ma chi vuole stare insieme, deve stare insieme. È così raro trovare qualcuno da amare che lasciarselo scappare è da pazzi. Mio padre mi rimprovera di essere stata con molti uomini senza mai sistemarmi, mandando sempre tutto all'aria e io gli dico che lui è stato fortunato: ha trovato qualcuno disposto a stargli accanto, che ha avuto voglia di attraversare con lui le difficoltà. In amore conta prima di tutto la fortuna. L'impegno viene dopo».
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Lei parla spesso della sua famiglia. In questo disco cita anche suo padre e sua madre in Maddalena.
«Eppure li vedo sempre meno. Anche la distanza è importante, va praticata, rispettata, e va accorciata».
Si sente realizzata?
«Sento che so cominciare e finire un progetto di ricerca. Questo disco lo è stato più degli altri, da tutti i punti di vista. La varietà musicale e di temi dei pezzi spero lo dimostri. Ho parlato di schiavitù sessuale, di imperfezione, di potere femminile, di indipendenza, e d'amore, naturalmente».
La schiavitù sessuale che lei racconta in Altalene, però, non sembra tossica: sembra sexy.
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«Non volevo scrivere di una relazione tossica, infatti: ci pensano già abbastanza gli altri, mi sembra un tema piuttosto indagato. A me interessava una cosa specifica, quel precetto del Vangelo che dice: la vera libertà è decidere di essere schiavi di qualcun altro».
Ci sono cose che la intimidiscono?
«Sì, ma con la musica si riesce a tirare fuori tutto, anche se io scelgo di non esplicitare tutto, perché nelle mie canzoni parlo di me, della mia vita, delle persone che ho intorno: mi sento in dovere di tutelarle».
È bello avere qualcuno per cui rinunciare a dire o a fare qualcosa, no?
«Penso che sia un compromesso che ci rende molto incompleti. Però purtroppo bisogna farlo. Non trovo che sia bello e meno che mai giusto rinunciare a qualcosa per qualcuno».
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Eppure.
«Eppure proteggere gli altri è un dovere. Ci sono cose che, se le raccontassi, mi farebbero capire meglio dal pubblico, ma non lo faccio. Non ne vado fiera e non è neanche così semplice. A me piace parlare di me, nella mia musica e sui social: ho bisogno, se sto molto male o molto bene, di informare il mondo».
Le piace il mondo?
«Tantissimo. E mi piace il futuro: sono molto fiduciosa, sono certa che miglioreranno tante cose, i ragazzi di oggi mi sembrano tutti migliori di come ero io, li vedo più accesi, propositivi, aperti e indipendenti. Noi siamo stati rovinati dalle telenovelas e dalle fiabe con il principe azzurro».
Ha cantato l'inno di Mameli alle Olimpiadi invernali di Pechino. L'Italia le piace?
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«È un diamante e nessuno di noi ne è davvero consapevole e convinto».
Arisa le piace?
«Perché non dovrebbe?» .
Cosa ama di più del suo corpo?
«Mi piaccio tutta».
Cosa si aspetta dal domani?
«Quello che mi aspetto da sempre: che le persone abbiano bisogno della mia musica, che la ascoltino quando vogliono sentirsi meglio, capirsi o soltanto essere capiti».
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Per cosa si vive?
«Molte cose, una delle più importanti è lottare per gli altri».
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E l'amore?
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«È quella lotta».