dakota johnson e francois henri pinault
Giovanni Pons per “la Repubblica”
Il 27 marzo scorso il ministro dell' Economia francese, Bruno Le Maire, era stato categorico, molto più del suo collega italiano Roberto Gualtieri: «Le grandi aziende mostrino senso di responsabilità e di giustizia - aveva detto - non è il momento di versare dividendi. Gratificazioni ai propri azionisti verrebbero considerate dal governo come la prova che le società sono in ottima salute e non hanno alcun bisogno di aiuti da parte dello Stato».
Parole che hanno colto di sorpresa i grandi conglomerati del lusso, come Lvmh o Kering, che - secondo il Financial Times - avevano già comunicato ai dipendenti una riduzione di ore e il ricorso allo chomage partiel , la cassa integrazione d' Oltralpe. Poco dopo le parole di Le Maire, il blasonato brand Chanel, a controllo familiare, dichiarava di non volere aiuti pubblici per non gravare sui conti pubblici francesi e italiani e in modo che lo Stato potesse sostenere le aziende più fragili. Anche Hermès rinunciava cassa integrazione per tutta la durata della crisi.
salma hayek pinault
Di fronte a questo fuoco di sbarramento Lvmh e Kering, controllate dai due rivali del lusso Bernard Arnault e François Henri Pinault, il primo con 53 miliardi di fatturato e 7,3 miliardi di utili nel 2019 e il secondo con 15 miliardi di ricavi e 3,2 miliardi di profitti, si sono rivolti all' Italia.
A loro favore giocava il fatto che il Belpaese è la casa della manifattura di lusso, densa di distretti che sfornano pelletteria, calzature, occhialeria, tessuti. Sulle manifatture di Parabiago, Riviera del Brenta, Montegranaro nelle Marche, Montecatini Monsulmano, Firenze e provincia, Napoli e provincia si appoggiano quasi tutti i big del lusso mondiali. E in tutti questi insediamenti produttivi si è fatto ricorso alla Cig, le cui prime nove settimane sono scadute il 16 maggio e le seconde nove sono appena partite, seguendo i vari decreti del governo Conte.
bernard arnault e arnaud lagardere
Lvmh e Kering operano con svariati marchi in Italia, occupano circa 11 mila addetti a testa, inclusi i negozi e il personale amministrativo, e negli ultimi anni hanno fatto corposi investimenti. E per i due gruppi la cassa integrazione italiana è stata un bell' aiuto, nonostante i loro bilanci non evidenziassero crisi di liquidità. Alla cassa hanno ricorso anche società come Prada, Tod' s, Cucinelli, Moncler, Aeffe, Valentino, Luxottica. Tutte hanno ritenuto opportuno attingere in questo modo ai soldi pubblici, anche se poi le maison hanno integrato gli stipendi dei propri dipendenti in alcuni casi fino al 100%.
Bernard Arnault
Tuttavia una differenza tra gruppi italiani e francesi è emersa: gli italiani, da Prada a Tod' s, da Cucinelli a Luxottica, hanno tutti deciso, seppur senza alcun obbligo di legge, di non distribuire il dividendo 2020 ai propri azionisti. Lvmh e Kering, invece, hanno deciso di ridurre solo del 30% il dividendo, confermando il 70% che sarà deliberato dalle assemblee di giugno. La rinuncia di Lvmh vale circa 600 milioni, quella di Kering 430 milioni, in più tutti i vertici si sono ridotti le remunerazioni per il 2020, così come hanno fatto anche i manager delle case italiane.
Tutte le società, poi, a vario titolo, hanno donato soldi a enti o istituzioni per combattere l' epidenia da Covid.
Interpellata al riguardo Lvmh sostiene che la scelta di distribuire comunque il 70% del dividendo è giustificata dal fatto di essere una public company con 70 marchi, diversificata anche al di fuori della moda.
Ma bisognerebbe sapere con certezza qual è il contributo delle sue 30 manifatture italiane, se superiore o inferiore al 30%. Un dato che dovrebbe interessare sia al contribuente italiano sia al ministro dell' Economia, che ha lasciato spazio all' arbitraggio italo-francese rendendo i titoli delle case italiane meno appetibili in Borsa rispetto a quelli delle francesi.
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