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Il più intervistato dai quotidiani in merito alla morte di Silvio Berlusconi è Arrigo Sacchi, storico allenatore del Milan. A La Stampa Sacchi racconta di quando Berlusconi lo convinse a dargli del tu.
«Lui mi ha aiutato molto, mi è stato vicino in momenti della mia vita non facili. Così, non mi veniva spontaneo passare dal lei al tu. Ma lui, ancora una volta, mi ha insegnato un metodo per farlo. Un giorno mi dice: Arrigo mettiti davanti allo specchio e ripeti Silvio è uno stronzo, Silvio è uno stronzo…Vedrai che dopo un po’ ti verrà più semplice darmi del tu».
Una sola volta Sacchi e Berlusconi la pensarono diversamente: su Claudio Borghi.
«Quando comprò l’attaccante argentino Claudio Borghi, non c’entrava nulla con il nostro gioco. Gli dissi: ‘Lei l’ha comprato e lei lo può tenere, io mi metto da parte e le prometto che starò fermo un anno. Quindi, o ritorna a fare il presidente o mi licenzia’».
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Quante volte ha deciso lui la formazione? Sacchi:
«Mai. Aveva troppi impegni per dedicarsi alle cose di campo, ma curava ogni dettaglio intorno al Milan. Arrivava a Milanello, chiamava il responsabile del centro Antore Peloso e cominciava l’elenco: il roseto è da potare, quella bandiera da cambiare, la rete metallica si è arrugginita. Ecco, i dettagli».
A La Repubblica, Sacchi dice:
«Silvio Berlusconi era un genio che amava il suo Paese, e che il suo Paese ha capito molto meno di quanto meritasse. Perché l’Italia è un posto impossibile, dove vivono 60 milioni di individualisti e presuntuosi».
Alla Gazzetta dello Sport Sacchi racconta di quanto Berlusconi si rilassasse a parlare di calcio e anche un aneddoto sull’Avvocato Agnelli.
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«Lo chiamavo due volte al giorno. Mi ripeteva: ‘Parlare del Milan mi rilassa’. Era proprio così. Si divertiva, raccontava aneddoti, conversava anche con i giocatori. L’anno dello scudetto capitò una cosa che mi rimase impressa: dovevamo andare a giocare a Torino contro la Juve e lui ricevette un invito a pranzo dall’Avvocato Agnelli. L’Avvocato gli chiese se poteva venire a salutare la squadra prima della partita. Berlusconi gli disse subito di sì, poi m’informò. Io temevo che i ragazzi subissero il carisma dell’Avvocato, non avevo piacere che ci fosse quell’incontro: così chiesi a Berlusconi a quale ora Agnelli avesse programmato la visita.
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‘Alle 13.45, mi ha detto’. ‘Perfetto, io faccio cominciare il riscaldamento alle 13.30’. Così quando l’Avvocato entrò nello spogliatoio, trovò soltanto il sottoscritto e Berlusconi. Restò di stucco e se la cavò con una battuta delle sue: ‘Sapevo che avevate una grande squadra, mi auguravo che voi due poteste rovinarla ma evidentemente mi sbagliavo’. Berlusconi rise e accompagnò Agnelli in tribuna. Vincemmo e ricordo che il presidente non stava nella pelle dalla felicità: battere la squadra dell’Avvocato, per lui, era qualcosa di più di una vittoria su un campo di calcio».
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BERLUSCONI
Estratto dell’articolo di Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport
(...) Berlusconi ha cambiato tutto quello che ha toccato portandolo al successo. È stato potente, affascinante, criticabile, censurabile e censurato, attaccato e difeso, eccessivamente eccessivo.
Si racconta che temesse di morire povero. Gli piaceva piacere, era empatico e sapeva essere simpaticissimo. Ha vissuto più esistenze ed è più volte sopravvissuto. È entrato nella vita di tutti: abbiamo cercato casa in uno dei quartieri che aveva costruito; abbiamo seguito i programmi delle sue televisioni; abbiamo scritto del suo Milan, gioito per i suoi trionfi, con i suoi allenatori, i suoi tanti campioni. «Ho vinto più di Santiago Bernabeu» ripeteva «lui ha avuto uno stadio dedicato da vivo, spero che me ne dedichino uno da morto».
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Berlusconi allenava gli allenatori: memorabili le sue teorie sulla necessità delle due punte e sulla palla lunga a scavalcare il centrocampo. Detestava la costruzione dal basso, frequentava solo l’alto. Nella vita ha sempre verticalizzato. Non temeva l’invidia, «perché porta sfiga a chi la prova», era la sua chiosa. L’ultimo passaggio calcistico è stato il Monza: naturalmente ha cambiato i destini della squadra, elevandola alla serie A, e riacceso la passione in Brianza: mi colpiva la devozione di Galliani che dopo tanti anni gli dava ancora del lei («perché mi ha reso bello, intelligente e ricco»). Berlusconi è stato il meglio e il peggio, humour e narcisismo, fascino e arroganza, il coraggio di andare fino in fondo e l’attenzione per ciò che le sue decisioni avrebbero provocato.
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Non posso dire di averlo conosciuto a fondo: solo qualche incontro, lui sempre sorprendente e mai impreparato. Berlusconi sapeva parlare a un'Italia distante dagli uomini di cultura, a molti ignota. Lo faceva con l’efficacia della semplicità, perché lui era pop. Tante volte ho creduto che quel Paese esistesse solo nella sua visione dell’altro, nella sua immaginazione, e invece era il Paese reale al quale prometteva benessere. Berlusconi non amava essere contraddetto, ascoltava gli altri specie quando la decisione l’aveva già presa. Ha sconfitto tutti gli avversari tranne uno. Quello che in queste ore è stato impegnato ad aiutare un altro infermo, come lui inguaiato, come lui atteso al varco dai media, ma meglio accreditato, Papa Francesco.
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