Francesca Paci per “LaStampa.it”
RAJOUF ALHUMEDHI
Che piaccia o meno agli irriducibili del linguaggio “old fashion”, si comunica via social network. Tanto. Tutti. In Occidente, in Oriente ma anche e soprattutto in Medioriente. Basta pensare che negli Emirati Arabi Uniti le grandi aziende affidano sempre più spesso i loro brand e le loro campagne di marketing ai cosiddetti “influencer”, pubblicitari di nuova generazione capaci per l’appunto d’“influenzare” migliaia di persone con un solo tweet, un messaggio su Facebook, un’immagine su Instagram, un brevissimo video su YouTube.
EMOJI HALAL
Secondo l’agenzia di PR di Dubai, BPG Cohn & Wolfe, il 71% dei consumatori tra il 18 e i 40 anni si fa regolarmente “consigliare” da un influencer che, per il servizio, può chiedere parcelle fino a 5 mila dollari a post. L’offerta indica che la domanda c’è: giovane, immediata, emotiva. E richiede un’idioma che le corrisponda.
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Prova ne sia l’iniziativa, già di successo, della quindicenne saudita Rayouf Alhumedhi che ha inventato e lanciato un programma di emoji “halal”, le faccine con l’espressione dello stato d’animo a cui tutti ricorriamo chattando ma rielaborate in versione islamica ossia con l’hijab, con il chador, con il copricapo tradizionale degli sceicchi del Golfo. Rayouf, che vive in Germania, ha proposto la sua idea all’ organizzazione no profit Unicode Consortium affinché la implementi e adesso si lavora per renderla utilizzabile già dal 2017.
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Rayouf ha spiegato alla BBC che chattando con i suoi amici si è resa conto di non trovare una “faccina” capace di rappresentare le sue emozioni di ragazza velata in un momento storico e sociale in cui “la rappresentazione di sé è molto importante perché le persone vogliono essere riconosciute”.
La sua esigenza non è isolata e la conferma viene da mercato “halal” che, un po’ per la richiesta realmente genuina dei più religiosi e un po’ per ragioni politiche legate alla contrapposizione tra nuova islamofobia e corrispondente affermazione identitaria, ha registrato alla fine dell’estate del burqini un aumento del 200% delle vendite del controverso costume integrale su cui si è spaccata la Francia (e non solo).
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