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    ARTISSIMA DO BRASIL - IL PAESE SUDAMERICANO E’ LA RIVELAZIONE DELLA FIERA DI QUEST’ANNO - E’ DEL CINESE LI WEI L’OPERA PIÙ INQUIETANTE E FOTOGRAFATA DAL PUBBLICO: SI CHIAMA “PET” E RIPRODUCE LE FATTEZZE DI UN BAMBINO E DI UN BARBONCINO CHE FISSANO IL VISITATORE


     
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    Marina Paglieri per la Repubblica

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    Il Paese sudamericano è la rivelazione della fiera di Torino. Dove si camminava tra opere realizzate con i tessuti senza poter sfuggire all’inquietante bambino del cinese Li Wei

    «Questa è una fiera di incroci geografici, in linea con un mondo sempre più fluido e connesso. È possibile trovare a Los Angeles gallerie con curatori iraniani, qui in fiera ci sono realtà di Lisbona e Marrakech gestite da italiani: così le culture si assommano e si confrontano».

     

    Sarah Cosulich è soddisfatta della ventritreesima edizione di Artissima, quinta e forse ultima per lei – ma si è ricandidata al bando per il nuovo direttore – che ha chiuso i battenti ieri all’Oval del Lingotto, segnando 50mila visitatori in tre giorni. Più di 190 le gallerie presenti. Sono arrivate da Brasile e Colombia, da Messico e Cuba, ma anche da Cina, Dubai ed Emirati Arabi, da Sudafrica e Marocco.

     

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    Ed è proprio il Brasile la vera rivelazione di quest’anno, presente con cinque gallerie: tra queste la Cavalo di Rio de Janeiro, che si è aggiudicata la prima edizione del Premio Owenscorp, dedicato alla sezione New Entries. Riconoscimenti sono andati anche ad artisti italiani, da Gian Maria Tosatti, Premio Fico per un monocromo esposto da Lia Rumma, a Renato Leotta, secondo al Premio Illy, mentre tra le rivelazioni c’è la giovane Francesca Ferreri, presente da Alberto Peola con due installazioni acquistate per la Gam torinese. 

     

    Tra gli evergreen di casa nostra, Francesco Vezzoli e Lara Favaretto, Oltre 2500 i collezionisti che hanno girato tra gli stand. Non poche le curiosità, tra tutte Conversation Piece di Kirsten Pieroth, installazione con 30 vasetti su uno scaffale, all’interno l’acqua in cui si sono messe a bollire, giorno dopo giorno, le copie del New York Times del settembre 2010. È del cinese Li Wei l’opera più inquietante e fotografata dal pubblico: si chiama Pet e riproduce le fattezze di un bambino e di un barboncino che fissano il visitatore.

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    Si è vista molta pittura, analitica e geometrica: dipinti di Laura Owens erano appesi nello stand di Gavin Brown, il gallerista di Thomas Bayrle, autore dell’installazione Flying homeall’aeroporto di Caselle. Tega esibiva coloratissimi acrilici su alluminio di Ian Davenport, De’Foscherari ha portato anche uno Schifano del ’73, mente si sono visti diversi lavori di Giorgio Griffa. Tanti i tessuti, di vario genere, spesso anche ricamati.

     

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    Così è piaciuto nella galleria Blank di Città del Capo l’arazzo con scritte dal Corano di Igshaan Adams. E hanno incuriosito, dalla milanese Prometeo Gallery, le installazioni con i ricami a mano di Ruben Montini, forse il segno di una nuova tendenza, ribadita dalla brasiliana Mendes Wood DM, che ha esposto un Hand embrodery on oil di F. Marquespenteado. Dalla berlinese Barbara Wien anche le trapunte colorate di Luca Frei.

     

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    C’erano meno video quest’anno in fiera, anche se appartiene al genere What the heart wants di Cécile B. Evans, vincitrice del premio Illy per Present Future, la sezione dedicata agli emergenti. Una di quelle su cui Artissima punta:

     

    «Il nostro obiettivo è intercettare, connettere, mostrarci ancora più preparati dei collezionisti» conferma il curatore Luigi Fassi. È andata bene per le gallerie più giovani: si favoleggiava di un privato che ha comprato tutto lo stand di Chateau Shatto di Los Angeles, con le opere di Body by Body. Tra gli emergenti e gli storici, c’è stato posto anche per i “ripescaggi”, attività a cui è dedita l’area “Back to the future”, incentrata quest’anno sugli anni Settanta e Ottanta.

     

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    Si dovrà attendere la fine del mese per conoscere il nome del vincitore della selezione per la nuova guida della fiera. E chissà se Cosulich farà il bis: «Per il futuro – dice – credo sia necessario ripensare alcuni aspetti, per competere ancora a livello internazionale. Occorre continuare a riflettere l’evoluzione del mercato e del mondo che ci circonda, tenendo conto che negli ultimi cinque anni nei vari continenti è nato il 35% di fiere in più».

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