Marco Bonarrigo e Gaia Piccardi per www.corriere.it
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Il conto — salatissimo — è arrivato ieri all’ora di pranzo, 51 giorni dopo la fine poco gloriosa (quattro bronzi: i titoli di squadra sono utili per rimpinguare il medagliere ma fanno poco testo) dell’Europeo di Berlino. Chi paga per l’involuzione dell’atletica leggera italiana, stordita dai Campionati continentali dello scorso agosto, dalla batosta olimpica di Rio 2016 (zero tituli) e dal digiuno quasi monacale (un bronzo) del Mondiale di Londra 2017? Dirigenti? Tecnici? Federales? Macché, gli atleti.
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A 17 dei 41 azzurri dell’Athletic Elite Club, infatti, la Fidal cancellerà l’assegno di studio per scarso rendimento, espellendoli di fatto dal Club Olimpico. Altri 14 resteranno, ma con contributo dimezzato: gli atleti militari riceveranno lo stipendio dallo Stato, gli altri si arrangeranno. Soltanto in una decina (più 8 che 10) continueranno ad essere foraggiati: i nomi certi sono Antonella Palmisano, Gianmarco Tamberi, Filippo Tortu e Fausto Desalu. Gli esclusi, cui la decisione sarà comunicata a breve, dovranno pagare di tasca propria trasferte, allenatori, massaggiatori e altro. Un provvedimento senza precedenti per un gruppo già ristretto di uomini e donne.
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Chi si attendeva un segnale forte verso un cambiamento politico, ne ha avuto uno di segno opposto: l’atletica italiana è in crisi per colpa di corridori e marciatori, saltatori e lanciatori seduti e demotivati. L’ha spiegato ieri Antonio La Torre, il nuovo commissario tecnico azzurro: «Ho chiesto una selezione al livello top, una fascia ristretta di atleti che possano affrontare il mondo».
Si invocava per il ruolo un motivatore carismatico, magari esterno all’atletica, che mettesse ordine in un ambiente dove abbondano veleni e antiche ruggini: La Torre è invece un qualificatissimo metodologo, docente universitario, che da decenni si occupa di programmazione dell’allenamento. E i suoi nuovi vice (Pericoli, Andreozzi, Di Mulo, Tozzi) sono in Fidal da sempre. Per Elio Locatelli, c.t. uscente, la promozione a direttore della performance. «Corteggiavamo La Torre da anni — ha spiegato Alfio Giomi, presidente Fidal —, lui per spirito di servizio ha finalmente accettato. Qui non si fa politica: ci servono buoni tecnici».
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La Torre respinge ogni critica alla gestione federale: «Non dobbiamo guardarci indietro o cedere all’autolesionismo: i c.t. di altri sport si sono complimentati per i risultati di Berlino. Osanniamo le Federazioni di pallavolo e ciclismo che si sono accontentate di un quinto posto (l’atletica italiana a Berlino, però, è arrivata 16ª, ndr), perché criticare la nostra? Sono gli atleti a dover fare il salto di qualità e a non dover perdere nemmeno mezza giornata di tempo: chi si vedrà ridurre l’assistenza dovrà reagire spingendo verso l’alto. Noi federali cucineremo la minestra con quello che c’è. Comunicherò personalmente i tagli agli atleti. Mi assumo la responsabilità di tutto. Ai Giochi di Tokio 2020 mancano venti mesi: vi assicurò che questo modello funzionerà».
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Proseguono intanto le trattative con Stefano Baldini per il ruolo di responsabile del settore fondo: l’ex olimpionico di maratona, che stava ottenendo ottimi risultati nel settore giovanile, aveva lasciato l’incarico in totale disaccordo con i vertici. Giomi ha anche comunicato che la Fidal pubblicherà la lista dei collaboratori fiduciari e dei loro compensi (invocata dal Corriere della Sera) per rispondere ai dirigenti di base che parlano di spese immotivate per consulenti «ombra».
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