1 - AL FESTIVAL FEMMINISTA IL MASCHIO E’ PADRONE
Gloria Satta per “il Messaggero”
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Cannes 2019 non è un paese per donne, largo ai mattatori. A dispetto delle marce, degli accordi, degli equilibri paritari diligentemente applicati a commissioni selezionatrici e giurie, malgrado il numero decisamente alto delle registe e il successo delle iniziative rosa (il collettivo Breaking Through The Lens è riuscito a far finanziare 10 progetti femminili) è un pugno di uomini-star ad alzare la temperatura di questa 72ma edizione.
Almeno secondo il metro del divismo, una componente fondante del Festival che punta immancabilmente su bagni di folla e fanatismo cinefilo. E con Alain Delon, la temperatura della Croisette ieri è schizzata alle stelle.
LACRIME E OVAZIONI
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L' attore francese ha ricevuto in serata la Palma d' onore dalle mani dell' adorata figlia Anouchka ed è scoppiato in lacrime: «È la fine della mia carriera, della mia vita», ha sussurrato mentre la platea urlava «No, no!» esplodendo in una standing ovation di 10 minuti. A 83 anni, Delon sprigiona ancora un immenso carisma, anche erotico, e ha all' attivo una carriera leggendaria. «Accetto questa Palma non per me ma per i miei grandi maestri che non ci sono più. E sogno di lavorare con una regista», ha detto, «devo tutto alle donne che mi hanno obbligato a fare l' attore».
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Ma qualche giorno fa anche Antonio Banderas, star spagnola imbevuta del glamour di Hollywood, aveva scatenato l' entusiasmo della Croisette: a 58 anni è sempre un sex symbol e la sua struggente interpretazione in Dolor y Gloria di Pedro Almodòvar lo ha candidato a furor di Festival al premio come miglior attore di quest' anno. «Nel film ho messo tutto me stesso, anche il dolore che ho provato quando mi ha colpito un infarto», ha confessato l' attore, spezzando il cuore di tutti.
A FERRO E FUOCO
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Non parliamo di quello che ci aspetta nei prossimi giorni: per contenere l' isterismo dei fan di Brad Pitt e Leonardo DiCaprio che domani accompagneranno Once Upon A Time in Hollywood, l' atteso film di Quentin Tarantino, verrà rinforzato il servizio d' ordine sulla Croisette che già ogni sera viene presa d' assalto dalla folla. Ma non è finita. Se non avesse dichiarato forfeit all' ultimo momento per motivi di salute (pare debba operarsi a una spalla), avrebbe messo a ferro e fuoco il Festival anche Diego Armando Maradona, protagonista del documentario di Asif Kapadia passato ieri fuori concorso: anche se sono lontani gli anni d' oro (e il film racconta quelli napoletani), il nome del campione argentino è sempre avvolto nel mito.
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Aggiungiamo il recente trionfo di Elton John al seguito di Rocketman: per consentire al cantante di esibirsi in coppia con l' attore Taron Egerton, suo alter ego nel bio-pic, è stata chiusa una porzione di Croisette. E sabato 25 il Festival si concluderà in bellezza nel segno dell' attore francese attualmente numero uno, sex symbol acclamato: Vincent Cassel, protagonista della commedia sociale di Nakache e Tolédano Hors Norme.
IN INDOCINA
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In attesa di Tarantino e compagni, Delon ha dunque monopolizzato l' attenzione. Dominatore della platea durante la masterclass del mattino, disposto a scherzare («tutto qui?», ha esclamato davanti alla sala gremita e in preda a un entusiasmo da stadio), commosso nel ricordare gli amici scomparsi come l' amatissima Romy Schneider, ha dispensato aneddoti, retroscena, curiosità e commentato gli spezzoni dei suoi film come Il Gattopardo, Delitto in pieno sole, Mr.Klein. «A 17 anni andai a combattere in Indocina per dimenticare un' infanzia infelice».
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Nel 1957 il debutto nel cinema: «Fu la moglie del regista Yves Allegret a insistere perché interpretatassi il film Godot. Non ero da buttare via», e nella sala parte il boato. Poi Delon diventa produttore «per essere il padrone dei miei film». Così, in La Piscina, riuscì ad imporre una Romy Schneider in disgrazia: «O lei o non si fa il film. E fu un grande successo». Le ovazioni seppelliscono le polemiche delle femministe americane che volevamo togliergli la Palma. «Io non recito, vivo», dice l' attore. E si protende verso i fan: «Vi devo tutto, senza di voi non sarei nessuno».
2 - SE IL CINEMA SI DIMENTICA DEL #METOO
Alberto Mattioli per “la Stampa”
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Quest' anno a Cannes il #Metoo si porta poco. Di certo, meno che nel Festival scorso, che ne fu dominato. Non si parlava che delle malefatte sessuali del produttore con divano Harvey Weinstein, che del resto proprio a Cannes aveva costruito le sue fortune, alla cerimonia di chiusura Asia Argento si esibì in un' invettiva furibonda ma non fuori onda davanti a Cate Blanchett allibita, e il momento, diciamo così, politicamente dominante del Festival fu la firma della piattaforma "50/50 nel 2020" per rivendicare al cinema la parità fra uomini e donne, in termini di ruoli dirigenziali, retribuzioni, occasioni di lavoro e così via, appunto entro il '20.
sabine azema e andre dussollier
Restava, anzi resta, una montée des marches affollata di signorine di incerti meriti artistici ma di incontestabili grazie e sempre più meravigliosamente svestite, il che fa pensare che anche qui l' ipocrisia non manchi. Ma insomma, la linea era data, la parità richiesta con la tipica perentorietà delle rivoluzioni: tutta e subito.
Adesso, più che di proclami, è tempo di bilanci.
La piattaforma è stata adottata da una cinquantina di festival, ma il risultato è meno globale di quanto sembra perché sono quasi tutti europei o nordamericani. I francesi hanno anche stabilito un sistema di bonus, grazie al quale la République finanzia con più generosità le produzioni realizzate da donne o da équipe paritarie. Quest' anno anche la giuria del Festival è 50/50, quattro donne e quattro uomini (però il presidente Inárritu è indubbiamente un maschio) e le registe in concorso sono quattro su ventuno, più che in passato (per dire: erano tre nel '18, zero nel '12) ma sempre poche.
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Forse sarà la volta buona per una palma "rosa": finora è successo in una sola occasione, nel '93 per "Lezioni di piano" di Jane Campion. E resta il fatto che, fino all' anno scorso, a Cannes si sono visti 1.688 film di registi e solo 82 di registe. Non è esattamente cineguaglianza.
Qualcosa però si muove. Thierry Frémaux, direttore del Festival, spiega che il 26% delle opere candidate alle selezioni ufficiali sono girati da donne. Ma la percentuale sale al 32 per i "corti" e al 44 per i film degli studenti della Cinéfondation. Insomma, più il cinema è giovane e più è paritario. Questi i fatti. Sul commento, ovvio, è questione di punti di vista. Per chi vede il bicchiere mezzo pieno di parità, molto è stato fatto.
Per chi lo vede mezzo vuoto, molto resta da fare.
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Le amazzoni del 50/50 fanno notare che, a questo ritmo, l' attesa égalité non arriverà nel 2020, ma nel 2044. E qualche piccolo incidente non fa ben sperare. Tipo quello che è capitato alla regista inglese Greta Bellamacina, che due giorni fa si è presentata al Palais con il suo bébé in braccio e cui è stato rifiutato l' accesso perché non aveva il pass (il pupo, non lei). Il Festival si è subito scusato accusando "una cattiva comunicazione" con la sicurezza. Sicuramente maschile.
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