Giuseppe Bottero per “La Stampa”
franco bernabe otto e mezzo
«Siamo in mezzo alla tempesta perfetta, anche se il costo dell'energia calerà: questi sono livelli eccezionali, l'effetto di tanti fattori a partire dalle manovre russe sul gas. L'inflazione però è destinata a durare, ed è il problema più grosso. I giovani non la conoscono, pensavamo di essercela lasciata alle spalle nella seconda metà degli Anni Novanta, addirittura abbiamo visto i prezzi scendere», dice Franco Bernabè.
FRANCO BERNABE
Il manager scelto dal governo Draghi per presiedere Acciaierie d'Italia, l'ex Ilva che va in cerca del rilancio e presto avrà lo Stato come primo socio, è convinto che siamo di fronte «a un cambiamento radicale».
La corsa del costo della vita - l'ultimo dato Istat, in Italia, fa segnare un poco rassicurante +3,9% - «porterà a una svolta nell'atteggiamento delle banche centrali, e potrebbe causare una ripresa della conflittualità e a una spirale prezzi-salari».
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Nei giorni in cui il Paese sceglie il nuovo presidente della Repubblica, l'allarme suona ancora più forte: «Non mi esprimo, è una decisione del Parlamento. Ma è importante che i cittadini capiscano dove stiamo andando - dice Bernabè -. Vivremo situazioni di conflittualità internazionali. La crescita della potenza economica e militare cinese rappresenta una sfida per gli Stati Uniti che alimenterà tensioni crescenti. Nei prossimi anni l'America avrà bisogno di alleati di cui fidarsi: l'Italia sarà una pedina fondamentale, deve dare garanzie all’Occidente».
Presidente, le imprese denunciano costi insostenibili, Bankitalia ha già limato le stime di crescita e, mentre la Fed accelera, la Bce si divide e resta a guardare. Eppure l'inflazione vola. Come si esce dalla trappola dei prezzi?
«L'inflazione che stiamo affrontando in questi mesi ha due componenti: una accidentale, che riguarda la domanda e l'offerta sul mercato dell'energia, e una strutturale molto importante sulla quale non si è fatta molta attenzione ma che condizionerà in modo pesante il prossimo decennio».
INFLAZIONE
Di cosa si tratta?
«L'assenza di inflazione è stato il più grande dividendo pagato dalla globalizzazione: si è trovato un immenso bacino di manodopera a basso costo, Paesi in cui decentrare le produzioni inquinanti e la Cina si è trasformata nella fabbrica del mondo. Un albero della cuccagna: costi bassi, disponibilità enorme, sembrava la chiave della felicità perpetua. Poi è arrivata la pandemia».
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Che cosa è cambiato?
«Il virus ha messo in luce tutta la fragilità di questo sistema. E' bastata una ripresa della produzione per mettere in crisi le catene di approvvigionamento alimentate dall'Asia e creare problemi alle industrie occidentali. Pechino era arrivato a produrre un miliardo di tonnellate d'acciaio, la metà della produzione mondiale. Lo stesso vale per il cemento e tanti altri prodotti. Ma la Cina, per svolgere il ruolo di fabbrica del mondo, ha pagato un costo enorme in termini di inquinamento. Un dato: nel 2019 ha impiegato quattro miliardi di tonnellate di carbone, la metà di quello utilizzato globalmente. Qui, è cominciata una storia che conoscono in pochi».
Inquinamento cina
Quale storia?
«Il partito ha iniziato a percepire i costi e c'è stata una spinta fortissima per porre rimedio: ora la transizione energetica per la Cina è una priorità assoluta. Il tema della responsabilità ambientale è stato inserito nella Costituzione, e negli ultimi anni questa maggiore consapevolezza ha portato a una serie di interventi sia a livello legislativo sia a livello industriale di cui in Occidente c'è stata una scarsa conoscenza. La Cina non vuole più essere la fabbrica del mondo. Non solo: è il Paese che ha installato la maggiore capacità di energie rinnovabili, nel solare e nell'eolico. E andrà avanti: lo prevede il piano quinquennale 2021-2025».
Inquinamento Cina 2
Che impatto ha sull’Europa?
«Un impatto enorme, perché spingeranno meno sulle esportazioni. La Cina diventerà il campione delle produzioni ambientalmente compatibili e l'Occidente deve muoversi rapidamente per ricostruire una base industriale, se no si vedrà tagliare le fronti di approvvigionamento. E' qui che nasce la componente strutturale dell’inflazione».
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Gli effetti si stanno già vedendo?
«Abbiamo già avuto segnali concreti. Nel 2021 per la prima volta la produzione cinese di acciaio è diminuita, per una scelta esplicita, e Acciaierie d'Italia, come il resto dell'Occidente, di questo ha beneficiato. Se riusciamo a sfruttare queste opportunità recupereremo spazi. Se no, sarà difficile».
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Eppure, la riconversione di Taranto è campo minato…
«Sappiamo qual è il percorso. L'Italia non può fare a meno di produrre acciaio, che è l'unico materiale totalmente riciclabile. Bisogna lavorare in modo ambientalmente compatibile perché i cinesi arriveranno con l'acciaio verde. La transizione è un processo fondamentale, occorre accelerare ma purtroppo ci si trova di fronte una serie di lentezze».
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Qual è il prossimo passo?
«ArcelorMittal ha già fatto investimenti importanti per l'ambiente. Noi sappiamo esattamente cosa serve per rendere lo stabilimento di Taranto all'avanguardia e compatibile con la transizione verde. C'è un potenziale di ricerca e sviluppo importante, possiamo creare un polo della trasformazione fortemente innovativo con università e imprese locali. Tutti devono lavorare nella stessa direzione e sostenere lo sforzo dello Stato. Le acciaierie non possono essere chiuse e buttate al macero, altrimenti resterebbe un grave vulnus per il futuro».
putin e il gasdotto south stream
Eppure, i prezzi picchiano duro anche su di voi…
«Ribadisco: scenderanno. Un fattore particolare è stata la decisione dei russi di non vendere gas sul mercato spot a partire dalla metà dello scorso anno. Vale la pena sottolineare che il funzionamento del mercato europeo nel passato era basato totalmente sui contratti a lungo termine gestiti dall'industria. Nel corso degli ultimi vent' anni l'Ue ha trasformato il mercato, rendendolo più dipendente dai prezzi spot, con l'idea di aumentare i vantaggi per il consumatore».
Non è stato così…
«No. I russi hanno schiacciato il bottone che ha fatto deflagrare la crisi, ma il bottone glielo ha messo in mano l'Ue. Sarebbe stato saggio adottare un atteggiamento più prudente. Ora bisogna rivedere quel meccanismo».