Estratto dell’articolo di Gigi Garanzini per "la Stampa"
Ottavio Bianchi, resta quella del limone, un' ora prima di una partita a San Siro.
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«C' era un cesto pieno di agrumi, e Diego quella volta anziché un' arancia agguantò un limone e cominciò a palleggiare. Tutti a guardarlo ovviamente, qualcuno a provarci con esiti modesti. Arrivò a una ventina di colpi e avrebbe potuto continuare, invece lo calciò secco in una porta immaginaria e io dissi una cosa tipo, ma queste sono cose da circo. Mi porse un altro limone, e visto che ormai ero in ballo ci provai.
Com' è, come non è, gli diedi il giro giusto e cominciai a mia volta col colpo sotto, mentre la squadra scandiva il numero progressivo. Arrivai a un colpo in più e lo calciai via a mia volta. Diego diventò matto, andò avanti mesi a implorare la rivincita che ovviamente non gli diedi mai perché i miracoli non si ripetono».
BIANCHI MARADONA
OTTAVIO BIANCHI
Andrea Di Caro per gazzetta.it
"Come davanti a un quadro di Picasso o alle grandi opere degli espressionisti che ho sempre amato. Lo guardavo inebriato e ogni volta che aveva la palla tra i piedi avevo la sensazione di assistere a qualcosa di perfetto, unico e irripetibile. Ho avuto un enorme privilegio, assistere ogni giorno alla realizzazione dei suoi capolavori: perché le prodezze che tutti ricordano, le sue punizioni impossibili, i gol da centrocampo, le serpentine, le acrobazie, io le ho viste replicate dal vivo milioni di volte".
ottavio bianchi
"Ogni giorno, in ogni allenamento Diego regalava quelle prodezze con la semplicità e la naturalezza di chi è baciato dalla grazia. Lo osservavo e dentro di me applaudivo e mi chiedevo come fosse possibile. Da tecnico freddo e impassibile evitavo di manifestare il mio stupore davanti a tutti. Ma mi gustavo ogni suo singolo gesto. Arte pura. Come lo spiega lei il genio? Vederlo giocare era come ascoltare Mozart. Anche i più bravi dei suoi compagni e dei suoi avversari, al massimo erano dei Salieri, lui no. Lui era Mozart".
Ottavio Bianchi, tecnico del Napoli del primo scudetto, ammette la fortuna "di essere stato in quegli anni l'allenatore del più forte calciatore di ogni tempo", ma mentre gol e colpi di Maradona prendevano la forma della meraviglia neanche Bianchi poteva avere ancora chiaro che Diego stava cambiando il suo ruolo nella storia passando da straordinario campione a icona mondiale senza tempo. Unendo in sé le caratteristiche di miti immortali: rivoluzionario come Che Guevara, antisistema come Alì e Owens, autodistruttivo come Marilyn, Elvis, Jackson.
BIANCHI MARADONA
"Diego era un uomo estremamente generoso. Un leader nato. Non per quello che faceva in campo, ma per come si comportava con i suoi compagni. Non l'ho mai sentito rimproverarne uno per un passaggio sbagliato. Li difendeva tutti, li spronava, li caricava, pur essendo lui di un altro pianeta rispetto a loro". Già, di un altro pianeta... E qui Bianchi scava nel profondo: "Non so neanche se si rendesse davvero conto della sua straordinarietà. Lui si divertiva a giocare, come quando era un ragazzino in Argentina. Negli spogliatoi palleggiava con i limoni. Quando pioveva si buttava nelle pozzanghere con il pallone come fanno i bambini. Diego aveva l'ingenuità e la gioia dei bambini".
Ma fuori dal campo intorno a lui insieme alla fama crescevano il business, gli interessi e il numero di squali che l'hanno sfruttato, spolpato, tradito. E la genialità è stata presa per mano dalla dannazione. Fino all'autodistruzione. "Nessuno, neanche un uomo carismatico come lui poteva sopportare quella pressione assurda, pazzesca in ogni angolo del mondo. Non voglio giustificarlo.
ottavio bianchi
Non voglio sminuire i suoi errori e i suoi sbagli. Ma quella grancassa intorno, quei lacchè disposti sempre a dirgli sì e a offrirgli qualsiasi tentazione sono stati la sua rovina". E qui Bianchi, che pure non aveva alcuna frequentazione con Maradona fuori campo, si unisce al refrain di tanti, troppi ex compagni di Diego: "Se gli avessimo detto ogni tanto qualche No... Il suo dopo sarebbe stato diverso".
E ascoltando queste parole piene di rimpianto, tornano in mente quelle dell'ex compagno in nazionale Jorge Valdano, uno scrittore prestato al calcio che anni fa profetizzò: "Lui giocava e saliva. Da quaggiù noi mortali lo spingevamo con parole incantate. E così è arrivato al cielo. Da solo. È stato un prodotto di consumo. Ne avevano tutti bisogno per lo spettacolo quotidiano e se lui non voleva o non poteva i cannibali lo facevano a pezzettini. Si sono mangiati prima la parte visibile, poi nel fondo di quella grande miniera d'oro che Diego rappresentava hanno visto un dramma e vi hanno affondato i coltelli per divorare tutto il meglio della sua dolorosa intimità. (...)
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Un giorno Diego guarderà se stesso dal balcone della sua memoria e ricorderà con calma la gente semplice che gli ha voluto bene, i leccapiedi che lo hanno usato e i traditori che un momento lo hanno amato e il seguente lo hanno accoltellato. Questo è l'uomo. Tutti siamo più o meno così. Anche lui. L'errore imperdonabile o inevitabile è non averlo aiutato ad accorgersene prima. Avremmo dovuto dirgli tutta la verità: guarda Diego, giochi a pallone da Dio, ma sei soltanto un uomo".
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