Federico Capurso per “la Stampa”
sergio mattarella lewis eisenberg
Un «perimetro di sicurezza cibernetico europeo» per blindare la tecnologia 5G. Luigi Di Maio ne ha discusso con l'ambasciatore americano a Roma Lewis Eisenberg, il 6 luglio scorso, e ieri ha presentato la sua proposta all'Alto rappresentante Ue, Josep Borrell. Di Maio ha chiesto di discuterne al prossimo Consiglio degli Affari esteri, che dovrebbe tenersi in autunno. «Dobbiamo introdurre standard comuni nell'Unione», è il pensiero espresso dal ministro degli Esteri nel corso della telefonata con Borrell, che si sarebbe dimostrato disponibile ad affrontare la questione.
sergio mattarella luigi di maio
Di Maio vuole porsi così come un interlocutore affidabile agli occhi degli Stati uniti e mostrarsi sensibile alle preoccupazioni espresse da Washington per la presenza di aziende cinesi come Huawei e Zte nello sviluppo delle reti 5G europee. Ad oggi l'Italia, ragiona Di Maio con i suoi, «ha la legislazione più rigida in Ue; con i nostri partner condividiamo però dati e informazioni, quindi servono regole comuni a protezione delle nostre infrastrutture strategiche». E tuttavia, eliminare del tutto i rischi - osserva una fonte del ministero della Difesa - «è impossibile. Il linguaggio e i codici usati dal 5G per comunicare tra diversi dispositivi sono sempre diversi e proteggere completamente una rete non è praticabile».
l ambasciatore americano lewis m eisenberg con la moglie judith ann foto di bacco
La volontà di spostare la discussione a livello comunitario, però, è anche un segnale lanciato all'interno del governo. Si vuole frenare, infatti, chi cerca di concludere la sperimentazione della tecnologia 5G per passare rapidamente alla fase operativa, nonostante i nodi sulla sicurezza non siano ancora stati sciolti. Da settimane ripete un concetto chiaro ai suoi interlocutori, soprattutto sponda grillina: «Gli Stati Uniti sono il nostro principale alleato, dobbiamo considerare le loro preoccupazioni sul fronte della sicurezza. Siamo tutti nella Nato e dobbiamo essere leali all'alleanza».
È nel Movimento, infatti, che vanno vinte le resistenze più forti. Tutto questo non si traduce ancora, però, in una chiusura netta alle aziende cinesi, come deciso invece dalla Gran Bretagna e, nel nostro Paese, da Tim, che ha escluso autonomamente Huawei e Zte dalla lista dei propri fornitori.
DAVIDE CASALEGGIO HUAWEI
L'idea, dunque, è quella di prendere tempo provando ad applicare in Europa lo stesso «perimetro di sicurezza cibernetica nazionale» varato dal governo Conte lo scorso autunno. Un progetto che ha visto notevoli rallentamenti in questi mesi ed è ancora in fase di gestazione, mentre le sperimentazioni sul territorio vanno avanti spedite. Deve ancora chiudersi, con 3 mesi di ritardo, la lista di quei soggetti considerati fondamentali per garantire l'architettura istituzionale del Paese, la sua sicurezza interna ed esterna, e per assicurare la funzionalità dei sistemi economici e finanziari. Oltre ai soggetti pubblici, dovrebbero rientrare nella lista anche operatori privati chiamati ad assicurare ai cittadini alcuni servizi essenziali, come l'energia, la sanità e i trasporti.
Tutti questi soggetti dovrebbero garantire degli standard di sicurezza delle loro infrastrutture tecnologiche, comunicando l'architettura delle loro reti al Comitato interministeriale per la sicurezza delle Repubblica e al Dis, per essere poi monitorati dal ministero dello Sviluppo economico. Aspettare che tutti i paesi membri siano in possesso di un perimetro di sicurezza operativo, dunque, è questione di anni. Da un'altra prospettiva - quella della Farnesina - tempo prezioso per trovare una soluzione che non scontenti gli Usa.