Teresa Monestiroli per “la Repubblica - Milano”
carlo aymonino
È difficile che una mostra di architettura appassioni anche chi non ha fatto dell' architettura una professione. Ci riesce " Carlo Aymonino. Fedeltà al tradimento", da oggi in Triennale, nata dalla volontà delle figlie Livia e Silvia ( entrambe non architette) che, a dieci anni dalla scomparsa del padre, hanno raccolto tutto il materiale rimasto nella grande famiglia allargata dove sono cresciute per farne un' esposizione che restituisse l' importanza e la complessità di uno dei protagonisti dell' architettura italiana del ' 900.
carlo aymonino gallaratese
Una mostra dove le vicende umane si intrecciano con quelle professionali in allestimento teatrale, realizzato dalla scenografa Federica Parolini, che emoziona e diverte. «La sensazione deve essere quella di entrare nei quaderni di papà» racconta Livia davanti al cono di tessuto bianco che porta il visitatore dentro la vita e l' opera di Aymonino. Perché, come ha detto l' architetto spagnolo Rafael Moneo: « La figura di Carlo non può essere compresa separando la componente personale dal suo percorso come architetto. Trovandosi al bivio tra vita e opera, Aymonino ha scelto la vita, assumendosi anche tutti gli oneri nei confronti della collettività ».
carlo aymonino
Dopo Enzo Mari e Vico Magistretti, Triennale chiude "la trilogia eclettica" - come la definisce il presidente Stefano Boeri - dedicata al '900 con una ricca personale sul progettista romano frutto di un' attenta collazione di documenti di archivio del curatore Manuel Orazi. Il percorso inizia con un giovanissimo Aymonino pittore - passione abbandonata per l' architettura - e prosegue su due binari che viaggiano in parallelo:
a sinistra l' allestimento " alla vecchia maniera" che mette in scena la carriera dell' architetto, professore allo Iuav di Venezia, editorialista, accademico di San Luca e assessore per gli interventi al centro storico di Roma; a destra un originale e intimo collage di fotografie e riproduzioni dei giornalini che Carlo scriveva per e con i figli, appunti e disegni - che non sono mai gli schizzi di un architetto «ma una forma di conoscenza, quasi una necessità esistenziale » spiega il curatore - aneddoti e amicizie, una su tutte quella con Aldo Rossi a cui cedette perfino un pezzo del cantiere al Gallaratese.
carlo aymonino teatro avellino
Due strade, privata e pubblica, che con linguaggi diversi raccontano l' impegno politico e intellettuale di un architetto che ha lavorato con passione sul tema delle periferie (da Milano, con il progetto al Gallaratese, a Pesaro), ribellandosi all' idea di un' edilizia popolare grigia e triste. I due filoni si riuniscono dopo il 1991 quando il lavoro rallenta e la rappresentazione teatrale della mostra prende il sopravvento.
Ecco allora il gigantesco " Colosso", simbolo del sogno di Aymonino di ricostruire la statua di 33 metri come straordinario punto panoramico sui Fori Imperiali di Roma, e l' immersione finale nel sogno, con la stanza dedicata agli appunti e ai disegni dei suoi quaderni. L' uscita di scena è affidata alla scarna e geniale biografia di "C.A architetto, comunista" - riportato anche sulla lapide - in cui in poche parole lo stesso Aymonino riassume la sua vita personale (si è sposato tre volte e ha avuto quattro figli) e quella professionale: "Ha costruito il Gallaratese, il Campus di Pesaro, il teatro di Avellino, il museo del Marco Aurelio, il Miglio d' oro. Disegna da dio".
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