Antonio Riello per Dagospia
mulatas emiliano di cavalcanti
I fedelissimi dell'ex-presidente Jair Bolsonaro nella loro sovversiva invasione degli Edifici Federali di Brasilia non hanno distrutto solo vetri e suppellettili ma anche alcune opere d'Arte che appartengono al Patrimonio Nazionale Brasiliano.
Secondo il Curatore dei Palazzi Presidenziali, Eugério Carvalho, i danni sono quasi sicuramente irreparabili. Si tratta di un quadro, noto come "As Mulatas", opera di uno dei più significativi pittori brasiliani del '900, Emiliano Di Cavalcanti (1897-1976). Di un dipinto di Jorge Eduardo (1936) dal nome evocatore: "Bandeira do Brasil". Di una scultura in legno del Polacco-Brasiliano Frans Krajcberg (1021-2017) e di un bronzo, "O Flautista", dell'Italo-Brasiliano Bruno Giorgi (1905-1993).
Troppo facile spiegare le cose parlando solo dell'ignoranza barbarica delle masse manipolate.
jorge eduardo bandeira do brasil
Evidentemente qui non è in gioco il valore venale delle tele e delle sculture: in questo caso anziché danneggiarle le avrebbero potute facilmente rubare (e il Di Cavalcanti sembra valere circa un milione e mezzo di dollari). Non era il bottino il movente. La vandalica e insensata distruzione è il prodotto di una evidente distonia identitaria tra i manigoldi che hanno fatto irruzione e il contenuto dei Palazzi del Potere: il patrimonio artistico-culturale federale era evidentemente considerato come "cosa di altri" (dei burocrati e dei politici).
Un contenuto insomma alieno, inutile ed perfino odioso agli occhi dei tanti sciagurati coinvolti in prima persona nell'assalto di Brasilia. I populisti purtroppo forniscono quello che il popolo eccitato ed impaurito cerca: un Capro Espiatorio. Un Nemico decisivo che appartiene alla tribù avversaria. Un'entità maligna che va distrutta e umiliata: più o meno la stessa logica che scatena gli stupri etnici.
o flautista giorgi
Anche i Nazisti con la loro ossessione persecutoria verso la cosiddetta l'Arte Degenerata non avevano motivazioni solo ideologiche/estetiche. In fondo volevano punire quel pubblico libero e cosmopolita che aveva creato e nutrito le Avanguardie Storiche. Quella gente, spesso di origine ebraica, che non capivano, detestavano (e in qualche modo, silenziosamente, anche invidiavano). Non era banale disprezzo, era probabilmente più una sorta di vendetta dagli incerti, ma tragici, contorni socio-culturali.
Detto molto sommariamente l'Arte Contemporanea è un prodotto creato su misura per un pubblico elitario che potremmo individuare come quello delle 3B: Bello, Bravo e Buono. Istruita, educata, di buoni propositi, fascinosa, impegnata, ma inevitabilmente una piccola élite. Di solito, anche un po' viziatella. Potrebbe in apparenza sembrare una questione di mero denaro, ma non è così semplice. L'Arte è un prodotto certamente costoso ma altri mercati del lusso, come la costosa moda griffata, sanno essere molto vicini al cuore del popolo, anche quello più marginale e minuto (come alcuni fatti di cronaca recente stanno facilmente a dimostrare). Il club delle 3B se ne fotte invece della griffe (roba da poveracci o arricchiti); ha invece i suoi "indirizzi segreti" noti solo agli affiliati e in continua complicata evoluzione (e guai a non esserne informati).
brasilia
Tutti convergono sull'idea che esista un universale diritto di creare. Ma è il "Sistema dell'Arte" (come tutti gli apparati sociali strutturato attraverso una serie di "certificazioni") che decide cosa può - e che cosa non può - essere considerato a pieno titolo Arte. Una piccola minoranza liberal (sempre ben sicura di non sbagliare) plasma la correttezza delle visioni artistiche adattandole ai propri valori. Stiamo parlando, per chiarezza, del livello considerato più alto della pratica artistica, quello che si sviluppa tra le varie Biennali e si afferma nei Musei alla moda. Negli ultimi decenni tale sistema, di fatto, si è molto aperto e ha cercato di inglobare minoranze di ogni genere e tipo, paesi in via di sviluppo (segnatamente l'universo culturale Africano), dilettanti vari e di recente perfino saltimbanchi prestati dal mondo dello spettacolo.
Ma il mondo/mercato dell'''Arte, mentre emancipa e sdogana, non manca di divorare qualsiasi cosa utilizzandola secondo le proprie logiche. Insomma si parla sempre più spesso degli "ultimi", ma lo si fa quasi sempre con il linguaggio, un po' snob, usato dai "primi". La moltitudine indifferenziata finisce per non capirci granchè e dunque continua sostanzialmente a diffidare dell'Arte Contemporanea. Per farne parte bisogna essere degli iniziati/privilegiati, questa è amaramente la percezione generale della gente.
christoph buchel biennale venezia 2019
Prendiamo il caso emblematico dei migranti. Molti artisti ne hanno fatto il tema di opere più o meno poderose (e pure costose). Lo ha fatto il famoso Ai Wei Wei con i suoi gommoni appesi davanti la facciata di Palazzo Strozzi a Firenze (2016). E ci ha provato lo Svizzero Christoph Büchel con il barcone affondato e ripescato dal fondo del Mediterraneo, poi esposto alla Biennale di Venezia del 2019. Questi interventi hanno certo reso omaggio a quella parte infelice dell'Umanità. E' una cosa positiva, siamo tutti d'accordo fin qui.
Ma, nello stesso preciso momento, i migranti sono comunque diventati strumentali per il gioco Arte Contemporanea che deve di-mostrare prima di tutto quanto umana, compassionevole e disinteressata sia l'Elite con la quale essa si identifica. Una domanda legittima: è cambiato davvero qualcosa per i migranti dopo la realizzazione queste opere? O invece sono stati in qualche modo usati - seppure con i migliori intenti - per finalità artistiche?
ai wei wei firenze 2016
Forse sarebbe stato meglio, se fossero stati davvero loro la ragione di quello specifico fare artistico, impiegare le stesse risorse economico/creative per realizzare laboratori e scuole di alta qualità per i rifugiati? Perchè non provare a fare seriamente formazione e dare loro una possibilità per diventare gli artisti di domani? Magari non servirebbe ad evitare fatti tremendi come il saccheggio criminale di Brasilia. Ma potrebbe essere comunque il segnale di una restaurata credibilità intellettuale.
antonio riello working riello