Stefano Cappellini per repubblica.it - Estratti
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Un fronte popolare, versione italiana. Le opposizioni quasi al completo, riunite in piazza a Roma per dire no alla riforma della Costituzione detta premierato e all’autonomia differenziata. Bandiere del Pd e di Alleanza Verdi — Sinistra, del Movimento 5 Stelle e di Più Europa, Rifondazione comunista, Arci, Cgil e sindacati di base. Mancavano i centristi di Azione e Italia viva, che non hanno ancora deciso cosa fare da grandi, ma forse non alcuni loro elettori.
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A ben guardare, una piazza politica così assortita e variopinta, che da anni non si vedeva, è un regalo nemmeno piccolo di Giorgia Meloni a partiti che hanno passato gli ultimi anni a litigare su molto, e che probabilmente continueranno in parte a farlo, ma che ieri erano a piazza Santi Apostoli insieme a migliaia di cittadini.
Sicuramente molti più di quanti ne prevedessero gli organizzatori che, magari temendo il caldo quasi agostano e il giorno feriale, hanno sciaguratamente deciso di montare il palco a metà della piazza, con il risultato che almeno un migliaio di manifestanti non è nemmeno riuscito a entrare nell’area della manifestazione e non ha potuto sentire né vedere granché.
grillo raggi di battista
Tra questi anche Massimo D’Alema che arriva verso le 18 e rimane imbottigliato nelle retrovie. A malapena si intravede il palco e D’Alema non riconosce l’oratore in quel momento sul palco: «Chi è questo che sta parlando?». Era Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione. Il quale, peraltro, proprio in quel momento stava pronunciando parole per lui non abituali: «Questo è il momento di essere uniti».
Un moto trasversale di popolo che forse la presidente del Consiglio ha sottovalutato quando ha scelto di procedere sulla riforma della Costituzione a strappi e forzature. Quando sul palco sale il leader di Sinistra italiana Nicola Fratoianni e dice «la destra non è maggioranza, ha vinto solo perché eravamo divisi», scatta una ovazione da ogni angolo e orientamento della piazza. Elly Schlein non riesce neanche a iniziare il suo intervento che da Santi Apostoli si leva il coro «unità, unità».
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Schlein raccoglie l’invito: «Basta divisioni. Teniamoci strette le nostre differenze che sono preziose se sappiamo metterle a valore. Siamo qui tutti insieme perché siamo tutte e tutti antifascisti». Meloni ha dato ai suoi oppositori l’occasione di riconoscersi, per una volta, in un massimo comune multiplo.
Si percepisce tra i manifestanti una grande voglia di fare qualcosa di concreto e di personale, senza aspettare il referendum confermativo, per fermare il cambiamento della Carta e una legge che spacca il Paese in due. Una base che può diventare un collante politico molto forte, certo non proprio con tutte le forze in piazza. Fantasioso immaginare un ritorno in coalizione di Rifondazione, per esempio.
Ma nel retropalco la consapevolezza di tutti i leader è che questa manifestazione è il primo vero passo nella costruzione di una coalizione alternativa alla destra. Schlein lo sottolinea. A microfoni lontani la leader del Pd rivendica il risultato: «Questa non è una manifestazione in cui siamo inciampati». Intende dire che dietro c’è un lavoro, ma anche che qualcosa è cambiato nel rapporto tra le forze di opposizione.
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I contatti con gli altri leader sono più frequenti e soprattutto più facili. Anche con Giuseppe Conte, che ora pare davvero determinato a entrare in un percorso comune. Anzi, in questo momento nel M5S è proprio l’alleanza con il Pd la faglia che divide il capo M5S dal fondatore Beppe Grillo e dai nostalgici del Movimento del vaffa come Virginia Raggi o il fuoriuscito Alessandro Di Battista.
Conte saluta molto calorosamente il neodeputato europeo e sindaco di Bari uscente Antonio Decaro e lo invita a tenere unito il fronte in vista del ballottaggio alle Comunali. Scene inedite. I big dei vari partiti si mescolano. Abbracci, sorrisi, selfie con i simpatizzanti. Ci sono il governatore della Campania Vincenzo De Luca, l’ex presidente della Camera Roberto Fico, l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino e il neo parlamentare europeo ed ex segretario del Pd Nicola Zingaretti.
Davanti alla folla Conte attacca il premierato e Giorgia Meloni con un discorso di taglio antifascista nel quale deplora il fatto che la presidente del Consiglio non abbia speso una parola per censurare i giovani del suo partito che inneggiano al Duce (anche Schlein non lascia correre: «Cosa aspetta Meloni a cacciarli?»). Poi Conte chiama sul palco il deputato 5S Leonardo Donno, aggredito in Parlamento dai colleghi di Lega e di Fratelli d’Italia per aver cercato di mettere un tricolore sulle spalle del leghista Roberto Calderoli: «Se sventolare un tricolore fa paura a queste destre — dice Donno — sventoliamolo e non molliamo»
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