Fabio Gambaro per “la Repubblica”
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Un caleidoscopio d’immagini e colori. Un’esplosione d’energia e ironia. Alla Fondation Cartier pour l’art contemporain una mostra ricca e stimolante sottrae l’arte africana agli stereotipi dell’esotismo e del primitivismo. Grazie a trecento opere di una quarantina d’artisti congolesi felici e spiazzanti, Beauté Congo 1926- 2015 (aperta fino al 10 gennaio) rivela le molte sfaccettature di una delle scene artistiche più dinamiche di tutto il continente nero. Quella di Kinshasa, dove nel corso degli ultimi decenni – nonostante le innumerevoli difficoltà politico-economiche – pittura, scultura, fotografia, ma anche musica e fumetto, hanno prodotto eccellenti risultati.
Per il curatore André Magnin, nella seconda metà del secolo scorso, gli artisti congolesi hanno saputo emanciparsi dall’eredità di una tradizione impregnata di spiritualità rituale e dominata da temi e motivi presi in prestito dalla natura e dal mondo animale. Prendendo le distanze da quell’universo ancestrale, hanno elaborato un linguaggio estetico autonomo capace di confrontarsi con la modernità della realtà urbana e con le sue forme di comunicazione.
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Al centro di questa evoluzione, la mostra parigina propone innanzitutto la pittura figurativa di artisti ormai celebri come Cheri Samba, Cheri Cherin e Moke, gli autoproclamati “pittori popolari” che, rifiutando l’astrazione, hanno realizzato un’arte volutamente gioiosa e comunicativa. A partire dalla fine degli anni Settanta, con le loro opere dominate da una vitalità molto spigliata e colorata, hanno saputo raccontare la vita quotidiana di Kinshasa, come pure i drammi e le preoccupazioni politico-sociali dell’Africa contemporanea, ma sempre resistendo all’afro-pessimismo dominante.
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Al contrario, la loro visione del mondo è vivacissima, piena di energia e di ottimismo, come mostra Kiese na Kiese, la tela di JP Mika, la cui coppia danzante e felice è stata eletta a simbolo della mostra alla Fondation Cartier. Nelle loro opere, gli artisti congolesi hanno affrontato la realtà africana senza nascondersi nulla delle guerre, della povertà e delle ingiustizie che zavorrano il continente, mostrandosi però inclini all’ironia e all’autoironia, e soprattutto capaci di proiettarsi verso un futuro in cui non mancano il sogno e l’utopia.
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Lo dimostrano le elaborate e scintillanti maquette di Bodys Isek Kingelez e Rigobert Nimi, i quali, nelle loro città ideali e futuribili, hanno saputo racchiudere un piccolo universo di speranza e poesia. Lo stesso vale per Monsengo Shula, che nei suoi quadri ha persino immaginato alcuni astronauti africani, simbolo di una tenace speranza di un progresso possibile.
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Tra le tante sorprese che riserva la mostra parigina, oltre alla riscoperta delle splendide foto di Jean Depara, che alla fine degli anni Cinquanta ha felicemente immortalato le mille luci delle notti di Kinshasa, non vanno dimenticate le opere degli artisti più giovani, maggiormente inclini a una riflessione critica sulle relazioni nord sud e capaci di confrontarsi con modalità artistiche più elaborate.
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A cominciare da Kiripi Katembo, le cui straordinarie fotografie sulle pozzanghere della capitale congolese producono affascinanti effetti in direzione di un realismo magico e quasi surreale. Insomma Beauté Congo invita il visitatore a lasciar da parte i pregiudizi, spingendolo a guardare l’arte africana con occhi nuovi.
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