Estratto dell’articolo di Alessandro Fulloni per corriere.it
gianmarco bellini 55
(…) La politica la chiamò “operazione di polizia internazionale”. Ma per noi era una guerra di liberazione, c’era da soccorrere un Paese invaso, oppresso: il massimo del romanticismo per chi come me vede il mondo in un certo mondo, indossando una divisa: nel mio caso azzurra». Gianmarco Bellini, 65 anni, generale in congedo, è il pilota del Tornado italiano che nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 1991 fu abbattuto — con a bordo anche il navigatore Maurizio Cocciolone «che sento un paio di volte l’anno» — durante la prima missione di volo dell’operazione Desert Storm sull’Iraq di Saddam Hussein. Dopo essersi lanciati con il paracadute i due aviatori vennero catturati.
L’altro giorno, nel corso delle celebrazioni avviate a Firenze, a Palazzo Vecchio, per il centenario dell’Aeronautica, il topgun ha rievocato —; davanti a tre ex capi di Stato Maggiore (Mario Arpino, all’epoca comandante della war room italiana in Kuwait, Leonardo Tricarico e Alberto Rosso) e all’attuale Luca Goretti — con il Corriere, quei 47 giorni di prigionia. «Quella sera ci dissero che stavolta si faceva sul serio e che non era più un’esercitazione... la nostra era una missione a bassa quota, avevamo come target un deposito di munizioni in Kuwait, al confine con l’Iraq»
E voi piloti?
Gianmarco Bellini
«Molti di noi non riuscirono a dormire. Il giorno dopo ci preparammo per il briefing, rivedemmo i rapporti dell’intelligence. Decollammo in piena notte, otto Tornado nostri e altri 25 velivoli della coalizione. Ma il leader ebbe subito una noia al carrello e dovette rientrare».
Cosa pensaste?
«Che qualcosa non stava andando nel verso giusto. Il volo aveva una durata di circa quattro ore, più uno slot di mezzora di rifornimento. Ma il meteo era pessimo, per un motivo o per l’altro tutti gli aerei dovettero rientrare. Io fui l’unico a riuscire ad agganciarmi all’aerocisterna e l’unico in grado di continuare. Così proseguii, chiedendo l’autorizzazione che mi venne accordata. Fummo i soli a raggiungere il target e a sganciare».
Ciò le valse l’ammirazione di americani, britannici e francesi... Poi però che successe?
BELLINI COCCIOLONE
«Gli iracheni avevano riempito la costa di contraerea. Ci beccarono in pieno sul piano di coda e dopo che ci abbassammo, rientrando verso il mare, mi resi conto che il Tornado era ingovernabile: così ordinai l’eiezione. Da quel momento ho un buco di memoria di quattro o cinque giorni. Non ricordo cosa accadde. So che ho subito diverse fratture, una alla spina dorsale e un’altra alla mandibola. Dettagli...».
Momenti da incubo, pestaggi, le torce sulla faccia...
«Sì, ma non tanto per le violenze fisiche: la parte peggiore è quando ti rendi conto di non avere alcun potere e controllo sulla situazione, di essere in balia di volontà altrui. Da questo però trassi anche molta forza: sballottato in diverse prigioni, interrogato con metodi brutali, tra me e me pensavo: non posso fare nulla, ma non è che mi metto in ginocchio o faccio salamelecchi se entra una guardia».
Il giorno più brutto?
gianmarco bellini 5
«Fu durante un bombardamento della coalizione, non ricordo esattamente quando: eravamo in un bunker della polizia segreta di Saddam Hussein. Sopra sorgeva un palazzo piuttosto alto. Una delle nostre bombe esplose proprio fuori dalla nostra cella, sbriciolando tutto.. In qualche modo ci salvammo. Sarebbe stato assurdo sopravvivere alla contraerea di Saddam e andarsene a causa dei nostri».
Lei, giuridicamente, non fu mai considerato un prigioniero di guerra perché l’Italia non aveva mai dichiarato guerra all’Iraq...
«Proprio così. È una cosa strana. Nel mio foglio matricolare quel periodo è segnato come a disposizione del comandante di corpo».
(...)
Ricomincerebbe daccapo?
«Senza alcun dubbio. Metterei la firma per rivivere tutto quello che ho vissuto, specialmente il periodo dell’Aeronautica, fu esaltante».
Oggi cosa fa?
«Mi sono congedato nel 2011 stabilendomi negli Usa, vivo a Virginia Beach dove sono console onorario, assisto i nostri connazionali anche nella Carolina del Nord. Volo ancora come comandante di linea con la compagnia Atlas. Sto sul 737 e piloto gli aerei cargo. Con mia moglie Gilda e mia figlia Giusy — gli altri sono Riccardo, Gianluca e Michael, ndr — ho anche un ristorante, sebbene la mia mansione sia solo quella di “addetto agli assaggi”».
bellini andreotti cocciolone
(...)
Ma è vero che si è sposato tre volte?
«(Si mette a ridere) Sì... E ho quattro figli. Evidentemente credo in questa istituzione».
(…)