Azzurra Barbuto per “Libero quotidiano”
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Una tempestava la fotografia del docente di cuoricini inviandola alle colleghe, l'altra sospirava a lezione che lo avrebbe seguito per sempre poiché lui era l' uomo per lei, e poi email su email, tutte messe agli atti. Eppure Carla Pernice e Rosa Calvi, aspiranti borsiste deluse, da anni saltano da un programma televisivo all' altro dipingendo quel professore, l' ex giudice del Consiglio di Stato Francesco Bellomo, come un vero e proprio mostro, un despota insopportabile, che le avrebbe violentate psicologicamente. Ma egli dichiara: «Sono io il molestato. Ho respinto le pressanti avance. E ho compreso per l' invadenza di essere davanti a soggetti pericolosi».
In seguito a quanto avvenuto domenica sera a "Non è l' Arena" su La7, dove il pubblico ha assistito all' ennesimo processo mediatico senza contraddittorio (quattro donne contro un imputato assente) che tanto male fa alla Giustizia, Bellomo ci ha inoltrato un video.
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«Da tempo non poche trasmissioni televisive organizzano sul mio conto vere e proprie esecuzioni di piazza, all' insegna del disinteresse per la verità, con la complicità di narratrici di comodo, e improvvisati opinionisti, nei cui discorsi si fa fatica ad intravedere un barlume di pensiero logico. Io sono certo di non avere fatto alcunché di sbagliato e vorrei dimostrarlo laddove vi sono persone e regole a ciò competenti, conscio che, se la giustizia dei tribunali è imperfetta, non ne esiste una migliore. Dopo due anni di silenzio, e di sofferenza della mia famiglia, mi sono risolto a replicare con lo stesso mezzo, ma diverso metodo», spiega l' ex consigliere nella lettera che correda il filmato.
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BORSA DI STUDIO
«Dal dicembre del 2017 Carla Pernice e Rosa Calvi si presentano come Cappuccetto Rosso che rifiuta le offerte del lupo cattivo», esordisce Bellomo, il quale precisa ciò che le due signore omettono di riferire ogni volta che come Madonne pellegrine transumano da un format all' altro, presentandosi quali fanciulle virtuose, che avrebbero avuto il coraggio di denunciare molestie ed umiliazioni. «Dirò la verità: non ci sono state offerte di borse di studio ma solo richieste da parte loro, non c' è il lupo cattivo e soprattutto non c' è Cappuccetto Rosso», continua l' ex consigliere.
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Ma cos'è che Pernice e Calvi non ci raccontano, di sicuro per sbadataggine? L'aspirante borsista della scuola "Diritto e Scienza", Carla Pernice, ad esempio, trascura di narrare di avere presentato la domanda per la borsa di studio per il corso di Milano il 31 agosto 2011, di avere partecipato alla selezione e di essere stata scartata.
«Da quel momento per circa un biennio ha reiterato insistentemente la sua candidatura sia con me sia rivolgendosi a persone con cui avevo stretti rapporti affinché la raccomandassero. Pernice in realtà era più che un' aspirante borsista, questo dichiara una sua amica il 15 marzo del 2019, sentita come testimone dinanzi al Csm», dice Bellomo. La teste, interrogata circa eventuali confidenze di Carla sul consigliere di Stato, riferì: «Carla era molto molto molto entusiasta ed io ricordo che una delle prime lezioni mi inviò una foto di Bellomo con dei cuoricini».
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BUGIE PER IL CONTRATTO
«Non ho mai preso in considerazione le avance della Pernice, respingendola in modo elegante» sottolinea Bellomo, «eppure ella non si è data per vinta», chiedendo dopo anni l' indirizzo mail personale del consigliere e spedendogli una lettera. «Da quel momento capii di avere a che fare con una persona pericolosa e non la volli più al corso».
E poi c' è Rosa Calvi, la quale si iscrisse al corso di magistratura 2016-2017 e partecipò alla selezione per l' assegnazione delle borse di studio nel novembre del 2016, a Roma, insieme ad altre sei persone. In questa circostanza Rosa Calvi, la quale fu scelta, di fronte a tutti manifestò entusiasmo per il contratto di borsa di studio che prevedeva un dress code sia per i maschi che per le femmine.
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Al colloquio successivo, in cui erano presenti non meno di venti persone, «il clima era disteso e la ragazza estremamente colloquiale e aperta. Non mi fu difficile smascherarla, capii che durante la selezione aveva mentito al solo scopo di ottenere il contratto. Strappai davanti ai suoi occhi la borsa che lei aveva firmato, dopo andò via. Dunque non è vero che non aveva accettato il contratto, lo aveva accettato e firmato. Sono stato io a cancellare l' accordo».
Ma la Calvi non si dà per vinta, insiste. «Vuole a tutti i costi quel ruolo». Il 18 novembre scrive a Bellomo: «Secondo me, il punto è che lei non si è mai aperto con nessuno e tutti si sono approcciati a lei con una specie di timore reverenziale, io invece con questo modo di fare così coinvolgente ed estroverso l' ho trattata senza pensare di essere al cospetto del genio Bellomo, ma di una persona con la quale parlavo di tutto e scherzavo».
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«Vi sembra una persona che si senta sottopressione o a disagio?», chiede l' ex consigliere, e prosegue. «Il 23 novembre mi scrive che per riuscire ha bisogno di me». I messaggi continuano. «Nell' ultimo show televisivo Calvi ha insinuato che le avrei promesso di farle vincere il concorso. In televisione non c' è l' obbligo di dire la verità e capita, quando conviene, fare il contrario, ma quando l' obbligo c' è, ecco che la versione viene modificata: questo dichiara Calvi davanti all' autorità giudiziaria: "Non mi fu detto e non mi è mai stato detto dal consigliere: io ho il potere di farti vincere il concorso in magistratura per vie traverse". Se ne può concludere che la Calvi è bugiarda», afferma il docente.
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Stupisce che nessuno osi dubitare riguardo il sacro verbo di Pernice e Calvi, mettendo in luce le contraddizioni insite nelle loro stesse ricostruzioni. Del resto, chi lo fa viene subito zittito, stigmatizzato, messo al rogo. Poiché - vedete, signori - si è affermato per consuetudine un principio nuovo del diritto, ingiusto e pericoloso, in base al quale allorché una donna punta il dito contro un uomo, ella è automaticamente una martire, egli invece un farabutto ben oltre ogni ragionevole dubbio.
PRINCIPI CALPESTATI
Se la Giustizia, la quale non dovrebbe discriminare in base al genere, è lenta nelle aule di tribunale, galoppa nel piccolo schermo ed arriva a verdetti lampo che sono sentenze di condanna passate in giudicato. Inappellabili. Oltre che scontate. Ad emetterle sono "opinionisti" senza infamia e senza lode, che sarebbero più credibili a "Ballando con le stelle" piuttosto che allorché recitano la parte di esperti giuristi, a certificarle presentatori che calpestano sistematicamente il principio della presunzione di innocenza. In fondo, prendere uno stimato professore e trasformarlo in un sadico molestatore stuzzica di più la curiosità morbosa del telespettatore. E se questo nuoce alla Giustizia ed un innocente viene sputtanato, devastato, distrutto, in fondo, chi se ne frega?!
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